Carla Forno, La Stampa 14/5/2006, pagina 27., 14 maggio 2006
Il ventiseienne Vittorio Alfieri non si faceva legare alla sedia per obbligarsi a studiare, ma per resistere alla passione
Il ventiseienne Vittorio Alfieri non si faceva legare alla sedia per obbligarsi a studiare, ma per resistere alla passione. A quel tempo era reduce da viaggi in Europa e da due innamoramenti finiti male: il primo all’Aja, nel 1768, per la maritata Cristina Emerentia Leiwe van Aduard che gli lasciò una malattia venerea e per la quale tentò anche il suicidio; il secondo a Londra per Penelope Pitt, moglie del visconte Edward Ligonier. Tornato a Torino, dove prese alloggio in una bella casa di piazza San Carlo, incappò «nella terza rete amorosa». Questa «terza ebbrezza d’amore», «veramente sconcia» e che «pur troppo lungamente anche durò», vide come «nuova fiamma una donna, distinta di nascita, ma di non troppo buon nome nel mondo galante, ed anche attempatetta: cioè maggiore di me di circa nove in dieci anni». Si trattava di Gabriella Falletti di Villafalletto, moglie del marchese di Priero. Alfieri era «alloggiato di faccia a lei» e dopo una prima amicizia scoppiò una passione violenta: «Mi c’ingolfai sino agli occhi. Non vi fu più per me né divertimenti, né amici; perfino gli adorati cavalli furono da me trascurati». Per non cedere più alla tentazione di un amore sconveniente chiese dunque al servitore Giovanni Antonio Francesco Elia di legarlo alla seggiola dello studio. Per stare ancora più sicuro si fece anche tagliare la lunga treccia rossa che gli scendeva sulla schiena: avrebbe provato vergogna a mostrarsi in pubblico «così tosone, non essendo allora tolleratoun tale assetto, fuorché ne’ villani e marinai».