Note: [1] Enrico Currò, la Repubblica 20/5; [2] Marino Bisso e Corrado Zunino, la Repubblica 20/5; [3] Gino Bacci, Lippi un uomo in trincea, Eco Sport 2003; [4] Alessandro Gilioli e Marco Lillo, L’espresso 25/5; [5] Marcello Di Dio, Il Giornale 20/5; [6] , 20 maggio 2006
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 22 MAGGIO 2006
Venerdì scorso l’allenatore della nazionale di calcio Marcello Lippi è stato interrogato per tre ore e cinque minuti dai pm romani Luca Palamara e Cristina Palaia come «persona informata dei fatti» nell’ambito delle indagini sul cosidetto ”Sistema Moggi” (la cupola filo-juventina accusata di gestire da più di dieci anni il calcio italiano). «Non ha mai sudato e non si è tolto neppure la giacca», ha raccontato un assistente dell’ufficio. «Come si sente?». «Mica ho la febbre» ha sorriso ai cronisti che lo incalzavano mentre saliva in macchina per tornare a casa. [1] «Ha salvato le ossa», ha commentato Repubblica. [2]
Prima della nazionale Lippi aveva allenato, dal 1994, la Juve. Gino Bacci: «Si era chiusa l’era Boniperti. Una svolta epocale come può avvenire soltanto in grandi gruppi finanziari, dove la programmazione si definisce strategia aziendale e si lega a cambiamenti massicci. Via Giampiero Boniperti, dentro Antonio Giraudo. Via un intero staff dirigenziale, dentro un altro. Con Giraudo, ecco arrivare Bettega vicepresidente, e soprattutto lui, il Lucianone Moggi, plenipotenziario, furbo, tentacolare come un polpo, allievo prediletto di Italo Allodi». [3]
Come conseguenza logica finì anche l’era Trapattoni. Bacci: «La scelta cadde, un po’ a sorpresa, su Marcello Lippi già soddisfatto di aver trovato un suo spicchio di gloria a Napoli, dopo la controversa esperienza all’Atalanta. Non aveva lavorato male, migliorando il piazzamento dell’anno precedente con un sesto posto che gli valse l’ingresso in Coppa Uefa. Pensava di girare l’Europa col Napoli, invece gli arrivò la proposta di Moggi per passare alla Juventus. ”Ti vuole una società bianconera...”. Lippi tentò di stare allo scherzo e ribatté che lui a Cesena c’era già stato. In realtà aveva fiutato il momento solenne, l’offerta alla quale è impossibile dire di no. A Torino lo scudetto mancava da otto anni ed era la ”vacanza” più lunga che la società ricca di una fornitissima bacheca di trofei si concedeva nel dopoguerra. La sua attesa non aveva mai superato le cinque stagioni, la sua pazienza era finita. quindi comprensibile che al nuovo allenatore si chiedesse di vincere subito, senza il minimo indugio». [3]
Lippi non fallì. Vinse subito scudetto e coppa Italia (95), poi Champions League e Intercontinentale (96), altri due scudetti (97 e 98, quest’ultimo contestatissimo per il rigore negato dall’arbitro Ceccarini all’Inter nel match scudetto, dopo che già la Juve aveva goduto di molti favori), quindi le accuse di doping di Zeman, le dimissioni (99), una sfortunata parentesi all’Inter, il ritorno alla Juve (2001) e altri due scudetti (2002, 2003), le seconde dimissioni e l’approdo in nazionale al posto (ancora una volta) di Trapattoni (2004). Alessandro Gilioli e Marco Lillo: «Un rosario di trionfi che consente a Lippi, uomo di bell’aspetto e dalla battuta sagace, di diventare personaggio da copertina, ”il Paul Newman della Versilia”. Tra uno scudetto e una coppa, il mister va al Salone della Nautica di Genova e si compra il Dust, un bel 50 piedi a motore dell’Itama, due motori da 800 cavalli, prezzo attorno agli 800 mila euro, con cui Marcello scorrazza per l’Arcipelago toscano (e del resto Moggi in una telefonata definisce Lippi ”uno che parla solo di fighe e di barche”)». [4]
Quando a Torino il pubblico ministero Raffaele Guariniello scopre nella farmacia sociale bianconera 281 tipi di medicine, dai psicofarmaci ai cardiotonici, Lippi si schiera subito e con forza a difesa di quel sistema non criticabile. Gilioli e Lillo: «E l’eritropoietina? Macché, irride: ”Era testicolina”, cioè i giocatori della Juve che avevano le palle. Fra tre settimane quest’uomo, così embedded nel sistema di potere appena crollato, dovrebbe rappresentare l’Italia ai Mondiali: ”Dimissioni? Non ci ho mai pensato. Perché mai?”, dice». [4]
«Lei fa parte della Gea?» è stata la prima domanda dei pm Palaia e Palamara. [5] La Gea è, per quelli che ancora non lo sapessero, l’agenzia di procuratori che, capeggiata da Alessandro Moggi (figlio di Luciano), gestisce centinaia di tesserati. Nel rapporto dei carabinieri Lippi appare al numero 17 della lista degli allenatori. E il figlio Davide è uno dei collaboratori: «Io assistito da mio figlio Davide? Non ho mai avuto alcun procuratore... No, mio figlio non mi procura», ha risposto il ct [2]. Molti pensano che non dica la verità. Valentina Errante e Massimo Martinelli: «Il ragionamento era semplice e lineare: se un calciatore gioca in Nazionale aumenta il suo valore sul mercato, la visibilità, il potere di immagine. Luciano Moggi l’aveva capito per primo e il suo, di potere, aveva cominciato a condizionare pesantemente le scelte del ct Marcello Lippi. Il quale non si opponeva per niente. Anche perché, se aumentavano di valore i giocatori della Gea, gestiti dal figlio di Moggi, andava bene anche per il suo di figliolo, Davide Lippi, consulente Gea». [6]
Gli investigatori hanno scritto che «l’azione di Moggi sulla Nazionale si estrinseca anche grazie a una certa subalternità di Lippi nei confronti del dg bianconero». Marino Bisso: «Il 18 marzo 2005 Lippi dice a Moggi che Striscia la notizia sta mettendo in cattiva luce la Juventus e poi parla di Del Piero che, su suggerimento del dg juventino, non dovrà essere convocato dopo una trasferta in Giappone. Lippi concorda ” meglio che non lo chiami perché... perché se in Nazionale poi fa due gol dopo rompono i coglioni a Capello”. Ma nell’informativa dai carabinieri di Roma viene anche ricostruita la vicenda del calciatore Manuele Blasi». [7] Maurizio Galdi e Gaetano Imparato: «Un macigno le dichiarazioni del manager di Blasi, Stefano Antonelli, (quest’anno consulente dell’Ascoli di Benigni) su una chiacchierata che proprio Davide Lippi avrebbe fatto con Blasi (assistito da Antonelli) a Coverciano. ”Torna con la Gea e lascia Antonelli - avrebbe consigliato Lippi jr - e la Nazionale diverrebbe, per te, una realtà costante, visto che mio padre ha un occhio di riguardo per i nostri assistiti”. Millantato credito o la forzatura d’un manager ”nemico”?». [8] Lippi: «Quando mio figlio mi parlò della sua intenzione di fare questo lavoro, gli risposi: non prenderò mai in squadra un tuo giocatore». [9]
Nel suo biennio azzurro Lippi ha convocato 71 calciatori. Quelli gestiti dalla Gea sono 10: Materazzi, Nesta, Blasi, Mesto, Cassetti, Amelia, Legrottaglie, Di Vaio, Oddo, Chiellini (gli ultimi due gestiti da Lippi jr.). [10] In Germania andranno solo quattro di questi (Amelia, Oddo, Nesta, Materazzi) più altri due (Camoranesi e Cannavaro) che possono dirsi in orbita Gea. [11] Dalle intercettazioni è emerso che Alessandro Moggi raccomandava (diceva di farlo) al ct anche giocatori fuori dal giro azzurro e non proprio giovanissimi. Gian Marco Chiocci: « il caso del difensore leccese Lorenzo Stovini a cui Moggi jr a novembre del 2004 fa intravedere un sogno chiamato nazionale: ”Ho parlato di te con Marcello Lippi. Mi ha assicurato che ti tiene sotto controllo anche tramite i suoi osservatori e che valuta una tua eventuale convocazione in maglia azzurra”. In alcuni casi avviene il contrario. Sono i giocatori ad accorgersi che la ”targa” Gea aiuta sul lavoro. Un anonimo giocatore del Messina parlando col figlio di big Luciano dice di aver avuto assicurazioni ”personalmente da Lippi” che la sua convocazione in Nazionale è garantita ”anche se gioco una partita sì e tre no”». [12]
Non si contano le occasioni in cui Moggi senior si è vantato di decidere le convocazioni. Alberto Pastorella: «Lo ha fatto al telefono con un certo Galea (’La prossima volta Miccoli non lo faccio nemmeno chiamare in nazionale così gli metto giudizio, perché in Nazionale ci va perché l’ho mandato io”), lo ha fatto con Fedele, procuratore di Cannavaro che si lamentava perché Fabio saltava una partita della Nazionale (’Non è più nell’Inter, deve attenersi a quel che faccio io”)». [11] «Il ”sistema Moggi”? Mai percepito», ha però detto Lippi ai pm. «Le telefonate? Avessero intercettato i cellulari di altri o il mio, avrebbero scoperto che le discussioni con Moggi o Giraudo sono le stesse di altre persone coinvolte nel discorso Nazionale. Pressioni di Moggi? Assolutamente no. Cannavaro assente contro la Bielorussia? Parlai coi medici juventini perché Fabio non era in grado di sostenere due partite in pochi giorni. Se poi vi riferite al ”guarda che c’è quel giocatore che sta andando bene, osservalo, chiamalo” segnalazioni ne ricevo tante e da molti allenatori». [8]
Gli ex ct della nazionale non credono al Lippi manovrato. Arrigo Sacchi (secondo ai mondiali del ’94): «Credo che abbia una forte personalità. Non penso che sia venuto in contrasto con la sua coscienza professionale». [13] Trapattoni (fuori agli ottavi nel 2002): «Il lavoro di un ct è più che mai alla luce del sole e io lo posso dire». [14] Azeglio Vicini (terzo nel ’90): «Da quando sono andato via io sono passati 15 anni, ma sembrano 200. Noi vecchi c.t. eravamo uomini cresciuti in casa della Federazione, uomini soli, in un certo senso, con pochi legami. Chi proviene dai club ha più rapporti di amicizia, è normale». [15]
La Stampa ha chiesto ai navigatori del suo sito internet se Lippi dovrebbe dimettersi: il 59% ha risposto di sì. [16] Enrico Ruggeri (cantante pro dimissioni): «La stampa tedesca non è mai tenera con noi italiani, a volte anche per partito preso: bastano due vongole avariate a Rimini per vedere titoloni sulla Bild. Ecco, in questa occasione noi diamo loro buonissimi motivi per darci addosso». [15] Beppe Grillo (comico): «Non voglio sentire in mondovisione i fischi degli stadi tedeschi e la derisione dei giornali di tutto il mondo. Bisogna fargli causa. Ai mondiali di calcio la Nazionale è la Nazionale Italiana. Non è la nazionale della Gea. Lippi deve dimettersi». [17]
Dice: non è il caso d’essere moralisti, ma chiari. Beppe Severgnini (giornalista): «Non preoccupano solo le cose che si sentono, ma soprattutto quelle che non si sentono. Lippi non può limitarsi a dire ”Tutto bene” e scivolare fuori dagli interrogatori coi finestrini chiusi. Per esempio: è vero che ”conflitto d’interessi” in Italia è un’espressione misteriosa come un’imprecazione uzbeka, ma farsi gestire dalla Gea come tecnico (!) e convocare in Nazionale giocatori assistiti dal figlio non sembrano grandi idee. D’accordo, non è un reato (questo), ma è una mancanza di stile, e l’allenatore della Nazionale un po’ di stile deve averlo». [18] Diego Abatantuono (attore): «Io sono per le regole chiare e forti ma in Italia sembra sempre che non ci siano problemi. Il conflitto di interessi non è reato. Avere un figlio che fa il tuo stesso mestiere non è reato, reato c’è se ci si accorda per fare delle scorrettezze. Ci sono figli di politici che rivestono cariche parallele e quelle dei padri». [19] Saltasse Lippi, la prima scelta sarebbe probabilmente l’allenatore del Milan Carlo Ancelotti (due anni e mezzo alla Juve con Moggi, però senza vincere niente...), poi l’allenatore dell’Under 21 Claudio Gentile, «si parla addirittura di Trapattoni». [11]
possibile avere sul campo grandi risultati in queste condizioni? L’ex ct Enzo Bearzot (campione del mondo nell’82): «Io ho vissuto giorni tremendi. Con l’Euro 80 in Italia dovetti ritardare il ritiro poiché non sapevo chi mi veniva sottratto dalla magistratura. Persi sia Rossi sia Giordano e a Milano, contro la Spagna, ci gridarono ”venduti”. Nel ritiro, un giornalista gridò spazientito: ”Fossi Trinca o Cruciani (i due faccendieri al centro del calcioscommesse, ndr) sarei da un pezzo dentro l’albergo”. Non lo meritavo. Arrivammo quarti, imbattuti. Ma era il caso di tirare fuori questa storia alla vigilia? Non si poteva aspettare che finisse o muoversi molto prima? Avremmo giocato la finale contro la Germania che contro di noi perde sempre. Adesso rischiamo che la gente fischi il nostro inno». [20]
Siamo in Italia. E siamo l’Italia. Massimo Gramellini: «Una nazionale, e ancor prima una nazione, che dà il peggio di sè nelle situazioni normali, ma è capace di miracoli quando viene calata a forza dentro un’emergenza. Pare già di vederli in ritiro, Lippi e i suoi bambocci. Tutto il mondo contro di loro. Sottovalutati dagli avversari, irrisi dai tifosi stranieri e aspettati al varco da quelli italiani, con scarse speranze e ancor meno pietà. Quanto basta per scatenare la rabbia vittimista che nel dna italico tiene il posto dell’orgoglio e ha sempre propiziato le nostre rimonte in tutti i campi, non solo di calcio. Quando si trova spalle al muro, l’italiano non si abbatte, nè prova ad abbatterlo. Lo scavalca, con furbizia e riserve imprevedibili di tenuta nervosa. Perciò non ci stupiremmo affatto se la comitiva di campioncini viziati e presuntuosi che in un clima più sereno sarebbe andata incontro a una probabile magra, giocasse nella tempesta un Mondiale straordinario». [21]