Alberto Arbasino, La Repubblica, 13/05/2006, 13 maggio 2006
Lolita sull’Honda, La Repubblica, 13 maggio 2006 Vladimir Nabokov. Cinquantenario di Lolita! Ci si risente, ringiovaniti, nelle venerande librerie parigine dove (negli anni Cinquanta) i libri vietati e "scabrosi" venivano venduti «sous le manteau», cioè sottobanco
Lolita sull’Honda, La Repubblica, 13 maggio 2006 Vladimir Nabokov. Cinquantenario di Lolita! Ci si risente, ringiovaniti, nelle venerande librerie parigine dove (negli anni Cinquanta) i libri vietati e "scabrosi" venivano venduti «sous le manteau», cioè sottobanco. Soprattutto in rue Visconti, di cui Luchino si vergognava perché stretta e misera a St-Germain. Era però intitolata non ai milanesi ma al romano Ludovico Tullio, figlio di Ennio Quirino Visconti e architetto della tomba di Napoleone agli Invalides. Lì, guardingamente, si acquistavano i "pruriginosi". I vari Sade pubblicati da J. J. Pauvert. Certi Dalì dattilografati uno ad uno con disegnini incollati e custodie da dispense scolastiche con fibbie. Vari bidoni. E i diari porcelloni e casalinghi del vecchio Léautaud. I romanzetti di Georges Bataille dove (come minimo) si gustano le feci della nonna morta sul cadavere decomposto della povera zia. Trasgressività e signorilità. Mentre se si domandavano rozzi e volgari cowboys del Texas sotto docce rustiche, si veniva scacciati con moralismo e bon ton. Come si moriva dal ridere, poi, alla Coupole. Appunto lì si acquistava (furtivi e circospetti), la prima Lolita pubblicata nella peccaminosa e segnaletica veste verdognola dell´Olympia Press di Maurice Girodias. Che subito recensii sul Mondo, nel 1958. In quello stesso agosto, ritrovo, recensivo anche Salinger, The catcher in the rye. Erano anni stralunati e strani? Con più bella roba in giro? Anche più gusto nelle scoperte non "strombazzate"? Più tardi, Girodias venne a colazione per invitarmi come giurato a un concorso di eleganti porcate cinematografiche a Francoforte. Immediatamente! Il mio rapporto, uscito sull´Espresso, venne intitolato da quei probiviri «Sulla Honda del piacer». Ma quando poi Nabokov si arricchì, veniva a Roma, al Grand Hôtel, con la moglie Vera. Un´altra Vera Stravinskij: capelli bianchi ben pettinati, carnagione curata, belle perle su bell´abitino nero con stola di visone come il faut. Attentissima, credo, anche ai conti e ai cespiti. Però ancora stupita per le tante lettere, tipo: «Sono una casalinga sola in cucina, con la bambina fuori a scuola, e approfitto del tempo libero per scrivervi che Lolita mi è piaciuta moltissimo». E lui: «Io lo giudico un libro più tragico che comico. Che cosa è, se non la storia di una bambina triste in un mondo tristissimo?». E la moglie come in uno sketch: «ma se fosse narrata da Lolita stessa, e non dall´uomo?». Ma l´autore come da copione: «A tanta gente, il mio protagonista fa pietà. A me, niente. Dopo tutto, ha avuto quello che voleva, e lo sconta amaramente. Se si ragiona basandosi sulla pietà, si fa come quelle cretine che compiangono i poveri vincitori dei quiz televisivi truccati, perché hanno sofferto... Ma come si fa a commiserarli, con tutti i soldi che vincono? Paghino!». stato un piacere, scrivere Lolita? «Soffrire, no. Ma fatica sì, tanta. Raccogliere tanto materiale e tante informazioni su argomenti che non si conoscono troppo: libri di medicina, carte topografiche, sentenze di tribunali di minorenni... Ho fatto un lavoro di schedatura tremendo, né più né meno che nei lavori accademici: un metodo di lavoro sempre molto professorale... Ma soprattutto volevo che la parte ossessiva, e un po´ ipnotica, si mescolasse strettamente al côté di puro scherzo. Così ci si diverte al giuoco, ma intanto si rimane turbati, coinvolti in uno status angoscioso»... E le ragazze italiane? «Tutte delle Bardot, ancora per qualche mese, non più tutte Grete Garbo, che era il mio ideale. Ma quanto vero amore "artistico" per la vita! Anche la cameriera che porta le salviette ha gesti meravigliosi!». «Si vede che sarà una cameriera artista», ribatte la signora Nabokov. * * * Paul Newman. Anni o decenni fa, aveva accesi ammiratori fra i buongustai della Dolce Vita romana. Quando andai a Broadway (nel 1959), mi ingiunsero di guardarlo da vicino, per poi raccontarlo. Recitava nel Sweet Bird of Youth di Tennessee Williams, bel titolo impresentabile in italiano (anche se giusto) come «Dolce uccello della gioventù». Le signore milanesi avrebbero detto subito: «un bel nanìn, e propi brav». Piccolino e zelante, coi bellissimi occhi texani chiari. Ben diretto da Elia Kazan, con la sensazionale Geraldine Page, sublime mostro sacro: spettinata e drogata e discinta, brancolando nell´enorme letto disfatto e urlando «la bombola! la bombola!». Poi, tastando qua e là: «Chi sei? Dove siamo? Che età hai? Sei bello, almeno?». E poi «Uhm, ne ho fatti di peggio». Regìa, modello Visconti. Anzi, viceversa: basta confrontare le foto di scena degli originali americani e delle versioni italiane successive. Nei camerini, misurandoci ad occhio, ho visto che lui era un po´ più piccolo di me: diciamo, sul metro e settanta. Quando l´ho riferito a Roma, vi fu un minuscolo "sturbo" nel demi-monde. * * * New Orleans. «Non voglio vederla!» direbbe Garcìa Lorca. Ma tornano le memorie di qualche decennio fa, quando nella realtà pareva inventata dal Tram chiamato Desiderio. Secondo gli scrittori americani amici, due personaggi erano un «must» da incontrare in città. Una potente agente immobiliare del Garden District, detta «la vera e sola Mrs Stone» dalla Primavera romana appunto di Tennessee Williams. Romanzo certo démodé, perché ancora negli anni Cinquanta la Trinità dei Monti era davvero deserta dopo cena, e dunque i gigolò romani potevano esibirsi tutti soli davanti alle finestre degli alberghi. Ma in seguito essa veniva a Roma con un´amica albergatrice del Vieux Carré e due assistenti intellettuali dabbene che si rimbeccavano «I love Caterina» e «I adore Maria» (parlando delle due Medici). Visitavano un´altra anziana americana che viveva in un villino presso Piazza della Libertà (vi subentrò poi Tomàs Milian), e si presentava come «star di Fellini» perché aveva avuto un "cameo" nella Dolce vita, grazie al leggendario cast director Guidarino Guidi, che le pescava ai cocktails e ai tè. E poi, tutti al Meo Patacca, coi butteri e le fiaccole fuori, a Trastevere. (I due, Tom & Bob, con civile costumanza riepilogavano ogni viaggio in una «newsletter» per gli amici, onde evitare le troppe telefonate ripetitive). L´altro era un legale molto palestrato e brizzolato e viveur in «crew cut», con una celebre cantina sado-maso che pareva appena rifinita dagli arredatori di Vogue. Fu poi processato e messo nei film come organizzatore dell´uccisione di Jack Kennedy. Ma se c´entrava, l´avrà fatto per presenzialismo. (Altre due famose camere di tortura a Manhattan appartenevano a un critico di fama e a un architetto di grido; e lì certe dame d´alta società in visita si spaventarono un po´ davanti ai bruti in cuoio nero, che però spiegarono, in vocine afro-wasp: «Fashion, madam»). Quella «decadenza» era ancora un´Età dell´Innocenza, in realtà. I pompieri di Canal Street sedevano per strada, la sera, e col loro quieto accento del Sud invitavano a fare un giretto fra le brande e i camion. Senza etichette o marchi di categorie. Tutto laconico, senza retoriche. Solo sommarie indicazioni pratiche. Come fra i marines e i cowboys nella vecchia tradizione folk del «prendilo come un vero uomo, baby». In quella «Vecchia America di tempi ormai lontani», anche i giovani executives in camicia bianca e cravatta nella "pausa lunch" s´infilavano tutti insieme nei «Men» dei supermercati, nel Profondo Sud, e poi le pareti si scuotevano come in un "round-up" o "corral" di cavalli. Mentre il sabato sera i camion degli accampamenti portavano i militari nelle taverne «boys only» col travestito grasso che cantava sfacciataggini convenzionali in parrucca bionda, e un recinto buio dietro il patio, coi sottufficiali a far la guardia. «Fun & Games» ancora nativi e spontanei, giacché privi di esempi e modelli da libracci o filmini, allora inesistenti. Dunque ecco "live" e primordiali i futuri "miti" e "cult" delle saghe camionistiche on the road: non ancora nella letteratura, ma nei vasti servizi delle gas stations con gli enormi buchi nelle cabine (i leggendari glory holes) che garantivano piene soddisfazioni e impunità reciproche ai veri maschi su strada. E negli aeroporti, gli immensi giocatori di baseball adorati dai piccoli tifosi dell´autografo, ma affettuosamente scortati da ricchi e vistosi sugar daddies «più queer di un soldo bucato»... Sempre in quei check-in, chissà se qualche Pasolini o Penna della West Coast compose versi beat sui bistecconi che dimenticavano d´avere intorno agli organi quegli anelloni di metallo capaci di far scattare i nuovi allarmi della security... Così, pare addirittura candido fare adesso «oh oh» per i film con gay cowboys, quando nell´Ultima notte a Warlock (1959) era per tutti ovvio che i pistoleri celibi Henry Fonda e Anthony Quinn, arrivati in città per sconfiggere i fuorilegge, erano una solida stagionata coppia di ex amanti in stivali e cappellone. E magari, più vecchi e più tardi, Henry Fonda e Glenn Ford in The Rounders? Alberto Arbasino