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 2006  maggio 12 Venerdì calendario

Morricone: "Mi voleva Kubrick", La Repubblica, 12 maggio 2006 Nella sua bella casa romana, davanti a una vista mozzafiato, Ennio Morricone sfoglia la sua vita come una margherita di capolavori

Morricone: "Mi voleva Kubrick", La Repubblica, 12 maggio 2006 Nella sua bella casa romana, davanti a una vista mozzafiato, Ennio Morricone sfoglia la sua vita come una margherita di capolavori. Sul tavolo c´è un nuovo disco (Here´s to you...) un´antologia delle sue grandi musiche da cinema che verrà distribuita in tutto il mondo, ma ci sono anche vecchi vinili, uno dei quali dedicato alle musiche che ha scritto per i film di Pasolini. C´è anche un brano che s´intitola Addio a Pier Paolo Pasolini. «In realtà è l´unico pezzo originale di pianoforte che scrissi per Salò. Ma il disco uscì dopo la sua morte e allora l´ho intitolato così». A 78 anni ha l´energia di un ragazzo, sta scrivendo le musiche per il nuovo film di Tornatore e ha in mente tanti progetti («Sto pensando a una nuova sinfonia, forte, gioiosa, come un Magnificat, ma in senso laico»). Dopo qualche reticenza accetta di suonare al pianoforte il Tema di Debora, da C´era una volta in America, forse la più struggente tra le sue composizioni, e il panorama di Roma si tinge di nostalgia. Il tema esprime un sentimento forte, non così usuale nelle sue musiche. «Quando mi trovo dinanzi a un film», spiega «so che devo fare un servizio, la musica è un´arte complementare, quindi prendo l´atteggiamento che il film richiede, propongo delle idee al regista, ne discutiamo, correggiamo, poi troviamo la soluzione. Quindi se sono sentimentale è perché il film lo richiedeva, nei western certo non lo sono, tantomeno nei film di Dario Argento». Il secolo passato è stato anche il secolo della musica da cinema. Come vive oggi la condizione del compositore dedicato? «I detrattori possono dire quello che vogliono, ma dovranno fare i conti con la musica del cinema che fa parte come e più di altre musiche della vita, dei costumi, della storia del nostro tempo. E poi la musica applicata, commissionata, è la musica di sempre. Pensiamo a Haendel, la Musica per i reali fuochi d´artificio, non era forse applicata o commissionata?». Possiamo dire che malgrado i condizionamenti la musica da cinema sia stata una formidabile occasione di sperimentare? «Assolutamente sì, uno dei miei esercizi preferiti è fare esperimenti che il regista non sa e non può sapere, magari lo percepisce quando sente qualcosa di nuovo che lo affascina, allora capisco che l´esperimento è passato. Questo poi torna anche nelle musiche assolute. Un tempo erano mondi che sentivo lontanissimi, anzi dopo aver scritto tanto cinema dovevo prendere controveleni». E quali erano i controveleni? «Beh, ascoltavo Bach, ma ora non più perché c´è una convergenza tra sperimentazioni per il cinema e altre che seguo per le mie composizioni libere. La musica del cinema non è solo musica sinfonica, è musica del nostro tempo. Il compositore si rivolge a una platea vasta e deve tenere conto di tutto quello che succede in musica. Bisogna avere le carte in regola per scrivere una sinfonia, ma se serve una canzone da cantautore io la scrivo. In Uccellacci e uccellini, Pasolini mi disse: "Vorrei una musica per accompagnare i titoli, cantati da Modugno", e allora ho scritto una filastrocca». Anche i fischi e i rumori che mischiava nei western di Leone erano frutto di esperimenti? «Certamente. Sui titoli di testa di Un pugno di dollari, c´era la voglia di usare strumenti della vita di un uomo di campagna che vive con gli alberi e gli animali, quindi il piffero del pecoraio, la campana della chiesa, la frusta e altri suoni della realtà. Pensavo a un uomo che ha nostalgia della città o viceversa. Per il secondo film Leone voleva lo stesso linguaggio, io ci misi addirittura un marranzanu (scacciapensieri, ndr), e di nuovo il fischio perché se glielo levavo moriva, al terzo film (Il buono il brutto e il cattivo) il tema nasceva dal verso del coyote. Ma lì era giustificato perché i personaggi erano caricaturali. Leone l´accettava. Quando diceva a Clint Eastwood, visti i tempi che lui si prendeva quando masticava il sigaro: "Prima dì delle invettive gravi, e poi dici la battuta". Quindi mi potevo permettere di spingere la musica fuori dai canoni». Ci sono stati registi più stimolanti di altri? «Mi sono trovato bene con tutti, con Pontecorvo, con Montaldo, Bolognini, Elio Petri. Ultimamente, ed è uno di quelli con cui mi sono trovato meglio in assoluto, c´è Tornatore». Al contrario. Ha mai escluso qualcuno? «Certo, Faenza. Siamo rimasti amici, ma un regista non mi può dire: "E se poi in sede di montaggio le musiche non mi piacciono?". Anche coi Taviani ho lasciato, ci vogliamo molto bene, ma loro hanno l´abitudine di scrivere le sceneggiature con delle musiche classiche, e vogliono che il compositore ripeta quello che hanno già scelto». C´è stata rivalità con gli altri compositori? «Ma no, Piovani ad esempio scrive una bellissima musica». E Rota? Si narra di un rapporto non proprio idilliaco, è vero? «Abbiamo legato negli ultimi tempi. Mi sorprese, perché aveva scoperto uno degli esperimenti che facevo. Mi disse: "Ma tu stai facendo una musica puntillistica col sistema tonale", e quindi l´ho stimato ancora di più e da quel momento siamo diventati amici. La verità è che lui con Fellini ha fatto cose un po´ così, il vero musicista è uscito fuori solo con Casanova, dove Fellini non gli ha potuto dire come faceva sempre: "Fammi l´imitazione di Io cerco la Titina o la marcia dei gladiatori, che era l´unica o quasi cultura musicale di Fellini». Ha dei rimpianti, per esempio di non aver mai lavorato con Kubrick? «Dovevamo lavorare insieme. Mi chiamò per Arancia Meccanica, eravamo già d´accordo. Voleva che io gli facessi l´imitazione della musica che avevo scritto per Indagine su un cittadino di Petri. Poi chiamò Leone e lui disse no, sta missando con me (era Giù la testa). Kubrick per educazione lasciò perdere. Fu correttissimo, pur essendo fissato con la sua idea, quando poi chiamò Walter Carlos non gli chiese un´imitazione, cambiò completamente strada». Gino Castaldo