La Repubblica 14/05/2006, pag.49 Stefano Malatesta, 14 maggio 2006
Donne nude e cibi grassi tutto partì da un quadro. La Repubblica 14 maggio 2006.Il picnic sull´erba, all´aria aperta, è un rito, un costume diffuso ovunque, eccetto forse che nelle distese dell´Antartide o sull´altopiano del Pamir d´inverno, quando i venti ghiacciati piombano sulle carovane congelandole come nel freezer
Donne nude e cibi grassi tutto partì da un quadro. La Repubblica 14 maggio 2006.Il picnic sull´erba, all´aria aperta, è un rito, un costume diffuso ovunque, eccetto forse che nelle distese dell´Antartide o sull´altopiano del Pamir d´inverno, quando i venti ghiacciati piombano sulle carovane congelandole come nel freezer. Sembra che il nome sia di origine francese, passato poi all´inglese. Ma se è vero che tutti i nomi cercano di ricordare nella loro pronuncia qualcosa della loro funzione, allora picnic suona svelto, leggero, elegante: può essere associato al sandwich, non alla polenta con gli osei, per quanto meravigliosa possa risultare quando viene servita in montagna (ma nella baita). Inoltre il picnic nasce precario e fantasioso, qualcosa che si mette insieme con allegria e una leggera improntitudine: ognuno porta quello che trova o che ha già, senza curarsi troppo di acquistare cibi sopraffini o di scegliere le posate migliori. il piacere di stare insieme in modo inconsueto che fa scattare la sua molla, non la fame o la sete; è la speranza che, accanto al fuoco improvvisato con gli sterpi che si spegne sempre, nasca quella confidenza così difficile da raggiungere in condizioni di normalità. Dunque lasciate in vetrina quelle magnifiche valigette di vimini intrecciati e foderati di panno verde che contengono piatti di plastica sopraffina e posate con il manico di bambù e «tutto quello che serve per il picnic» come è scritto accanto a un prezzo da ladroni. un controsenso. Gli inglesi continuano a mantenere il picnic nelle dimensioni di quello che dovrebbe essere uno spuntino. Durante le famose corse di Ascott come il King George and Elizabeth Stakes, e ad Epson il Derby, si vedono ancora come una volta i gentili sudditi di Sua Maestà Britannica, qui nel loro ambiente quasi scomparso altrove. Sdraiati sull´erba mandano giù il prosciutto di York, quello introvabile, più affumicato del cotto, tra due fette imburrate del loro pessimo pane. Mentre in Francia, dove da sempre si è potuto scherzare e ridere su persone e istituzioni non importa quanto grandi, ma non sulla "bouffe", fin dall´inizio il picnic ha preso dimensioni tali da diventare uno dei miti della fine del secolo decimonono, insieme con i canottieri dalla maglia a righe bianche e rosse, le spiagge lungo la Senna e i cappelli di paglia di Firenze con nastri delle signorine in camicie di picchè bianche. Ora date solo un´occhiata al più famoso quadro della storia della pittura sul picnic: Le déjeuner sur l´herbe di Edouard Manet, rifiutato dal Salon del 1863 perché presentava in primo piano una signora nuda in compagnia di due supposti gentlemen completamente vestiti. Non so se quest´opera sia un´anticipazione dell´avanguardia del Novecento come dicono oggi numerosi critici. L´ho sempre trovata inferiore a quei capolavori di pittura pura che sono l´Olimpia e la Lola de Valence, e come pittura en plein air è sorpassata da quell´immortale capolavoro di Claude Monet dallo stesso titolo che si trova a Mosca al Museo Pushkin. Ma quello che è interessante ai nostri fini è il contenuto non la forma, come diceva don Benedetto. Sparsi sull´ampia tovaglia non ci sono cestini con cotolette fritte ed altre pietanze facili da preparare e da trasportare ma tutta la gamma della grassa cucina francese di quell´epoca: le zuppiere, i contenitori di timballi, le salsiere per gli arrosti e i contorni, i roast beef e i brasati, le galline fredde sotto gelatina e burro di Normandia. E non vi fate ingannare dall´aria goffa che hanno gli uomini, infagottati negli abiti di campagna. I francesi hanno sempre amato stare all´aria aperta convinti che c´è del potere taumaturgico in una natura non contaminata. Ma nello stesso tempo non hanno mai saputo rinunciare a un pasto che fosse un pasto. Da qualche parte ho letto che Le déjeuner sur l´herbe deriverebbe da modelli primari come la Festa campestre di Tiziano e altre opere di pittori italiani. Ma queste feste rinascimentali erano in genere aristocratiche, raffinate e di corte, si basavano sulla musica - la festa campestre di Tiziano è sostanzialmente una festa musicale e non gastronomica - e non avevano nulla di quella predisposizione borghese ai cibi nutrienti e ben cucinati. Ho qualche dubbio sulla disposizione mentale degli italiani nei confronti della vita all´aperto. Il lunedì di Pasqua li vedo sempre uscire per pochi metri dall´autostrada e parcheggiare nelle vicinanze per gustare un pasto inquinato dagli scappamenti di mille auto. Sapete qual è la parola che più frequentemente viene pronunciata ad alta voce nei ristoranti di Napoli e dintorni dopo «il conto»? «la porta», ogni volta che entra un nuovo cliente e non chiude dietro di sé ermeticamente l´ingresso, con il pericolo di far entrare correnti d´aria considerate più perniciose della cavalleria mongola. E come volete che si possa gustare un pranzo all´aperto quando le correnti d´aria sono viste come un attentato alle nostre famiglie? Stefano Malatesta