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 2006  maggio 19 Venerdì calendario

Eros e potere l’Italia nera del caso Montesi. La Stampa 19 Maggio 2006. Dopo mezzo secolo è ancora possibile appassionarsi alla incredibile vicenda nata attorno alla morte di Wilma Montesi

Eros e potere l’Italia nera del caso Montesi. La Stampa 19 Maggio 2006. Dopo mezzo secolo è ancora possibile appassionarsi alla incredibile vicenda nata attorno alla morte di Wilma Montesi. Mille altri delitti misteriosi si sono nel frattempo stratificati nella nostra memoria nazionale, ma nessuno altro giallo italiano è stato capace di riportaci in maniera così immediata a tali contrasti tra vereconda carnalità e lussuria di potere. Di questo caso resta vivo un ricordo intriso di acqua di colonia e afrore di sacrestia. Con un nuovo libro Francesco Grignetti aggiunge particolari al racconto e ne ribadisce il vero contesto. (Il caso Montesi. Sesso, potere e morte nell’ Italia degli Anni 50, Marsilio editore, pag. 269). Ne esce un quadro di processi sommari e vendette incrociate ancora capace di annichilirci. Miserie e splendori di uomini potenti che se le davano tra loro, ma per far più male miravano precisi a ciò che sta sotto alla cintura. Favola macabra Nel libro si parla della ragazza trovata senza vita sulla spiaggia di Tor Vajanica come di una favola macabra. Era la primavera del ’53, la bella Wilma aveva ventun anni, era prosperosa e ingenua come tutti allora sognavano dovesse essere una facile preda di piacere. Uscì tutta agghindata dalla sua casa in via Tagliamento un sabato pomeriggio, da allora divenne celebre per il suo cadavere riverso in riva al mare. Il caso è un intricato groviglio di crude realtà e spietate menzogne, l’ humus in cui si abbarbicavano e crescevano i democristiani di quegli anni era ben concimato dalle sconcezze, vere, presunte o solo desiderate che divenivano alternativamente strumento d’ offesa verso nemici da diffamare o abisso in cui perdersi. Salvo potersi poi affidare al ristoro di mortificanti catarsi. La bella trovata seminuda e riversa sulla battigia fu il detonatore per l’esplosione carnale di una bomba intelligente, il suo effetto fu all’inizio attenuato, ma solo perché recasse danno a tempo debito e su bersaglio concordato. Grignetti nel suo libro lavora di fino con lo zoom e ci fa riflettere su particolari fondamentali per spiegarci il fascino che ancora riveste la vicenda. Un’attenzione particolare merita il reggicalze che Wilma indossava quando uscì, ma che quando fu trovata cadavere era sparito. Un bustino di raso nero elasticizzato, alto venti centimetri. Chiuso a un lato con almeno cinque gancetti era frutto di malizioso bricolage domestico. Ella lo indossò sempre nel suo ultimo anno di vita. Tuttavia fu proprio per la scomparsa di quell’accessorio intimo che la madre cominciò a credere che la figlia non fosse morta per uno sfortunato pediluvio, come invece sanciva la prima imbarazzante versione dei fatti. Lo aveva cucito la stessa madre assieme alle altre sorelle, ma per sottolineare lo stato di illibatezza della figlia morta ne farà rivestire la salma con un abito bianco da sposa, questo non bastò a suggellare la storia di Wilma fuori dal cerchio dalle dicerie velenose che circolarono presto dentro e fuori al Palazzo. Uno sviluppo abnorme di illazioni, mezze testimonianze e larvate allusioni presto divennero per alcuni una gogna infame per altri un’ occasione ghiotta per prendere le distanze da Sodoma e Gomorra. Il reggicalze perduto La ricerca del un reggicalze perduto portò ad aprire il baule della biancheria sporca di un’intera classe politica. Vennero fuori festini notturni tra potenti debosciati e candide figlie del popolo, con supporto di cocaina. Uscirono fuori personaggi che oggi spopolerebbero nella tv verità, come la brillante Anna Maria Caglio. Anticipatrice di ogni aspirante velina era fidanzata e sedicente testimone di turpitudini del marchese Montagna, il tenutario di un fondo a Capocotta. La donna affidò a dei padri Gesuiti sconvolgenti confessioni su nessi oscuri tra potere e sesso di cui il suo compagno sarebbe stato tramite. La voce rimonta le impervie scale del Palazzo e scoppia lo scandalo politico come guerra intestina tra Piccioniani e Fanfaniani. Lo strascico lubrico della vicenda divenne alimento succoso per i giornali di quegli anni che imbandirono, con il pudibondo ed elusivo fraseggio dell’ epoca, le più arzigogolate tortuosità nel campo degli accoppiamenti umani. Venne fuori anche una pista che portava a misteriosi festini saffici, a un certo punto il giudice Sepe interroga la madre di Wilma, di fronte al marito le contesta un amante macellaio e un altro giorno entra in casa della morta anche il giornalista Fabrizio Menghini del Messaggero. Questi convince la sorella Wanda, alla vigilia del suo matrimonio, a sottoporsi alla vista ginecologica, chiesta sempre dal Presidente Sepe, forse per saggiare il livello di virtù ambientale. Lei doveva farlo prima che le nozze consumate rendessero vano l’esame. La ragazza accetta e il giorno dopo il suo certificato ginecologico con prognosi di illibatezza viene pubblicato dal giornale. Lo scandalo sui giornali Per non parlare del terribile contrappasso che colpì Giuseppe Sotgiu. Il Presidente comunista della Provincia di Roma si era animosamente scatenato sui costumi corrotti della Dc, ma fu a sua volta messo al centro di una campagna stampa infamante. Si disse che egli intrattenesse incontri a tre, assieme alla giovane moglie, in un alberghetto dedicato a tale pratica. Momento Sera pubblicò la foto della coppia mentre varcava l’ ambiguo portone e fu nuovo scandalo. Sotgiu fu rovinato e processato. L’Unità per salvare il salvabile pubblicò la foto del garzone compagno di triangolazioni in tenuta da atleta, si volle dimostrare che almeno non si trattava di un minorenne. Uno straordinario scenario attraverso cui prendevano forma tutti i possibili fantasmi erotici, quello della bella uccisa assieme quelli repressi sotto la grisaglia consunta sugli inginocchiatoi, abito da lavoro e strumento di piacere per quei pii ricostruttori dell’Italia e delle coscienze degli italiani. Gianluca Nicoletti