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 2006  maggio 26 Venerdì calendario

La rivoluzione dei pigiami. La Repubblica 26 maggio 2006. L´uomo che vuole cambiare la vita dei malati cronici in Italia si chiama Pasquale Bizzarro, ha 57 anni, è laureato in ingegneria e si presenta a Benevento alle elezioni comunali

La rivoluzione dei pigiami. La Repubblica 26 maggio 2006. L´uomo che vuole cambiare la vita dei malati cronici in Italia si chiama Pasquale Bizzarro, ha 57 anni, è laureato in ingegneria e si presenta a Benevento alle elezioni comunali. Bizzarro non è un grande scienziato, non ha fatto particolari studi di medicina. Ha però una qualità, se così vogliamo chiamarla, che lo distingue da tutti quelli che gestiscono la sanità, pubblica o privata: lui stesso è un malato, affetto dal morbo di Parkinson da diciassette anni. Tra tutte le divisioni che separano una società in tanti segmenti non comunicanti tra loro, la divisione tra malati e sani è la più reale e acuta e anche quella più ignorata. E il simbolo visivo di tale disparità, negli ospedali e nelle case di cura, in Italia è costituito dal pigiama. A qualsiasi ora del giorno e della notte, sveglio e dormiente, ricco e povero, nordista o sudista, troverete sempre il malato con indosso questo indumento osceno, portato in ogni occasione, come per i carcerati la casacca a righe. E siamo tanto abituati alla sua presenza, dice Pasquale, che non facciamo più caso al profondo significato di rinuncia che rappresenta. Il pigiama non viene indossato per praticità, come sostengono medici e infermieri: ci sono innumerevoli altri indumenti altrettanto pratici quanto i pigiami ma che non escono mai fuori dalle valigie fatte dalle madri e dalle sorelle dei ricoverati. Sta invece a segnalare un distacco, come una dichiarazione esplicita di rinuncia, e la cosa è talmente evidente che, almeno visivamente, l´ambiente più simile a quello di un ospedale, in determinate ore, è il carcere durante l´ora della passeggiata. Pasquale racconta la storia di un suo amico ricoverato in una clinica neurologica situata nel profondo sud. Accettato per la prima volta come malato cronico in una casa di cura, l´amico di Pasquale si era accorto che indossare il pigiama significava immediatamente una omologazione ai livelli più bassi. Molti pazienti arrivavano dai paesi più lontani tra loro, ma una volta varcata la porta dell´ospedale quella diversità che portavano stampata sui visi ed era evidente nei loro accenti spariva appena entravano nella loro camera. Dopo aver tentato di convincere tutti i vicini di corsia a mettere via i pigiami, l´amico di Pasquale si era esibito in una performance etnica: con indosso una vestaglia casmira vistosamente ricamata d´oro e avvolta la testa in un asciugamano montato come il turbante di un sikh, si era infilato un paio di babbucce rosso cremisi e aveva cominciato a sfilare lungo la corsia dell´ospedale come una maharaja del Rajastan durante le visite ai suoi sudditi. Quando venne colpito dal Parkinson, Pasquale entrò in una depressione causata dallo choc, che d´ordinario si risolve in qualche mese. Nel suo caso la depressione durò tre anni e ha avuto bisogno di tutta la sua forza di volontà per allontanarla definitivamente. Tra gli innumerevoli effetti devastanti che la malattia reca con sé, uno dei più evidenti è l´inclinazione del busto, dovuta inizialmente alla difficoltà di camminare, ma che si trasforma in una postura sbagliata, difficile da mandare via... Per combatterla i fisioterapisti suggeriscono al malato di recitare la parte di un oratore che s´inalberi nella foga del discorso. Anche Pasquale ha cominciato a recitare, non solo per stare diritto, ma in senso molto più vasto della parola, nella classica sfida del malato che combatte il male comportandosi come se fosse un sano immaginario. Quanto peggio stava, tanto più sorrideva, diventava amabile, e invece di sedersi tranquillamente su una sedia si muoveva barcollando ma sempre rimanendo in piedi. Quando l´ho incontrato, in un altro di questi ospedali del profondo sud, era esuberante, allegro, masticava una gomma americana per nascondere un leggero tremito alla bocca ed era in grande confidenza con medici e direttori di case di cura, che chiaramente vedevano in lui un formidabile e vivente antidoto alla cupezza che regnava in qualsiasi clinica, anche se tutta tinteggiata con colori pastello. Era il testimone che tu potevi avere il Parkinson ma se volevi il miracolo questo dipendeva da te, dal tuo comportamento, dalla tua carica vitale, dal rifiuto di lasciarti vincere dalla malattia e non dalla medicina. Malati, avete paura di rimanere sulla sedia a rotelle? Guardate Pasquale settebellezze, guida la macchina, viaggia in continuazione, conduce una vita più che normale. E tutto questo perché è un ottimista. Per un discreto numero di anni Pasquale ha accettato di essere chiuso in questo ruolo da festoso testimone. L´aspetto paradossale di tutta la vicenda è che lui, fin dall´inizio, non aveva rispettato le prescrizioni dei medici e tanto meno aveva operato quelle eleganti congiunzioni tra l´effetto di un farmaco e quello di un altro, che stanno a fondamenta di ogni scuola parkinsoniana. Con una formidabile intuizione prendeva una pastiglia solo quando sentiva che il suo corpo non rispondeva più ai richiami del comando centrale. La sua altrettanto formidabile capacità di assorbire e sfruttare immediatamente i farmaci gli permetteva di riaccostarsi entro breve tempo a uno stato di normalità. Inoltre questo andare e venire dalle cliniche, l´uso quotidiano con medici e infermieri, l´assistenza che lui dava ad amici che si facevano ricoverare in quell´area, l´avevano portato ad una conoscenza diffusa e capillare della sanità pubblica, pur essendone estraneo. Quello era il più ricco affare di tutto il paese e i vari gruppi di potere si affrontavano al suo interno come nella giungla darwiniana: si lottava per la sopravvivenza, non si facevano prigionieri e il più forte prendeva tutto. Era una battaglia combattuta in assenza del suo vero protagonista: il malato. L´anno scorso, in pochi mesi l´ilare testimone si è trasformato, sotto gli occhi un po´ stupiti dei medici, in un difensore a tutto campo dei malati. Andando in giro a parlare dei suoi progetti di affiancare ad ogni direttore sanitario e amministrativo anche un malato, ha trovato molta comprensione presso il pubblico che non appartiene all´ambiente e un´ostilità non dichiarata, ma palese da parte di quelli che temono di dover dividere il potere. Ma il direttore generale delle Asl non l´ha voluto ricevere e così molto del notabilame che si serve della sanità per fare una carriera politica, proprio perché non ritengono che un malato, comunque, non possa diventare un politico. La difficoltà maggiore infatti sta nel convincere i malati ad abbandonare quel loro crogiolarsi nella disgrazia per assumersi non solo i diritti, ma anche i doveri del potere. A differenza di qualsiasi altro gruppo sociale, i malati cadono volentieri nel solipsismo e tendono ad isolarsi, impedendo così quell´unione delle forze che da sola è in grado di ottenere dei risultati. Tuttavia cominciano a capire tutti i vantaggi che arriverebbero con un malato nella direzione pensando che finalmente potranno avere un bollitore d´acqua nella stanza, letti più comodi, un maggiore rispetto da parte degli infermieri, pratiche più semplici per farsi ricoverare, per dire le prime cose che vengono in mente, cominciano a fare il tifo per il loro candidato. Intanto Pasquale è andato a ripassarsi la Rivoluzione Francese e una delle sue più famose battute, attribuita all´abate di Sieyès, che faceva riferimento al Terzo Stato, l´ha adattata alla sua campagna politica: «Nella Sanità i malati sono tutto, oggi non contano nulla, vorrebbero contare qualcosa». Stefano Malatesta