Macchina del tempo n. 5 maggio 2006, 5 maggio 2006
Il canto del cigno. L’ultima opera di un artista, specialmente quando rappresenta il coronamento più alto di tutta la sua produzione, viene chiamata per antonomasia ”canto del cigno”, basandosi su di una credenza antichissima a cui persino Platone aveva dato ampio credito
Il canto del cigno. L’ultima opera di un artista, specialmente quando rappresenta il coronamento più alto di tutta la sua produzione, viene chiamata per antonomasia ”canto del cigno”, basandosi su di una credenza antichissima a cui persino Platone aveva dato ampio credito. Secondo la leggenda, infatti, il cigno quando percepisce la morte imminente, trasforma la propria voce abitualmente sgraziata e intona un canto piacevole e melodioso. Per quanto poetica, tuttavia, questa credenza è priva di ogni fondamento dato che il cigno reale (questo il nome completo) non solo non canta ma, unico tra gli Anatidi acquatici, non emette in pratica alcun suono, eccetto alcuni sommessi mormorii. Del resto, fra gli uccelli, il canto serve soprattutto per conquistare le femmine e segnalare ad altri maschi il possesso del proprio territorio, tutte attività che il cigno esegue egregiamente senza bisogno di cantare. Il corteggiamento, che prelude alla formazione della coppia, è infatti un momento davvero spettacolare perché il maschio si produce in vistose parate mettendo in mostra il bellissimo piumaggio candido e nuotando sul pelo dell’acqua con le ali parzialmente spiegate. Dopo essersi scelti, spesso i due partner restano insieme per molti anni, mantenendo saldo il legame di coppia attraverso danze rituali, parate e pulizia reciproca del piumaggio. Ogni coppia sceglie un’area in cui nidificare, che il maschio difende strenuamente dalle intrusioni da parte di altri cigni, di altri animali e anche di persone. Gli ambienti frequentati di preferenza sono le zone umide anche di origine artificiale, quindi non soltanto laghi, fiumi e stagni ma anche cave, vasche da pesca, zone portuali e laghetti cittadini. L’importante è che il fondale sia poco profondo, per permetterne il setacciamento alla ricerca di cibo (resti vegetali, alghe, larve, piccoli anfibi eccetera), e che la zona sia ricca di folta vegetazione riparia dove collocare il nido. La femmina depone mediamente 5-7 uova e le cova per circa 36 giorni, talvolta aiutata dal compagno. Appena un giorno dopo la nascita i piccoli sono già in grado di lasciare il nido e seguire la madre in acqua, ma imparano a volare soltanto dopo circa 60 giorni. Nonostante le dimensioni imponenti i cigni reali sono ottimi volatori, capaci di compiere anche lunghe migrazioni E in volo hanno un portamento maestoso col collo teso e le larghe ali che si muovono lentamente ed elegantemente mentre le remiganti producono un leggero sibilo ed un rumore sonoro ed armonioso. Le diverse popolazioni del continente eurasiatico hanno differenti abitudini per quanto riguarda gli spostamenti annuali tra una regione e l’altra. Le popolazioni che nidificano nelle regioni più settentrionali, infatti, d’inverno abbandonano i siti riproduttivi e si spostano più a sud in cerca di condizioni climatiche meno rigide e di zone umide non ghiacciate. Le popolazioni che, al contrario, nidificano in Europa meridionale non si allontanano da queste regioni perché anche d’inverno vi trovano condizioni idonee alla sopravvivenza. Così avviene in Italia, paese che rappresenta il limite meridionale dell’areale di nidificazione di questa specie e che ospita una popolazione stanziale di circa 400 coppie. L’origine dei nostri cigni non è però spontanea, ma risale ad individui introdotti in Svizzera e in Lombardia nel corso degli anni ’30. A partire da quelle introduzioni si è originata una popolazione nidificante stabile che attualmente sta subendo un consistente incremento numerico e si sta diffondendo in tutta Italia. Inoltre, in inverno, circa 2000 individui provenienti dal nord Europa, dalla Russia e dai Balcani, giungono nel nostro paese a svernare: di solito si trattengono sui grandi laghi prealpini, ma talvolta, specialmente in seguito ad annate particolarmente rigide, possono spingersi più a sud, lungo la rotta migratoria adriatica, fino alle regioni più meridionali.