Macchina del tempo n. 5 maggio 2006, 5 maggio 2006
2 giugno 1946, nasce la nuova Italia, intervista a Rosario Villari. Era passato poco più di un anno dalla Liberazione e il primo dei problemi da affrontare era quello costituzionale: il fascismo era caduto, ma l’Italia era ancora una monarchia, passata il 9 maggio 1946 dalle mani di Vittorio Emanuele III a quelle del figlio Umberto II
2 giugno 1946, nasce la nuova Italia, intervista a Rosario Villari. Era passato poco più di un anno dalla Liberazione e il primo dei problemi da affrontare era quello costituzionale: il fascismo era caduto, ma l’Italia era ancora una monarchia, passata il 9 maggio 1946 dalle mani di Vittorio Emanuele III a quelle del figlio Umberto II. Ora il giorno del giudizio era arrivato: il popolo italiano era chiamato a decidere tra la Monarchia, accusata di aver appoggiato il fascismo, e la Repubblica, che in qualche modo avrebbe dovuto dare corpo agli ideali democratici che erano usciti vincitori dalla guerra, rifondando l’Italia su un sistema rappresentativo e non su diritti ereditari del sangue. Il 2 giugno, anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, si svolge il referendum istituzionale. Si vota la domenica e il mattino del lunedì, con la chiusura dei seggi alle 12. I bar e i caffè ricevono l’ordine di chiudere, per prevenire eventuali iniziative di malintenzionati eccitati dall’alcol. una bella giornata di sole. Le strade sono invase dalla carta, i muri (perfino quelli dei cortili) tappezzati di manifesti di ogni foggia, non avendo ai tempi appositi spazi riservati. Alla monarchia vanno 10.719.284 voti (45,7%, con prevalenza nel Sud e nella stessa Roma), alla Repubblica 12.717.923 (54,26%). Umberto II è infuriato e lancia accuse di brogli, fino all’ultimo non si rassegna. Ritiene un atto rivoluzionario e arbitrario la presa del potere del governo di De Gasperi che ha ricevuto dal consiglio dei ministri il mandato provvisorio. Nonostante questo, la Repubblica Italiana viene proclamata vincitrice il 18 giugno e primo Capo di Stato Provvisorio viene designato il giurista napoletano Enrico De Nicola. Su questa base sarebbe stata poi scritta la Costituzione. Chiediamo allo storico Rosario Villari, presidente della Giunta Centrale per gli Studi Storici, di tracciare un bilancio a sessant’anni da quei fatti. Nel referendum la monarchia pagò solo l’appoggio al fascismo o la Repubblica era il punto di arrivo di un processo di democratizzazione ormai irreversibile? «Prima della seconda guerra mondiale c’era già un fermento sociale che però non si era rivolto contro la monarchia. Una volta scoppiato il conflitto, invece, il popolo percepì sempre più chiaramente il significato del cedimento della monarchia al fascismo. Fu questo a determinare la trasformazione della coscienza collettiva in senso repubblicano, anche nell’Italia meridionale dove il cambiamento si accentuò con gli avvenimenti successivi alla caduta di Mussolini. Nell’ambito delle forze politiche la questione era invece stata già posta fin dall’avvento del fascismo». Il passaggio del testimone da Vittorio Emanuele III a Umberto II fu un tentativo di recuperare il consenso? «Faceva parte di un cambio di rotta che doveva consentire alla monarchia di salvarsi. Ma contemporaneamente ci furono anche iniziative più importanti dal punto di vista delle esigenze nazionali e di più largo respiro come la formazione dell’esercito che prese parte alle operazioni militari degli alleati del ’44-’45 in Italia». Si dice che il referendum popolare non piacesse alla sinistra, che avrebbe preferito delegare la scelta alla Costituente... «Non mi risulta che ci sia stata una presa di posizione in questo senso. Il referendum fu accettato da tutte le forze politiche, comprese quelle della sinistra. Gli unici timori riguardavano l’Italia meridionale, soprattutto Napoli e la Sicilia, dove dopo il referendum si verificarono effettivamente degli episodi di resistenza violenta da parte dei monarchici, e perfino grandi manifestazioni di stampo separatista che inneggiavano alla ricostituzione del Regno delle Due Sicilie. Le tendenze separatiste furono però affrontate efficacemente dai governi, dal Comitato di Liberazione Nazionale e dalle varie forze che ne facevano parte, grazie a iniziative come la creazione delle regioni a statuto speciale, con risultati positivi, in qualche caso anche immediati, come in Sicilia, dove le elezioni regionali del ’47 dimostrarono che il separatismo era già scomparso. Quindi se c’erano delle perplessità sul referendum popolare, non ebbero un peso determinante: non ci fu una battaglia politica per risolvere la questione nella Costituente». Il 2 giugno gli italiani votarono per l’appunto anche per la Costituente, l’assemblea deputata a elaborare la Costituzione. Quale fu la sua importanza? «Considero l’elezione della Costituente come uno dei momenti più profondamente unitari della storia italiana. Nonostante le differenze anche radicali tra le varie forze politiche, in quel momento si verificò una convergenza su alcuni punti fondamentali molto sentiti anche a livello popolare (la libertà, l’unità e l’indipendenza della nazione, l’eguaglianza dei diritti politici, la giustizia sociale, il valore e la dignità del lavoro) che poi rese possibile elaborare unitariamente una Costituzione ancora oggi di grandissimo valore per la vita collettiva del nostro Paese». In che misura gli ideali dei partiti maggiori (DC, PSI e PCI) influenzarono la Costituzione? «Solo in parte, perché nella Costituente le caratteristiche ideologiche più accentuate risultarono smussate: per esempio alcune tendenze verso il clericalismo nel movimento cattolico, così come certe spinte estremistiche che si erano manifestate nel PCI e nel PSI nel corso della Resistenza. Merito dei sentimenti popolari più diffusi che erano stati suscitati dalle esperienze della guerra e delle rovine provocate dal regime fascista nella vita nazionale e nei rapporti tra l’Italia e il resto del mondo». Quindi ci fu la capacità di comprendere le esigenze del popolo dopo vent’anni di dittatura e di trasformarle in regole... «Sì, nel Paese si era creato un clima generale che favorì quest’operazione meritoria dei gruppi dirigenti dei partiti che però già negli ultimi anni della guerra, prima che si parlasse di referendum e di Assemblea Costituente, avevano operato per smussare le varie spinte verso un rigido tradizionalismo (semplice ritorno al sistema prefascista) o verso idee astratte di rivoluzione sociale. A cominciare dall’’alleanza” di Togliatti con la monarchia in funzione della necessità di assicurare la coesione del popolo italiano nella guerra contro il fascismo e il nazismo. Una iniziativa che rappresentò non solo una svolta nella situazione politica di quel momento ma anche un iniziale cambiamento di mentalità in una sinistra dove l’intransigenza e l’assoluto antagonismo verso gli altri erano molto diffusi. Operazioni come questa favorirono la convergenza tra le diverse forze politiche e la loro complessiva evoluzione e modernizzazione». Un altro esempio fu il compromesso sul famoso articolo 7, quello che regolava i rapporti tra Stato e Chiesa... «L’articolo 7 fu molto importante in questo senso perché, dopo una battaglia difficile, contribuì a far superare atteggiamenti di anticlericalismo vecchia maniera e di incomprensione dei movimenti di ispirazione religiosa e dell’azione svolta dalla Chiesa nella società. L’accettazione del Concordato nella Costituzione sdrammatizzò la situazione in anni in cui la scomunica dei comunisti poteva creare e in parte creò una grave frattura, mentre il Paese aveva bisogno di ritrovare una maggiore unità e di contrastare le tendenze alla radicalizzazione dei contrasti». Quale importanza rappresentò l’introduzione del voto alle donne? « stato un altro elemento fondamentale, non solo in quanto acquisizione di un diritto pienamente legittimo delle donne, ma anche come contributo al mutamento generale della mentalità del popolo italiano, già in grave ritardo rispetto ad altri Paesi». Qual era il coinvolgimento socio-politico delle donne? «Le donne partecipavano alla vita del Paese con le loro idee politiche anche prima di avere il voto, su questo non c’è dubbio. Era normale che partecipassero alle discussioni, in famiglia o meno, commentando gli avvenimenti di quegli anni. Bisogna inoltre considerare che durante e dopo la Prima guerra mondiale c’era stata una svolta nella storia della nostra società, con l’immissione sempre più ampia delle donne nel mondo del lavoro, sia per sostituire gli uomini partiti per il fronte, sia per una generale e naturale evoluzione nel campo delle professioni. La presenza più ampia nel mondo del lavoro e nelle attività sociali è la premessa del voto alle donne». Per qualcuno il popolo italiano voltò le spalle al fascismo per opportunismo e non per una reale maturazione democratica... «Non sono d’accordo con chi considera gli italiani un popolo di voltagabbana. La trasformazione provocata dalla guerra è stata profonda. Da un consenso più o meno parziale al fascismo il popolo italiano passò all’opposizione, dando un contributo attivo alla lotta contro i nazi-fascisti. Si dimentica spesso, per esempio, che centinaia di migliaia di soldati italiani tenuti prigionieri nei campi di concentramento tedeschi in condizioni tragiche non vollero aderire alla Repubblica di Salò, rischiando di perdere la vita, come in effetti accadde per molti di loro. Gran parte del clero e gli stessi conventi si adoperarono a protezione degli ebrei e degli antifascisti. A mio avviso si trattò di un mutamento della coscienza collettiva - ben colto dal film di Rossellini Paisà - che andrebbe studiato meglio e analizzato in tutta la sua ampiezza». Il ’46-’47 rappresentò un momento irripetibile di unità che dopo le elezioni del ’48 venne subito meno. Quanto pesò l’inizio della Guerra Fredda? «In questo biennio si sono poste le basi della prosecuzione e del mantenimento di un processo unitario che ha in qualche misura resistito al rafforzamento dei contrasti ideologici provocati o esasperati dalla Guerra Fredda. Questi contrasti hanno impedito che si liberasse tutto il potenziale democratico esistente nelle forze politiche italiane e hanno contribuito alla crisi politico-istituzionale nella quale ci troviamo ancora oggi. Penso, per esempio, per indicare solo un aspetto di una questione molto complessa, al legame del Partito Comunista Italiano con l’Unione Sovietica, la quale, invece di evolversi in senso democratico dopo la guerra, quando poteva contare su un largo consenso internazionale dovuto all’enorme contributo dato alla guerra contro il nazi-fascismo, si irrigidì ulteriormente in una posizione ancora più oppressiva e dittatoriale. Il mantenimento a oltranza di questo legame fu un errore capitale». Nello stesso periodo, però, l’Italia ha fatto dei grandi passi in avanti... «Certamente. Non c’è stata solo la trasformazione economica del sistema dello sviluppo industriale, il miracolo economico. C’è stata anche una trasformazione civile, anche nei rapporti Nord-Sud, là dove sembrava che le cose fossero più statiche. Milioni di meridionali prima emigravano in America, poi sono partiti per il Triangolo industriale (Piemonte, Lombardia, Liguria) o per i Paesi europei. In una certa misura questo ha attenuato le separazioni interne del nostro Paese, sia pure non in modo tale da determinare un superamento definitivo di alcuni problemi con radici lontane». Numeri: 24.947.187 votanti 12.717.923 voti per la Repubblica 10.719.284 voti per la Monarchia 1.498.136 schede nulle