Macchina del tempo n. 5 maggio 2006, 5 maggio 2006
Tra macchina fotografica e materiale sensibile alla luce il rapporto è sempre stato strettissimo, tanto che sarebbe impossibile tracciare la storia dell’una senza parlare dell’altra
Tra macchina fotografica e materiale sensibile alla luce il rapporto è sempre stato strettissimo, tanto che sarebbe impossibile tracciare la storia dell’una senza parlare dell’altra. E che ci siano sostanze impressionabili dalla luce lo afferma già Aristotele, nei suoi Problemata, fin dal 350 a.C. Il principio della fotocamera nasce con il progetto della camera oscura, introdotto in Europa dallo studioso arabo Ibn al-Haytham nell’XI secolo e descritto in modo particolareggiato da Leonardo da Vinci nel 1520: in un ambiente totalmente oscuro, basta un foro su una parete per proiettare su quella opposta un’immagine perfetta, benché capovolta. Nel 1550, Girolamo Cardano afferma che una lente positiva al posto del semplice foro consente di ottenere un’immagine ancor più nitida e luminosa. Nel XVII secolo, la usa la maggior parte dei pittori paesaggisti. Nel 1657, Kaspar Schott introduce un’importante novità: due cassette scorrevoli, una dentro l’altra, permettono di variare la distanza fra la lente e il piano su cui si forma l’immagine, e quindi a mettere a fuoco la camera oscura. Quest’invenzione segna la data ufficiale della nascita della macchina fotografica. I primi studi di carta sensibilizzata sono però del 1816, a cura di Joseph Nicephore Niepce (1765-1833): prima utilizza il cloruro d’argento, poi il bitume di Giudea. Da qui in poi le invenzioni si susseguono. La prima pellicola a colori è dei fratelli Lumière (gli stessi del cinema) e si chiamava autochrome. La prima commercializzata fu il Kodachrome, della Kodak. La prima fotocamera digitale è davvero molto recente: la reflex D1 proposta da Nikon, nel 1999.