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 2006  maggio 16 Martedì calendario

LO SCONTRO DI PATRIZI E PLAYBOY

la Repubblica, martedì 16 maggio 2006.
In apparenza il linguaggio è una struttura logica e razionale, una tavola levigata dalle regole. Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere: Wittgenstein sanziona un aut aut piuttosto utile per districare analiticamente il senso e l’ insensato. Solo che basta un niente, un innesco, la classica «scintilla» che con una metafora derapata fa «traboccare il vaso», e all’ improvviso le parole diventano una superficie tellurica. Lo aveva intuito e descritto Freud a proposito del lapsus; nel suo ultimo libro, Stefano Bartezzaghi ricostruisce un trattato possibile dell’ insurrezione linguistica. Non è un libro di giochi o di enigmi, come potrebbe pensare chi conosce il talento sulfureo con cui Bartezzaghi fa il jongleur lessicale: Non ne ho la più squallida idea, che reca per sottotitolo Frasi matte da slegare (Mondadori, pagg. 202, euro 14, in libreria in questi giorni) assomiglia piuttosto a un repertorio delle modalità per cui il linguaggio diventa un’ arena anarchica, uno "stato d’ eccezione" permanente, in cui l’ intenzione conta più della forma e della plausibilità. Una frase come «ho sentito urla beduine» trasforma un modo di dire stereotipato in una voce che grida nel deserto; «per tua enorme regola» proietta un dettato normativo verso un imperativo assoluto che potrebbe essere schmittiano (proprio in quanto è il sovrano, il decisore, qui colui che parla, a imporre la decisione nello stato d’ eccezione linguistico). E non è neppure uno stupidario. Se uno scolaro elementare scrive nel compito: «I Romani erano divisi in due classi: i patrizi e i playboy», può anche trattarsi di uno svarione da fiera delle castronerie; ma la perspicacia faziosa di Bartezzaghi ci invita a sospettare che l’ errore spalanchi uno squarcio temporale molto più suggestivo che va dall’ antica Roma alla via Veneto della Dolce vita. Tutto questo carnevale delle parole, il mondo alla rovescia della lingua, prende le mosse dalla rubrica "Lessico e nuvole", che Bartezzaghi ha cominciato a tenere sul sito della Repubblica cinque anni fa. Mentre allestisce «anagrammi, palindromi, poesie deformate», una corrispondente gli manda qualche gioco lessicale, involontario e placidamente eversivo, attribuito a un’ amica. Comincia una corrispondenza, e un genere: non giochi di parole, ma «i giochi che le parole fanno a noi». Il catalogo delle frasi matte, quelle espressioni che, in un altro lapsus ortografico, «svegliano l’ arcano». Vale a dire che «aggiungono alla realtà i pezzi che le mancano. Il Super-io telefona, ma l’ inconscio ride». Sostiene Bartezzaghi che ogni tanto ci visita uno spirito particolare, l’ angelo della frase matta: sfiora un modo di dire e gli conferisce un’ aura imprevista, un impulso eccentrico, un soffio misterico; prende reliquie verbali, metafore morte, la foresta pietrificata delle parole, e tramuta tutto in nonsense, o in un significato ulteriore. Le fa rivivere in un universo inedito. Così, inaspettatamente inferocita, l’ ambulanza arriva a «sirene spietate». In una biblioteca privata trasfigurata in un acquario, qualcuno pensa «di fare una cernia fra i vecchi libri». L’ amica dotata di polso «difende sempre le sue idee "a spatatrac"». L’ effetto è spesso irresistibile, soprattutto quando inocula il germe della devianza in un verso classico, conosciuto da tutti: «Non ti curar di lor, ma guarda i passeri», come dice un personaggio di Aldo Busi nella Vita standard di un venditore provvisorio di collant. O quando il galante corteggiatore sfoggia il suo francese più arbitrario: «Ma lei oggi è veramente sciarpant!». L’ enigmistica fa capolino, di tanto in tanto, fornendo una specie di serendipity delle soluzioni casuali alle parole crociate: «è bianca a Washington. Soluzione: neve». Fino alle definizioni al limite del pecoreccio: «Battono con il freddo: trans siberiani». «Le montano i campeggiatori: tedesche». O a una delle migliori etimologie selvagge mai rubricate, dedicata a «Voltaire: unità di misura dell’ illuminismo». Ma il censimento di Bartezzaghi, la sua ricognizione in un paese delle meraviglie in cui la burocrazia imperversa con intimazioni contraddittorie («Gli arretrati si pagano in anticipo»), e dove i medicinali per il trattamento dell’ insonnia hanno fra le avvertenze: «Attenzione! Può provocare sonnolenza», costituisce in realtà la descrizione per sintomi sociologici, o sociolinguistici, del mondo in cui viviamo. In cui le clienti possono chiedere in un negozio di abbigliamento: «Questa maglia ce l’ avete pure in perelle e in perperelle?», e dove l’ enigma si scioglie nella scoperta euforizzante che quelle parole esoteriche stanno per «le taglie XL e XXL». Più o meno come i leggendari studenti che equivocavano sul Super-io e all’ esame lo chiamavano "il superdieci". Sono queste sfasature nella lingua condivisa che rivelano come le conversazioni quotidiane siano produzioni di significato decodificabili soltanto se si è a conoscenza del contesto. Bartezzaghi fornisce gli esempi che mostrano come funzionano, e come all’ improvviso smettono di funzionare, i messaggi della quotidianità, le «interazioni simboliche» descritte da un maestro della sociologia moderna come Erving Goffman. Ci si parla, e nel faccia a faccia si produce senso: ma talvolta questo senso, se il "parlante" è particolarmente trasgressivo, sbadato, o ignorante, ne produce per traslazione un altro. Si tratta di riconoscerlo e magari ci si può divertire a osservarne gli slittamenti, progressivi quanto rivelatori. Sicché l’ anziana affittacamere tedesca che a causa del suo malcerto italiano espone il cartello: «è vietato portare le zoccole in camera», da un lato commette un modesto errore grammaticale, ma dall’ altro scolpisce un tabù, ed espone in pubblico un pensiero dominante e condiviso a proposito della finalità delle camere. Oppure ancora. è vero che l’ icona sublime della castroneria linguistica, l’ allenatore Giovanni Trapattoni, viene messo a catalogo per un meraviglioso nonsense: «Giocatori con caratteristiche diverse poi si eludono a vicenda e diventa poi anche difficile proporsi in emozione come usate dire voi», e nel caso lo squilibrio con la sfera del comprensibile può apparire irrimediabile, anche se esilarante. Ma bisogna considerare che la lettura delle frasi matte porta a una saturazione, al punto che l’ accumulo di scarti linguistici porta a una difficoltà a cogliere l’ errore, il tocco dell’ angelo. A mano a mano che si legge, la perfetta insensatezza risedimenta un suo senso balordo, da cui diventa difficile sciogliersi. Per questo alla fine Bartezzaghi avverte il lettore: «Non legga tutto di seguito, l’ accumulo di frasi matte può nuocere. L’ arcano vuol essere risvegliato poco alla volta». Altrimenti la previsione è implicita: ogni frase matta può essere «la goccia che fa traboccare il water».
Edmondo Berselli