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 2006  maggio 05 Venerdì calendario

La Saipem 7000 è la più grande nave semisommergibile del mondo ed è l’unica a poter poggiare oleodotti e gasdotti fino a 3

La Saipem 7000 è la più grande nave semisommergibile del mondo ed è l’unica a poter poggiare oleodotti e gasdotti fino a 3.000 metri sotto il mare. Sembra impressionante, ma le parole, da sole, mi sfiorano appena l’immaginazione. Anche le cifre che mi ha fornito l’Ente nazionale idrocarburi (Eni) - attuale proprietaria della Saipem - compongono sulla brochure una sterile lista di dati. Scopro che è lunga 197,95 metri, che può ospitare fino a 725 persone, che possiede una speciale torre alta 135 metri e due gru ancor più colossali, che possono sollevare 7 mila tonnellate ciascuna... Tutto questo dovrebbe prepararmi all’impatto, ma in realtà non riesco a impressionarmi. Domenico Negrini, dell’ufficio stampa Eni, s’accorge della mia perplessità e mi previene. «Devi vederla», dice. «Se la vedi capisci». E quando l’autobus che ci accompagna lungo il porto di Rotterdam s’accosta a un terrificante cubo nero emerso dalle acque, vedo e capisco. Pensate a un’enorme lavagna di scuola, che occupa ogni spazio visibile. E ora pensate al pullman bianco come a un gessetto rotolato per terra. Immaginate un castello di cui riuscite soltanto a vedere gli antri più tenebrosi, perché merli e guglie sono così distanti da intimidire lo sguardo. Forse potrete farvene un’idea anche voi. Mentre mi reco all’ascensore di servizio per salire sul primo ponte, ho già le vertigini: titaniche architravi d’acciaio nero, bastioni oscuri e una volta immensa, buia. Sembrano i sotterranei di un antico maniero abitato da ciclopi. Tutta questa struttura, mi spiegano, durante le operazioni in alto mare sprofonda nell’acqua per 27,5 metri. Il perché è subito chiaro. Viste dal pontile non parevano così grandi, ma le due gru che sovrastano il ponte di coperta riempiono davvero l’orizzonte, senza sconti per nuvole e tramonti. Sono alte 140 metri ciascuna, dalle cerniere alla base fino alla testa di moro. Duecento metri dalla chiglia, la parte più bassa della nave. «L’intera nave può ospitare senza problemi due campi di calcio regolamentari», dice il capitano Roberto Spreafico, 42 anni, di Trieste. comandante da 10 anni, ma invidio il suo apparente candore. A sentirlo, parrebbe che navigare con un tale leviatano sia normale come condurre un cane a passeggio. Se sta fingendo di esser modesto, ci riesce fin troppo bene. Perché la prima emozione che la nave incute, una volta cessato lo stupore, è il timore. Qui nel porto di Rotterdam la Saipem 7000 è in secca, per una normale manutenzione in vista di una nuova missione nelle acque del Messico. Ma non riesco proprio a immaginarla in mezzo al mare. Non posso neppure credere che questa struttura riesca in qualche maniera muoversi. Sembra inamovibile come una piramide d’Egitto. «Eppure è molto stabile e sicura», dice ancora il capitano. «Per la sua stazza, è anche abbastanza veloce: fa circa 9,5 nodi l’ora, che sono più o meno 18 chilometri. Un traghetto raggiunge i 20 nodi, una petroliera i 10-12. Non è male, direi». «Per una nave come questa, però, l’importante è la stabilità, non la velocità», aggiunge il sovrintendente Ardeshir Mofakhami. Anche se parla uno splendido italiano, è iraniano, ha 62 anni e da 25 vive nel nostro Paese. Quando non è per mare, naturalmente. Il capitano è responsabile di ogni cosa succeda sulla nave, ma Mofakhami si occupa di tutto quanto avviene, e conosce la Saipem 7000 come le sue tasche. «Questa barca ha 20 anni, mese più mese meno», racconta. « stata creata alla Fincantieri di Monfalcone nel 1985 e nel 1987 è stata consegnata all’armatore. All’epoca fu quel che si dice un vero e proprio investimento azzardato: era stata progettata per costruire piattaforme marine e costò ben 450 miliardi di lire. Dell’epoca, s’intende. L’idea era di possedere qualcosa che non avesse reali concorrenti nel suo campo, tanto da sbaragliare la concorrenza». «Ci sono navi simili», rimpalla il capitano Spreafico, «ma nessuna è come la Saipem. una nave unica: in tutto il mondo non esistono mezzi semisommergibili così grandi». E spiega finalmente che cosa s’intenda per ”semisommergibile”, anche se ormai s’era intuito: per stabilizzarsi in mezzo al mare, la nave deve in parte affondare. Soltanto così si possono affrontare le condizioni estreme dei mari del nord. Soltanto così è possibile sfruttare appieno la portata delle grandi gru e la loro forza mostruosa. «Ciascuna gru può caricare 7 mila tonnellate in un colpo solo, 14 mila se lavorano in coppia. In pratica, potrebbero sollevare la Garibaldi», sigla il capitano. La Garibaldi, per la cronaca, è la nave ammiraglia della nostra Marina militare ed è lunga ben 180 metri: non proprio un modellino! Eppure 20 anni sono tanti. Possibile che il progresso tecnologico non l’abbia resa obsoleta? «Concettualmente», spiega ancora il capitano, «la parte strutturale della nave non invecchierà mai. Si basa su principi fisici, validi oggi come nel passato e come lo saranno tra secoli. Cambiano e si rinnovano gli equipaggiamenti». «Come la torre, che è stata aggiunta nel 2000», interviene Mofakhami, «e che costituisce una delle maggiori innovazioni tecnologiche per le operazioni in alto mare. Grazie a questa struttura alta 135 metri, è possibile sfruttare la ”tecnica a J” per collocare fino a 3.000 metri sott’acqua i tubi per il passaggio di gas e petrolio». Questa tecnica è spiegata passo per passo nel box a pagina 116, ma in poche parole si può riassumere così. Tutte le altre navi costruiscono e gettano in mare la pipeline dalla fiancata. Così operando, però, il lungo tubo subisce ogni sorta di sollecitazione e di stress: il fondale, quindi, deve esser velocemente raggiungibile, pena la rottura del gasdotto. La Saipem 7000 agisce in modo completamente diverso. La pipeline è formata lungo la torre e gettata nel mare verticalmente. Lo stress che il tubo subisce è infinitamente minore, riducendosi in pratica a un solo momento: quando la pipeline si flette a ”J” toccando il fondale. Tanti metri di pipeline si gettano, tanti metri la nave avanza. La massima operatività si raggiunge al ritmo di 60 tubi da 50 metri per 12 ore consecutive di posa. Senza la Saipem 7000, un’impresa come Blue Stream (ne abbiamo parlato diffusamente il numero scorso di Macchina del Tempo) non sarebbe stata realizzabile: 385 Km di gasdotto nel deep blue del Mar Nero, tra Russia e Turchia, a 2.150 m sotto il pelo dell’acqua! Una struttura così colossale, un ambiente operativo così ostile e un agglomerato di persone provenienti da nazioni diverse, chiamati a lavorare come un sol uomo, richiedono un controllo di sicurezza ferreo. Cosa che infatti non manca. «L’ultimo incidente di una qualche serietà è stato un bel po’ di tempo fa: un operaio si è fratturato un braccio. Ma avvenimenti davvero gravi non ne ricordo», afferma Marius Baragan, ingegnere rumeno di 38 anni. Se L’ombra di un accento esotico non lo tradisse, lo si confonderebbe con un italiano purosangue: a stare su questa nave, sembrerebbe quasi che la nostra lingua non sia così difficile da imparare come s’afferma. «A bordo ci sono in questo momento circa 360 persone di 19 etnie diverse: il 30 per cento è costituito dal personale marittimo, il rimanente da personale di cantiere. I turni lavorativi sono due, di 12 ore ciascuno (da mezzogiorno a mezzanotte), sette giorni su sette. I supervisori hanno turni differenti, con un cambio ogni sette ore. Però l’attività sulla nave, anche in questi giorni di normale manutenzione, è continua». Ma questa gente non stacca mai, non torna mai a casa? «Dipende dal tipo di contratto, diverso per ciascun Paese. Gli italiani, ad esempio, lavorano per 42 giorni filati, poi vengono spediti a casa per 21 giorni. E così via. Naturalmente, nei periodi operativi in alto mare, la tensione e lo stress si fanno sentire, perché il lavoro è più duro e sbagliare qualcosa può esser davvero pericoloso, oltre che dannoso per l’impresa. Ma abbiamo la fortuna di lavorare su una nave davvero stabile, quasi fosse una base terrestre... e questo facilita molto le cose. Possediamo 54 casse zavorra, in grado di riempire d’acqua la parte bassa dello scafo, quella che appunto viene sommersa. In quattro ore riusciamo a passare dal pescaggio di transito (che la barca ha quando naviga normalmente e che corrisponde 10,5 metri) a quello operativo (27,5 metri). A bordo abbiamo persone che per lunghi anni hanno costruito piattaforme in zone di mare agitate e con piccole imbarcazioni. Non è facile riuscire a compiere una saldatura mentre si viene sballottati a destra e a manca come un turacciolo, o mentre la nave sembra una tavola di surf!». A proposito di lavoro: ma quanto tempo all’anno è operativa la Saipem? «Undici mesi su dodici. E siamo prenotati fino al 2008... Presto partiremo per il Messico, poi il Canadà, i mari del nord...». Ma la Eni è dunque così tanto impegnata per mare? «La Saipem 7000 non lavora soltanto per la Eni», interviene il capitano. «Sarebbe davvero uno spreco di risorse. Noi lavoriamo per chi richiede la nostra opera. Non soltanto come posatubi, naturalmente, ma anche nella costruzione di piattaforme off-shore». Ma quanto costa affittare la Saipem 7000 per un giorno? «A occhio e croce 350 mila sterline, più o meno 500 mila euro... Sì, sui contratti si vedono apparire cifre davvero enormi!». D’altra parte, potrebbe esser altrimenti? Giorgio Giorgetti