Corriere della Sera 20/05/2006, pag.37 Sergio Romano, 20 maggio 2006
Berlino 1943: i ricordi di Cristano Ridomi. Corriere della Sera 20 maggio 2006. Ho letto le sue risposte su Michele Lanza e il generale Efisio Marras
Berlino 1943: i ricordi di Cristano Ridomi. Corriere della Sera 20 maggio 2006. Ho letto le sue risposte su Michele Lanza e il generale Efisio Marras. Non so se lei abbia già ricordato Cristano Ridomi, autore di «La fine dell’ambasciata a Berlino 1940-1943». Ridomi è stato corrispondente del Corriere della Sera in quella città, e in seguito addetto stampa all’ambasciata. Lamberto Bozzi - Pesaro Caro Bozzi, nella galleria delle persone che furono travolte dalla tragedia italiana del 1943 e ne uscirono miracolosamente incolumi, Cristano Ridomi è una delle più interessanti. Quando lo conobbi nel 1954 era presidente della Rai e stava pilotando l’ente radiofonico nell’era della televisione. Ma negli anni precedenti, andando a ritroso, era stato console a Klagenfurt, capo dell’ufficio stampa di Alcide De Gasperi, addetto stampa dell’ambasciata d’Italia a Berlino, addetto della legazione a Vienna prima dell’Anschluss, corrispondente dalla Germania, inviato speciale del Corriere della Sera, conoscente e amico di Dino Alfieri, Filippo Anfuso, Galeazzo Ciano. Un tale cocktail di giornalismo e alta burocrazia all’ombra della politica e a cavallo fra due regimi richiede una straordinaria agilità e molta fortuna. questa, forse, la ragione per cui il suo libro (pubblicato da Longanesi nel 1972, tre anni dopo la morte) scivola su alcuni passaggi politici importanti ed è ricco soprattutto di sketch, bozzetti, cose viste e vissute. Dopo avere imparato il suo mestiere di reporter nella redazione del Corriere all’inizio degli anni Trenta, Ridomi aveva conservato l’occhio del cronista e riusciva a cogliere in ogni avvenimento la curiosità, il paradosso, la nota comica o tragicomica. Quando l’ambasciata d’Italia a Berlino apprese che il governo Badoglio aveva firmato un armistizio con gli Alleati e capì di essere finita nell’occhio del ciclone, Michele Lanza e Cristano Ridomi erano compagni di lavoro. Ma il primo raccontò soprattutto la storia politica di quei giorni e accennò alle vicende umane soltanto quando servivano a rendere più comprensibile la sequenza degli avvenimenti; mentre il secondo relegò la politica nel fondo della scena e collocò sul proscenio una folla di personaggi con le loro vicende tragiche, malinconiche, qualche volta persino ridicole. Il libro di Lanza assomiglia a una di quelle accurate ricostruzioni storiche che vengono periodicamente trasmesse dai migliori canali televisivi dedicati alla Seconda guerra mondiale; mentre quello di Ridomi ricorda i film di Ernst Lubisch, grande regista di deliziose commedie umane negli anni Trenta e Quaranta. Ma anche le commedie e la «piccola storia» possono servire a decifrare gli avvenimenti. Gli storici sanno che il maggior problema dei funzionari italiani in Germania nel 1943 fu la necessità di scegliere fra due giuramenti, due lealtà, due concezioni dell’onore nazionale. La maggior parte, come sappiamo, scelse il governo del re e accettò i rischi che ciò comportava. Altri invece (un numero più piccolo) decisero di restare in Germania e aderirono, dopo il proclama di Mussolini, alla Repubblica sociale italiana. Erano fascisti? Erano convinti che la Germania avrebbe vinto? Secondo Ridomi erano soprattutto innamorati. Qualcuno provò a conciliare la patria e l’amore tentando d’imbarcare una bionda fidanzata tedesca sull’ultimo treno da Berlino. Altri rimasero perché avevano in Germania da molti anni il centro dei loro affetti e delle loro abitudini. Forse il caso più patetico raccontato da Ridomi fu quello di un ex ufficiale di carriera, Paolino Ruggeri-Laderchi. Quando gli fu chiesto se era pronto ad abbandonare la città, mostrò a Ridomi la fotografia di una giovanissima donna bruna, con cui aveva da tempo una relazione segreta, e di due bambini. Poteva forse abbandonarli in Germania? Più tardi l’ambasciatore della Repubblica sociale ebbe pietà di lui e lo mandò a reggere il consolato generale a Dresda. Paolino Ruggeri-Laderchi sopravvisse al grande bombardamento alleato del febbraio 1945 e riuscì a fuggire con la famiglia. Ma una sera, mentre recitavano il rosario in un rifugio del Tirolo, chinò la testa sul petto e morì, forse stroncato da un infarto. La moglie riuscì a portare i figli in Italia e ad allevarli dignitosamente. La storia è fatta anche di piccoli eroi involontari a cui il lettore, passando, dovrebbe indirizzare un saluto. Sergio Romano