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 2006  maggio 28 Domenica calendario

I demoni dell´Andrea Doria,tragedia greca sull´Oceano. La Repubblica 28 maggio 2006. Il 25 luglio 1956 l´Andrea Doria, uno dei più lussuosi transatlantici italiani, di 29mila tonnellate, stava navigando nell´Atlantico, ed era quasi giunto al termine della traversata

I demoni dell´Andrea Doria,tragedia greca sull´Oceano. La Repubblica 28 maggio 2006. Il 25 luglio 1956 l´Andrea Doria, uno dei più lussuosi transatlantici italiani, di 29mila tonnellate, stava navigando nell´Atlantico, ed era quasi giunto al termine della traversata. Partito da Genova, era diretto a New York, dove era atteso la mattina seguente. Lo stesso giorno, una bella nave svedese di dimensioni poco minori, la Stockholm, seguiva la rotta inversa: partita da New York, era diretta a Copenaghen e a Goteborg. Mezz´ora prima della mezzanotte le due navi entrarono in collisione, e il giorno successivo l´Andrea Doria, colpita a morte, affondò; la Stockholm, avendo subito danni minori, rientrò a New York. Avvenne dunque, quella notte, una delle più gravi sciagure nella storia della navigazione. Di chi la colpa? Alvin Moscow, giornalista americano, ricostruì l´evento in un libro, preciso come un atto giudiziario e avvincente come un romanzo, che adesso, a cinquant´anni di distanza, viene pubblicato per la prima volta in Italia (Andrea Doria, Mondadori editore). Eccoci dunque, a partire dal pomeriggio di quella giornata fatale, nella plancia ora di una nave, ora dell´altra, accanto agli ufficiali e ai timonieri. La giornata estiva è tranquilla, l´oceano è calmo; solo lo attraversano lunghe onde oceaniche, del tutto innocue. Piero Calamai, comandante dell´Andrea Doria, un uomo di cinquantotto anni, genovese di origine, appartenente a una famiglia di marinai (un fratello, col grado di contrammiraglio, si trova in quel periodo alla direzione dell´Accademia di Livorno), ha navigato tutta la vita. Taciturno, quasi timido, preferisce stare sul ponte di comando piuttosto che in compagnia dei passeggeri. Nel pomeriggio di questa giornata di luglio esce di tanto in tanto sull´aletta laterale, come fa spesso: fiuta l´aria. E ora dice (sono le 14,40): avremo nebbia. Infatti la nebbia verrà. Niente di strano: la nebbia è frequente nei mesi estivi. Calamai ridurrà la velocità, ma di poco: da 23 nodi a 2l. Le regole della navigazione prescrivono una riduzione più severa, tale da consentire di fermare la nave in uno spazio pari alla metà della visibilità: pressoché impossibile. Ma c´è il radar. Passiamo ora sulla plancia della Stockholm. Il comandante, Gunnar Nordenson, poco più di sessant´anni, grande esperienza anche lui, fa una breve ispezione, poi si ritira. Tutto come sul Doria, si direbbe. Con una differenza che avrà il suo peso: intorno alla Stockholm non c´è segno di nebbia. Così che Ernst Carstens, il giovane ufficiale che assume la responsabilità della rotta nella notte fatale, un ragazzone di ventisei anni che ne dimostra sedici, è tranquillo mentre tiene d´occhio il timoniere, un ragazzo danese che ogni tanto si distrae. Una traversata come tante altre. C´è il radar, come si è detto. Oggidì, grazie a un miracoloso strumento che si chiama Gps, chi naviga sa sempre, con precisione estrema, dove si trova, e può chiedere dove si trovano gli altri. Cinquant´anni fa, invece, si calcolava la propria posizione secondo la navigazione stimata (numero delle miglia percorse su una data rotta); l´effetto della corrente bisognava indovinarlo (o calcolarlo col sestante, o col radiogoniometro). Quanto alle altre navi che navigano nella zona, il radar indica la loro presenza, ma non la loro natura: può trattarsi di un peschereccio o di una corazzata. Quando scende la notte del 25 luglio, i radar sono in funzione, naturalmente, tanto sull´Andrea Doria quanto sulla Stockholm. A un certo momento, reciprocamente, le due navi si vedono. Per gli svedesi splende anche la luna: il giovane Carstens può essere più tranquillo che mai. Con una riserva, però: col passare dei minuti, la nave segnalata dal radar della Stockholm si avvicina, ma le sue luci non si vedono. Strano, in una bella nottata d´estate, con buona visibilità. Proprio strano? O non potrebbe trovarsi, la nave segnalata dal radar della Stockholm, in mezzo alla nebbia? Carstens non pensa alla nebbia: è così chiara la luna su di lui. Solo aumenta, a poco a poco, il suo disagio. E intanto si creano le circostanze che presto diventeranno tragedia. Anche nella plancia della nave italiana le forze del male si mettono all´opera. Calamai è sempre presente: ha cenato da solo, in fretta, con una fettina di carne. I suoi ufficiali guardano il radar, lo tengono informato. C´è una nave, gli dicono, che si avvicina. A che velocità? Con quale rotta? Si potrebbe rispondere con una certa precisione trascrivendo in un grafico le posizioni successive dell´oggetto visibile sullo schermo. Ma la trascrizione in grafico non è compito di Calamai, che oltre tutto appartiene a una generazione precedente a quella cresciuta col radar. L´ufficiale al radar, d´altra parte, non ritiene necessaria la trascrizione: non è solito farla. Dice che l´altra nave incrocerà il Doria sulla dritta. vero che l´incrocio ideale è quello in cui ciascuna delle due navi mostrerà all´altra il fianco sinistro: luce rossa (quella che ogni nave ha sul fianco sinistro, appunto) contro luce rossa. Ma se la distanza è buona si può anche passare dritta contro dritta: luce verde (sul fianco destro) contro luce verde. la decisione di Calamai. E così si arriva alla tragedia. Ci si arriva perché Carstens è convinto, a differenza degli italiani, che le due navi si incroceranno sinistra contro sinistra, a una distanza di sicurezza. Comunque, sempre turbato dal fatto che non vede le luci dell´altra nave, per eccesso di prudenza decide di accostare qualche grado a destra, in modo da aumentare la distanza. Calamai, invece, è convinto che l´altra nave sfilerà alla destra dell´Andrea Doria: e anche lui decide, per eccesso di prudenza, di aumentare la distanza, accostando a sinistra. Le forze del male hanno così compiuto l´opera nefasta. Sarà collisione. Cedo la parola ad Alvin Moscow. Sulla plancia della Stockholm, «Carstens, ritornato sull´aletta di sinistra, fissava le luci con il binocolo. Poco prima aveva dato un´occhiata al radar. Mentre era al telefono (per comunicazioni di servizio) non aveva visto l´altra nave che cominciava ad accostare in modo da passare davanti alla prua della Stockholm. La sua mente non aveva registrato il cambiamento di posizione dell´eco radar. E nemmeno quando aveva guardato la nave dalle finestre della Stockholm, mentre andava verso l´aletta, si era reso conto di quello che stava accadendo. Ma quando giunse sull´aletta, quel che vide lo agghiacciò. Non si trattava più, come aveva dato per scontato, di un passaggio a distanza di sicurezza. Davanti a sé vide l´enorme murata di una colossale nave nera, sfavillante di luci come un parco di divertimenti, che si parava di fronte allo Stockholm. In mezzo a quella fantasmagoria, vide brillare un fanale di via verde. Era la murata di dritta dell´altra nave!». Ora ci trasferiamo sulla plancia dell´Andrea Doria: «Il capitano Calamai vide l´altra nave, prima il profilo indistinto e poi la prua, sbucare dalle tenebre davanti all´Andrea Doria. Quella prua slanciata sembrava puntare diritta verso di lui, fermo in piedi, impietrito, sul ponte di comando, consapevole che, qualunque cosa facesse, la sua nave non poteva sottrarsi al suo destino. All´ultimo momento, l´istinto di conservazione prevalse. Il capitano Calamai cercò di sfuggire all´orrore di quello spettacolo indietreggiando verso la porta della timoniera. Fu allora che la Stockholm colpì». Di chi la colpa, dunque? Vi sono stati errori, certamente, da una parte e dell´altra; vi sono state trasgressioni; ma errori e trasgressioni relativamente lievi, come quella di non fermare la nave quando la visibilità è scarsa: nessuno lo fa. Forse vi sono state imprecisioni nelle segnalazioni dei radar. Da una parte e dall´altra, tuttavia, nessuno ha trascurato il suo dovere. Uomini esperti, con lunga esperienza alle spalle, si sono impegnati al meglio della loro capacità. A me sembra dunque che la sciagura del 25 luglio 1956 sia stata soprattutto, come una tragedia greca, l´opera del fato: la nebbia che copre una parte della zona, non l´altra; il divario fra posizione reale e posizione presunta; la prudenza che induce gli uomini al comando delle due navi a prendere misure che dovrebbero aumentare la sicurezza e invece portano alla collisione. La conclusione extragiudiziaria della sciagura, avendo i due armatori deciso di pagare ciascuno i propri danni, mi sembra una conferma di questa conclusione, anche se i danni della società italiana erano molto superiori a quelli degli svedesi. La ricostruzione di Alvin Moscow non si ferma alla collisione. Lo scafo del Doria, con un´inclinazione di trenta gradi, rimane a galla per altre dodici ore; vi sono state scene di panico e scene di eroismo, e l´autore le racconta con precisione. Qualche esempio? Un ragazzo di tredici anni (citato con nome e cognome) va su e giù per la coperta inclinata, passa fra i passeggeri, cerca i genitori: tutti gli dicono che si saranno messi in salvo, uno che lo conosce cerca di alleggerire la tensione e gli chiede se vuol fare «una partitella di ping pong», il ragazzo è bene educato e risponde «no, grazie». Presto si renderà conto che i genitori sono stati uccisi dalla prua della nave svedese, non li vedrà mai più. C´è un prete che dà l´assoluzione generale, un altro che la nega, ritenendo che non sia il caso. Sono dolorose, per noi, le pagine che descrivono lo stupore degli svedesi quando vedono arrivare, sulle prime scialuppe di salvataggio (alcune mezzo vuote) uomini dell´equipaggio prima dei passeggeri. Fra le navi che portano soccorso la più importante è l´Ile de France. Le vittime, alla fine, saranno una quarantina, su oltre mille persone. Nella parte finale del libro siamo informati sulle sedute del tribunale che precedettero l´accordo extragiudiziario, sulla personalità degli avvocati e sul loro carattere: non manca nulla. Nordenson soffrì di una lieve trombosi cerebrale durante il dibattimento; Calamai, che solo all´ultimo momento, e con grande riluttanza, aveva acconsentito a lasciare la nave invece di affondare anche lui (gli altri ufficiali minacciarono di restare a bordo se non li avesse seguiti) era ormai un uomo distrutto, invecchiato di dieci anni, con le spalle curve e lo sguardo spento. Si può trarre una lezione, da questa tragedia? Certo, essa insegna che le insidie del mare sono sempre all´agguato, anche su navi sicure, con equipaggi provetti. Ma questo non è solo vero del mare: dobbiamo pur dire che la sicurezza totale non c´è mai, in nessun momento della vita. Piero Ottone