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 2006  maggio 27 Sabato calendario

TAVAROLI

TAVAROLI Giuliano Albenga (Savona) 19 giugno 1959. Manager. Capo della security Telecom, si dimise nel maggio 2005 in seguito a un avviso di garanzia, indagato dalla Procura di Milano per concorso in appropriazione indebita. Passato a dirigere la filiale romena della Pirelli, fu costretto a nuove dimissioni nel maggio 2006, indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l’acquisizione di informazioni coperte dalla privacy. Arrestato il 20 settembre 2006 (corruzione, corruzione internazionale, associazione per delinquere finalizzata alla diffusione di notizie sensibili dello Stato) fu rinchiuso nel penitenziario di massima sicurezza di Voghera e poi trasferito a Como (febbraio 2007) causa l’incontro con un altro detenuto. Dall’1 giugno agli arresti domiciliari, l’11 ottobre 2007 fu scarcerato. Nel maggio 2010 fu condannato a 4 anni e 2 mesi per vari reati, tra i quali l’associazione a delinquere, la truffa informatica, la rivelazione di atti coperti da segreto e la corruzione • «[...] l’uomo dei misteri, non beve whiskey on the rocks. Ma camomilla. Anche alle quattro del pomeriggio. Una vecchia abitudine di quando era un semplice carabiniere e che non ha abbandonato neppure quando è salito ai vertici della sicurezza di Telecom. [...] cinque figli, fisico robusto, barba curata, occhi che bucano come lamine, Tavaroli ha gestito per anni un grande potere grazie a una rete di relazioni nata proprio nelle caserme dell’Arma, quando era solo un maresciallo. Al comando di via Moscova il generale Dalla Chiesa guidava la riscossa dello Stato contro le Br. [...] all’Italtel, quando l’azienda è sotto ferreo controllo socialista, e in questo ambiente si lega tra gli altri a Roberto Arlati, altro ex carabiniere, che nel ”92 verrà arrestato dal pool come ”postino” delle tangenti di Bettino Craxi. Dall’Italtel, Tavaroli passa alla Pirelli, dove si mette in luce fino a diventare capo della sicurezza. L’ingresso in Telecom è il risultato di una spy story che vede protagonista un altro vecchio amico di Tavaroli, Emanuele Cipriani, titolare dell’agenzia investigativa Polis d’Istinto. Un rapporto solido, costruito sull’amicizia. Tavaroli e Cipriani si conoscono da ragazzi ad Albenga (Savona), la cittadina ligure dove il primo è nato. E come gli ”amici del muretto” crescono dividendo fortune ed esperienze. Nel 2001, quando l’ex monopolio telefonico viene acquistato dalla Pirelli di Tronchetti Provera, il nuovo top manager Enrico Bondi scopre una cimice sull’auto privata. Contemporaneamente Tronchetti riceve pesanti lettere minatorie, scritte in modo da far pensare che provenissero dai vecchi dirigenti ostili alla nuova proprietà. Bondi e Tronchetti denunciano tutto alla Procura di Milano e quindi cambiano i responsabili della sicurezza. così che arriva Tavaroli. Poi però l’inchiesta del pm milanese Alberto Nobili scopre che la microspia sull’auto di Bondi era in realtà una carcassa non funzionante di un telefonino Motorola. La conclusione del perito è che non era in grado di intercettare niente. E a chi Tavaroli aveva affidato la fatale bonifica del 2001? Proprio a Cipriani, che ora è indagato con il suo commercialista e con lo stesso Tavaroli per associazione per delinquere finalizzata alla violazione del segreto istruttorio e appropriazione indebita, come aveva rivelato il Corriere già un anno fa, in occasione della prima perquisizione. Un blitz che portò alla scoperta di un grande archivio informatico: schedature e raccolte capillari di informazioni per clienti che vanno dalla Cola Cola all’Inter. Di questa indagine milanese finora si conosce solo la punta dell’iceberg. Il troncone d’inchiesta che è sfociata in 16 arresti per attività illegali di spionaggio anche politico, con il complotto elettorale del 2005 ai danni di Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini. [...] sullo sfondo del caso c’è uno degli interventi più delicati decisi da Tavaroli: la riorganizzazione del Centro nazionale Autorità Giudiziaria (Cnag), l’ufficio a cui tutti i magistrati italiani devono rivolgersi per poter fare intercettazioni telefoniche. Sotto Tavaroli, la sede si sposta da Roma a Milano e, soprattutto, il Cnag non dipende più dall’ufficio legale, ma dalla divisione sicurezza. Secondo i nemici di Tavaroli, viene così a cadere la tradizionale barriera interna nei rapporti tra azienda dei telefoni e magistratura. In precedenza perfino lo scalatore di Telecom Colaninno si era ritrovato suo malgrado intercettato. [...]» (Paolo Biondani, Guido Olimpio, ”Corriere della Sera” 27/5/2006) • « nell’estate del 2004 che per la prima volta il nome di Giuliano Tavaroli, ex cacciatore di terroristi diventato responsabile della sicurezza Telecom, compare in un’inchiesta dei magistrati di Milano. I pm indagano sugli appalti per la sicurezza in città e scoprono un giro di mazzette che portano nel carcere di San Vittore i vertici dei gruppi di vigilanza privata Ivri e Istituto Città di Milano. Uno degli uomini intercettati parla degli arrestati e dice: ” strano che non se lo siano ancora bevuto... Tutto il vertice di Città di Milano glielo aveva assunto Tavaroli... In effetti se li hanno fottuti è perché c’hanno il 348 (un’utenza Vodafone, ndr) e non il 335 (cellulare Telecom, ndr)... Se c’hanno il 335 ”sto figlio de ”na m... de Tavaroli li avvertiva subito”. Una volta convocato in Procura l’uomo aveva spiegato che si trattava di delazioni ”determinate da voci dell’ambiente e in parte da mie esperienze personali”. Gli accertamenti proseguono e in scena - e poi nel registro degli indagati - entra Emanuele Cipriani, capo dell’agenzia di investigazioni Polis d’Istinto, indagato dalla Procura di Viterbo per indagini abusive su una serie di persone grazie alla collaborazione remunerata di rappresentanti delle forze dell’ordine. Indagando su Cipriani, i pm scoprono che la Polis d’Istinto ha avuto rapporti di lavoro con la Telecom e Tavaroli. Di più, trovano un conto corrente cifrato di Cipriani alla Deutsche Bank di Lussemburgo con quasi 14 milioni di euro, pagati dall’azienda telefonica. La caccia alle fatture che possano giustificare simili pagamenti si conclude con la convinzione degli inquirenti che si possa trattare di operazioni inesistenti. E così - siamo nel maggio 2005 - Tavaroli e Cipriani vengono iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di appropriazione indebita ai danni di Telecom. Un altro capitolo si apre nel marzo 2006, quando il lavoro degli inquirenti milanesi porta a una serie di arresti per attività di spionaggio abusivo. Nel mirino degli spioni finiscono anche Piero Marrazzo, candidato del centro sinistra alle elezioni regionali nel Lazio, e la moglie. Si scopre anche la volontà di danneggiare Alessandra Mussolini, le cui firme per poter concorrere alla presidenza della Regione vengono contraffatte. In questa faccenda l’ex brigadiere non c’entra niente, ma la Procura di Milano trova in casa di un collaboratore di Cipriani un dischetto. L’analisi apre uno scenario nuovo. In quel dvd c’è una sorta di archivio - pare decine di migliaia di file - di un’attività di intelligence, forse abusiva, che il responsabile dell’agenzia investigativa ha svolto: schedature di manager, politici, imprenditori, gente dello spettacolo. Cipriani viene interrogato più volte e nel registro degli indagati per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l’acquisizione di informazioni coperte dalla privacy finisce anche Tavaroli [...]» (Giovanna Trinchella, ”La Stampa” 1/8/2006) • «[...] è indagato, anzi, è il principale indagato, per lo scandalo delle ”intercettazioni abusive” Telecom con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla diffusione di notizie sensibili; sembra essere il personaggio misterioso che si muove dietro le quinte del sequestro Abu Omar; viene indicato come l’uomo che conosce i segreti del suicidio di Adamo Bove; nelle intercettazioni del Sismi si parla di lui tranquillamente come un uomo prezzolato dalla Cia. Il curriculum ufficiale lo descrive come ex brigadiere dei carabinieri del Ros impegnato nell’antiterrorismo (’Ho in casa cinque attestati di elogio del ministero dell’Interno per aver arrestato personaggi come Sergio Segio, Cavallini e Soderini, Ronconi, mi sono occupato con Pomarici dell’inchiesta su Sofri e Pietrostefani...”), ex dirigente di Italtel, ex dirigente di Pirelli, capo della sicurezza Telecom, responsabile del Cnag, centro nevralgico delle intercettazioni per le Procure d’Italia, amico fraterno dell’ex capo del controspionaggio del Sismi Marco Mancini, amico fraterno di Emanuele Cipriani, titolare di una delle agenzie d’investigazioni più importanti d’Italia. Esperto d’informatica, esperto di analisi antiterrorismo, conferenziere in Bocconi, docente in Cattolica, considerato (basta cliccare su Google) il numero uno della sicurezza in Italia e tra i più stimati a livello internazionale. [...] ”[...] Nella mia vita di oscuro non c’è nulla. In azienda avevo sposato la trasparenza. Ma quale uomo dei misteri! Sono amico di Mancini, lui è entrato nel Sismi nel 1984 e ha fatto la sua carriera, non certo con il mio aiuto o di Tronchetti Provera, ma non per questo si può dire che allora c’entro col sequestro di Abu Omar. Mi telefona il maresciallo Pironi (’Ludwig”, il sottufficiale dei Ros che ha partecipato al sequestro, ndr) e allora divento il grande vecchio delle operazioni della Cia...”. Per la verità il maresciallo Pironi dice che è stato lei a telefonargli dopo il sequestro di Abu Omar. ”Pironi ha cattiva memoria. Io non lo vedevo da dieci anni, un amico mi ha detto che voleva parlarmi e gli ho detto di farmi telefonare”. C’è da dire che Tavaroli conosce anche Cipriani, l’uomo che teneva in archivio qualche migliaio di files su personaggi di ogni tipo: politici, calciatori, uomini di spettacolo... ”E quindi?”. Quindi a un certo punto la Procura di Milano vi indaga per associazione per delinquere per l’acquisizione d’informazioni riservate e sostiene che avendo ottenuto Cipriani commesse da Telecom per svolgere investigazioni private pari a 11 o 14 milioni di euro (versati all’estero), ed essendo lei, all’epoca dei fatti, capo della sicurezza Telecom nonché amico fraterno dello 007 privato, il sospetto è che quei files siano stati raccolti illegalmente anche con il suo aiuto, anzi, forse su suo ordine. ”Sì, certo: una volta ordinavo di rapire Abu Omar, un’altra di spiare mezza Italia, l’altra ancora tramavo col Sismi, poi garantivo la sicurezza in Telecom... Da notare che ci ho lavorato solo due anni, eh? Dove l’avrei avuto il tempo di combinare tutti questi disastri? [...] Comunque vorrei saperlo anch’io perché Cipriani teneva quei files, ma magari è una cosa legittima. Cipriani aveva una sua agenzia d’investigazioni, quei files saranno stati il suo archivio. Non ero io a chiedergli i lavori, ma l’azienda [...] Può darsi ci siano lì dentro anche indagini commissionate da altri. La sua società, la Polis d’Istinto, lavorava per Telecom da prima che ci entrassi io, e lavorava anche per la Coca Cola, se per questo. Ma io cosa c’entro? perché lo conosco? Ma se per questo conosco anche il dottor Spataro e il dottor Grigo e mezza Procura di Milano, e carabinieri, e polizia, e Guardia di finanza e gente di Sismi, Sisde, ministero dell’Interno... Ma che significa? Era il mio lavoro [...] Non sono una spia, e tanto meno della Cia. Sono una persona normale, un manager d’azienda che lavorava 14 ore al giorno. Avevo alle mie dipendenze 560 persone, i migliori professionisti al mondo nel campo della sicurezza. Solo nel 2005 avevamo un budget di 150-160 milioni di euro. La sicurezza di un’azienda come Telecom, che ha sedi in 50 Paesi del mondo, non è uno scherzo e noi l’abbiamo portata a livelli altissimi. Sicurezza vuol dire tante cose, non solo telefonate: quando si fa un bancomat, quando si usa una carta di credito, quando ci si connette a Internet. Dietro c’è sempre Telecom e la sua rete di comunicazione [...] La mia storia è iniziata nel 1988 da professionista della sicurezza. Sicuramente sono molto invidato, soprattutto in un ambiente dove di solito si parte da colonnelli o generali. Io invece ero un brigadiere, nome in codice ”Tavola’. Ho smesso di lavorare in Telecom il 5 maggio del 2005 quando sono stato svegliato dai carabinieri che mi hanno consegnato una richiesta di proroga dell’indagine del pm Napoleone e un contestuale decreto di perquisizione. Non sono mai stato interrogato. Da quel momento ho preso un’aspettativa di tre mesi. Nel luglio 2005 poi mi hanno proposto di lasciare la sicurezza Telecom e di occuparmi di pneumatici in Romania. Poco dopo c’è l’attentato di Londra, così Telecom mi richiama perchè coordini, con un contratto di consulenza, un progetto di survival ability, ovvero per farmi verificare se in caso di attentato Telecom abbia requisiti di sopravvivenze nella sua rete di comunicazioni. A gennaio ho consegnato il progetto e sono tornato in Romania, fino a maggio 2006, quando sotto i colpi della libera stampa ho deciso di dare le dimissioni [...] Mi hanno accusato di tutte le nefandezze dell’orbe terracqueo [...] Tutto nasce da un’indagine sull’Ivri, un istituto di vigilanza privata. Durante una telefonata intercettata tra un certo Pasquale di Gangi, titolare della Sipro (un altro istituto di vigilanza privata) e un suo interlocutore, viene fuori il mio nome, indicato come quello che poteva avvisarli di indagini in corso [...] Falso [...] Perchè controllare le intercettazioni delle Procure a me era praticamente impossibile [...] io ero il direttore della sicurezza in Telecom e il Cnag era una delle tante strutture che dipendevano da me. Avrò visitato la struttura del Cnag due volte. Era stata fondata da Alessandra Cerreta e quando lei è entrata in maternità abbiamo preso come responsabile il dottor Galletta, direttamente dalla Procura, il vicecomandante della polizia giudiziaria. Infine il Cnag riceve semplicemente le richieste dalle Procure, le inserisce in un sistema amministrativo e poi le trasferisce allo Stag (servizi tecnici autorità giudiziaria), che non dipende dalla security, ed eroga il servizio richiesto deviando le linee da intercettare direttamente alla Procura, nei cui locali è finalmente possibile ascoltare e registrare le telefonate che interessano [...] Un’intercettazione illegale dentro Telecom è impossibile. In più, dopo 6 mesi, quel traffico telefonico non è più disponibile per nessuno tranne che per l’autorità giudiziaria [...] Io non ho mai avuto accesso a nessun sistema di Telecom, non ho mai avuto nemmeno una password, io ero un direttore. Erano i responsabili più operativi che potevano intervenire. Ma poi, si può sapere quali indagini sarebbero state violate? [...] io sono un tifoso del Toro: e ho detto tutto [...]”» (Paolo Colonnello, ”La Stampa” 1/8/2006). «[...] quando Tronchetti diventa azionista di riferimento della compagnia, io resto in Pirelli dove ero dal 1996. Ricordo bene quel periodo: siamo attaccati da tutte le parti. Viene trovata una microspia nell’auto dell’allora amministratore delegato Enrico Bondi, arrivano telefonate di minacce a Tronchetti. Una chiamata parte dal centralino del Sisde proprio nel momento in cui io mi trovo negli uffici del servizio segreto civile, dal generale Stefano Orlando. Intuisco subito che si tratta di un avvertimento mafioso non solo nei confronti dell’azienda. Anche verso di me. In quei mesi molte persone, anche dal Sismi, mi mandano a dire: tu a Roma non ci metterai mai piede, non mangerai il panettone. Oltretutto in quel periodo il titolo Telecom colava a picco in Borsa. I giornali ci attaccavano. Resistiamo e nel 2003 il nuovo amministratore delegato Carlo Buora mi nomina responsabile della security. In quel momento ho un presentimento: ora iniziano i miei guai... [...]» (Peter Gomez, ”L’espresso” 10/8/2006). «[...] La sua gestione è caratterizzata da due radicali modifiche del ”Centro nazionale autorità giudiziaria” (Cnag), l’ufficio strategico che esegue le intercettazioni per tutte le Procure. Fino al 2001 il Cnag dipendeva dall’ufficio legale di Telecom. Da allora passa alle dipendenze della Sicurezza. E viene trasferito da Roma aMilano. Per cui è proprio Tavaroli a diventare il ”dominus” di tutte le intercettazioni d’Italia [...]» (Paolo Biondani, ”Corriere della Sera” 12/3/2006). A leggere il documento che nel luglio 2008 ha annunciato la chiusura delle indagini del pubblico ministero di Milano sembra «[...] che fossero all´opera, in Telecom, soltanto un mascalzone (Giuliano Tavaroli) e un paio di suoi amici d’infanzia (Emanuele Cipriani, un investigatore privato, e Marco Mancini, il capo del controspionaggio del Sismi). La combriccola voleva lucrare un po’ di denaro per far bella vita e una serena vecchiaia. I ”mascalzoni” avrebbero abusato dell’ingenuità di Marco Tronchetti Provera (presidente) e di Carlo Buora (amministratore delegato). Tutto qui. [...] ”nessuno avrà interesse a celebrare il ”processo Telecom’. Nessuno: né i pubblici ministeri, né gli imputati, né la Telecom vecchia, né la Telecom nuova. Ma io non sono e non farò né accetterò mai di essere il capro espiatorio di questo affare. Io vorrò con tutte le mie forze il processo e nel processo vorrò vederli in faccia ripetere quel che hanno riferito ai magistrati. Il mio vantaggio è che tutti – tutti – hanno mentito in questa storia, e io sono in grado di dimostrare che le informazioni che ho raccolto sono state distribuite in azienda perché commissionate dall’azienda e nel suo interesse... [...]” [...] Tavaroli lamenta di essere stato ”messo in mezzo” per aprire la strada all’inchiesta Abu Omar. il ”signore della sicurezza” Telecom. I pubblici ministeri devono intercettare gli uomini del Sismi che hanno cooperato con la Cia per sequestrare illegalmente il cittadino egiziano, sospettato di essere un terrorista. Con i buoni rapporti di Tavaroli con il Sismi, l’operazione sarebbe stata a rischio. ”Così – dice Tavaroli – hanno cominciato a indagare su di me in modo strumentale. Sì, strumentale. Potrei farvelo leggere nelle carte. Nelle carte c’è scritto. Dispongono la perquisizione nel mio ufficio con un unico obiettivo: rimuovermi dal mio posto nella convinzione che, se non lo avessero fatto, non avrebbero avuto campo libero per le intercettazioni dell’inchiesta Abu Omar e quindi per l’ascolto decisivo dei funzionari del Sismi. Pensavano: questo Tavaroli se ne accorge e avverte il suo amico Mancini (era il capo del controspionaggio dell’intelligence) e noi non caviamo un ragno dal buco. Così sono finito nel tritacarne…” ...» (Giuseppe D’Avanzo, ”la Repubblica” 21/7/2008). «[...] Qual è la verità di Giuliano Tavaroli? Quella raccontata in Procura, dove i vertici di Telecom sembravano non avere mai la consapevolezza di quanto il loro capo della sicurezza combinava con amici investigatori e dei servizi? O quella ripetuta ai giornali in varie interviste dove invece l’ex presidente Marco Tronchetti Provera e l’ex ad Carlo Buora vengono descritti come i committenti della sua attività di spionaggio illegale? A quale Tavaroli bisogna credere? [...]» (Paolo Colonnello, ”La Stampa” 22/7/2008). «L’ex responsabile della security della Telecom vecchia gestione ha affidato le sue verità ai quotidiani. Raccontando cose diverse da quelle dette ai magistrati, mandando messaggi, lanciando accuse finora indimostrate. Per non fare ”il capro espiatorio”. Ma a ben guardare, la sua rete di spioni, formata da investigatori e giornalisti, sembra sia stata capace di fabbricare dossier con ritagli di giornale e documenti trovati su internet, oltre che con tabulati telefonici. E oggi le sue ”rivelazioni” suscitano più dubbi che scandalo. Giuliano Tavaroli è quasi un personaggio scespiriano. In prima linea ai tempi dell’antiterrorismo, quindi capo degli ”spioni” della Telecom vecchia gestione, infine galeotto dai nervi saldi. Poi l’ex capo della security Telecom, descritto come l’uomo dagli occhi di ghiaccio, si è sciolto all’improvviso: ”La mia liquidazione è quasi finita, vado in giro a leggere i cartelli per accettare lavoretti...”. Sui giornali ha iniziato a coinvolgere gli ex vertici Telecom, quelli che prima aveva difeso: Marco Tronchetti Provera sapeva quello che facevamo alla security, va dicendo ora. Il contrario di quello che aveva dichiarato ai magistrati che lo accusano di associazione per delinquere, corruzione internazionale, divulgazione di materiale riservato. La domanda è dunque: che partita sta giocando Tavaroli? vero quello che ha detto ai pm oppure ciò che racconta ai giornalisti di cui ama attorniarsi? La risposta è forse nel messaggio che martedì ha [...] alla Stampa: ”Di certo non ho intenzione di fare il capro espiatorio. [...] Quando andremo a processo riparleremo di tante cose. [...] Un imputato ha anche diritto di mentire”. Chi lo conosce bene scommette che a causare lo scarto repentino sia stato il suo vecchio capo: infatti ”il dottore”, come Tavaroli chiama Tronchetti Provera, ha preannunciato che si costituirà parte civile nel processo contro di lui. Per altri, invece, è l’ennesimo colpo di scena preparato a tavolino, per non far spegnere i riflettori, magari in vista della prossima uscita del suo libro Spie. questo il metodo Tavaroli: dire e non dire, sedurre e affabulare, accarezzare e bastonare. Senza fretta. Ma di certo questo ex brigadiere dei carabinieri di Albenga le idee le ha chiare. L’ultimo fuoco d’artificio l’ha affidato alla Repubblica, dove ha fatto mettere nero su bianco cose che da tempo diffondeva in cene e incontri. E ha scelto Giuseppe D’Avanzo, giornalista del quotidiano. [...] pochi giorni prima dell’arresto, a Panorama aveva detto a mo’ di battuta: ”Vado in carcere su richiesta del sostituto procuratore D’Avanzo”. Ora proprio con il suo grande accusatore ha deciso di fare nomi e cognomi di un presunto ”network eversivo” vicino al centrodestra che lui avrebbe provato a contrastare, di fantomatici conti londinesi della dirigenza dei Ds. Per sparare a palle incatenate ha scelto chi gli offriva la migliore bocca da fuoco. Il disegno di Tavaroli resta imperscrutabile. Di certo, come ha detto, non vuole pagare da solo. E la piena assoluzione della vecchia dirigenza, ufficializzata dall’avviso di conclusione delle indagini firmato dalla procura di Milano, non sembra soddisfarlo. ”Quando mi hanno arrestato, a casa mia hanno trovato solo due dossier, il Garden e quello su Jnifen Afef” aveva detto a Panorama con il suo sorriso sornione. Millanterie? Il fascicolo Garden riguardava presunti conti esteri dei vertici Telecom, domiciliati presso la Banca del Gottardo. Quella sera a cena Tavaroli aveva consigliato al cronista di approfondire il tema e aveva raccontato di un precipitoso viaggio notturno a Monte-Carlo insieme con un dirigente della Telecom. Ad attenderli sulla terrazza di un albergo ci sarebbe stato un banchiere, di Albenga come lui. Insieme si sarebbero preoccupati di contrastare una possibile fuga di notizie. Il pasticcio era iniziato quando un impiegato della banca svizzera aveva inviato un’email alla Telecom in cui chiedeva soldi in cambio del suo silenzio su quei conti. Adesso il consiglio di Tavaroli era quello di cercare quell’uomo, stimolarlo. Il messaggio era chiaro: conosco i segreti di Tronchetti, e se parlo io... [...]» (Giacomo Amadori, ”Panorama” 31/7/2008).