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 2006  maggio 27 Sabato calendario

la Repubblica, sabato 27 maggio Amavo i ragazzi e mi amavano. Mi portavano con loro, anche di notte

la Repubblica, sabato 27 maggio Amavo i ragazzi e mi amavano. Mi portavano con loro, anche di notte. Anche i più delinquenti. Non mi è mai accaduto niente. Forse con pochissimi, che conoscevo poco, m’è accaduto pochissimo. Prendo molti tranquillanti e antidepressivi. Questo fra l’altro porta all’impotenza, ma anche a me è mancato interesse per i ragazzi. All’Acqua Acetosa con Pasolini. Era con un ragazzo, l’aveva conosciuto in piscina e l’aveva portato lì per poter far meglio in tanta vegetazione. Pasolini appena arrivò mi disse: «Questo è innamorato di te. Me lo sta dicendo da due mesi. E vuole vivere con me. A me non piace e voglio regalartelo». Gli risposi che quel giorno non poteva regalarmelo, ero con un altro ragazzo e dovevo stare con quello. Mi pare che il ragazzo venne via con me quello stesso giorno. Si chiamava Antonio, ma lo chiamavo Budi, come un cane. Ricordo che gli domandavo: «Se stiamo sempre insieme, chi è la donna e chi il marito?». Rispondeva: «Io sono la moglie!». «Bello!» rispondevo e non notavo la sua enorme innocenza, che poi mi è costata lacrime, ma anche molto molto piacere per molto tempo. Tanto che, una volta finito, volevo ricercarlo in un altro e non m’è mai riuscito. Insomma nessuno dei due capiva quel che voleva. Prima era lui che lo voleva da me questo affetto, questo amore. durato, come soltanto due o tre amori che ho avuto, e che sono stati i più lunghi, novanta giorni, di cui gli ultimi venti o trenta erano già di un amore finito. Lui, questo Budi, per la sua grande bontà mi avvertiva lentamente: ogni sera andava via un poco prima e io soffrivo tanto, sentivo che non sentiva più l’influsso che avevo su di lui. Gli piaceva il film che piaceva a me e invece lo vedevo addormentarsi. Gli dicevo: «Leva il maglione che quando esci ti fa male» e lui non se lo levava. Mi era contrario, ecco. Non so perché io non ho voluto cessare subito. Lui volle cessare piano piano e voleva rimanere amico, non vedermi esclusivamente. Quando l’ho rivisto, dopo molti anni, m’ha detto: «Avevi fatto male a lasciarmi andare al cinema da solo, perché se ti stavo sempre vicino non sarei riuscito a staccarmi. Ti volevo molto bene». E io questo lo so. Facevo i bagni al fiume e perfino i pescatori mi chiedevano: «Ha messo il grasso addosso?». Faceva già molto freddo. Rispondevo ai pescatori: «No, non ho messo nessun grasso. Prendo l’aspirina». Una volta, in una di quelle giornate così fredde, tornando a casa mi venne un febbrone. E Budi era così buono che, dopo che ebbi preso l’aspirina che non prendevo mai, mi si mise addosso per farmi sudare di più. E io pensavo, anche ironicamente: «Appena guarisco, magari fra un’ora o due, andiamo al nostro cinema all’aperto». Infatti quella sera ci andammo, lui mi guarì. Arrivava a questi punti di bontà, proprio come dovrebbe comportarsi una moglie. A volte, nel buio, lui era forte ma aveva quel po’ di adipe che hanno molti romani (ma Budi non era proprio romano, era di Orte), al buio mi abbracciava e io mi dicevo: «Dio mio che ho fatto? ho preso moglie!». Sentivo quel piccolo grasso sopra la sua forza. Era molto forte e molto carino. Quando si svegliava diceva: «Ah, la mia forza, la mia forza!». Poi si guardava il sesso e diceva: « piccolo, è piccolo». Lo condussi dal mio medico, che in fondo era abbastanza moralista. Quello lo visitò e disse che era normale. Gli risposi: « normale a vedersi così, ma bisogna sapere che quando fa l’amore rimane quasi identico, cresce appena appena». «Ah!» disse il medico, avevamo già aperto la porta per uscire, «voglio restare solo con lui». Lo provò e gli diede una cura. Cura che io gli feci. Era molto divertente, ogni giorno dovevo fargli un’iniezione di ormoni virili e lui aveva terrore di questa piccola iniezione. Io invece ero abituato a fare anche due o tre iniezioni insieme. Lui diceva: «Non ho paura, non ho paura. Aspetta però. Ti debbo dire io quando». E a un certo punto diceva: «Forza, falla, falla! Sopporto». Io facevo l’iniezione che difatti non faceva nessun male. Forse fu la mia rovina. La cura forse lo virilizzò veramente un poco, e lo virilizzò forse troppo presto, però aveva sedici anni finiti. Ero a posto con le leggi, lo portavo a casa. In quei novanta giorni facevo l’amore due volte al giorno. E la mia età era già abbastanza alta. Gli amici vedevano le nostre fotografie, andavamo al mare. Dicevano: «Sembrate due giovanotti«. Io sembravo ancora un giovanotto muscoloso. Lui, forte com’era, nuotava molto bene. Io dovevo seguirlo in mare per chilometri con il moscone e lui gridava: «Più vicino, stammi più vicino!». E io gli rispondevo: «Non sprecare il fiato, altrimenti affoghi!». Una straniera che lo vide mangiare la sua pagnottella disse: «Mangia, bello, diventa anche più forte! Come sei bello!». E lui non sapeva che dire, guardava me. Succedevano cose stranissime. Per me non era una grande bellezza. Per gli altri e per le donne era molto molto bello. Una donna volle perfino vederlo nudo. Lui non ebbe coraggio di spogliarsi completamente. Rimase in calzoni, faceva vedere i muscoli, la sua forza. Ma quella insistette: «Tirati giù tutto, ti voglio vedere nudo». Non ricordo se lo fece. Ricordo che disse: «Non sta bene con la donna». Come se con l’uomo stesse bene e con la donna no. Insomma era un tipo anche molto divertente, simpatico. Ho parlato dell’estrema intelligenza di Pasolini. Volevo sapere da che s’era accorto che il ragazzo mi amava. Mi disse: «Non vedi come ti parla? Senti!». Stavamo in tram, veniva il controllore e lui non aveva il biglietto. Mostravo il suo biglietto al controllore, dicevo: « nervoso». Il biglietto era sui suoi piedi tutto a pezzettini. Il controllore vedeva anche lui quell’ingenuità e diceva: «Va bene, non fa niente». Io dicevo: «Hai visto che vuol dire essere belli!» e lui mi dava un bacio. Il controllore si guardava intorno, quasi incredulo, come a dire «sono arrivati a questo punto!». Lo faceva al cinema, negli intervalli, davanti a carabinieri che ci guardavano con molta gentilezza, come a dire: «Quanto è carino!». Non so se pensavano che fosse un parente, che io fossi uno zio, oppure se ammettevano questo amore quando era così puro. La polizia non è mai stata molto severa per queste cose. Anche in epoca fascista, hanno dovuto darmi dei colpi sulle spalle mentre per la strada baciavo un ragazzo. «Oh - dicevano - quanto vi volete bene!». Una volta presero il ragazzo. Io li seguivo. A me non avevano chiesto nemmeno il nome e i documenti. Un altro se ne sarebbe andato, perché non potevano nuocere a nessuno dei due. Mancava il corpo del reato, che ero io. Invece li seguivo e seguitavo a urlare: «Ma perché a lui lo prendete e a me no? Dovreste prendere tutti e due, semmai!». Sentivo che gli domandavano: «Quanto ti ha dato?». E il ragazzo, stupidone, ma non era Budi, era ammutolito. Ma i poliziotti non ce l’avevano con nessuno dei due. Uno di loro disse: «Lasciamoli andare. Ma andatevene a casa. Non fatevi trovare per strada in quello stato». Sandro Penna