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 2006  maggio 08 Lunedì calendario

Milloss, e la danza entrò nel futuro. Il Messaggero 8 maggio 2006. Roma. Alto, elegante, il passo leggero anche quando l’età giunse a pesargli faticosamente sulle spalle, Aurelio Milloss - di cui cade a giorni il centenario della nascita - ha attraversato la storia della danza del ’900 riuscendo, come pochi, a lasciarvi una traccia di singolare originalità

Milloss, e la danza entrò nel futuro. Il Messaggero 8 maggio 2006. Roma. Alto, elegante, il passo leggero anche quando l’età giunse a pesargli faticosamente sulle spalle, Aurelio Milloss - di cui cade a giorni il centenario della nascita - ha attraversato la storia della danza del ’900 riuscendo, come pochi, a lasciarvi una traccia di singolare originalità. Ballerino di potente espressività, coreografo innovatore, autore di oltre 170 balletti, di innumerevoli regie d’opera e di un prezioso corpus di scritti, il suo lavoro rappresenta un fondamentale punto di snodo, ancora largamente insondato, fra il passato e il futuro della danza. Fra la tradizione accademica del ballo e le infinite potenzialità di rinnovamento seguite alla rivoluzione della danza libera iniziata da Isadora Duncan. Ungherese di nascita - nato ad Ozora (ora Uzdin, in Serbia) il 12 maggio 1906 - europeo per formazione (studiò a Budapest, Belgrado, Bucarest, Parigi, Berlino, Milano, Torino) Milloss si sentiva, per vocazione artistica, profondamente italiano. Del nostro paese aveva acquisito negli anni ’60, la cittadinanza, scegliendo Roma come residenza elettiva. Rimase comunque, per tutta la vita, anche cittadino del mondo, lavorando con la stessa passione a Parigi, a Vienna, a Stoccolma, a Buenos Aires, a Colonia, a Rio de Janeiro. Allievo di Rudolf Laban - il grande teorico della danza, modernista e riformatore, come lui ungherese - poi di Enrico Cecchetti, maestro dei ”Ballets Russes” e straordinario riformatore della pedagogia del balletto, Millos s’era convinto, anche grazie ad un appassionato e puntiglioso studio delle fonti, che l’intera storia dell’evoluzione del linguaggio coreografico puntasse senz’altro, fin dai tempi di Viganò e di Noverre, ad una fusione fra apollinea ”misura” e dionisiaca ”espressione” delle diverse tensioni interiori che portano alla creazione. In tal senso operò, sempre mirando a che il suo lavoro fosse espressione di un pensiero coreografico originale, frutto di invenzione e non semplice ricombinazione di passi. Partendo dalla posizione marginale e decentrata che occupava l’Italia, nella prima metà del Novecento, sulla mappa della danza mondiale, in oltre quarant’anni di ininterrotta attività - soprattutto all’Opera di Roma e alla Scala di Milano, dove fu chiamato da Toscanini, ma anche a Firenze, Venezia, Palermo, Milloss seppe suscitare una tale benefica congerie di energie artistiche, legando alla danza i migliori talenti della pittura e della scultura (da Prampolini a De Chirico, da De Pisis a Severini, Scialoja, Casorati, Mafai, Guttuso, Cagli, Afro, Luzzati) oltreché della composizione musicale (da Bartòk a Casella, da Dallapiccola a Petrassi, Vlad, Varèse, Berio, Bussotti) da riportare in breve tempo il nostro paese a livelli di grande prestigio internazionale. Fra le sue creazioni di maggior successo la prima versione coreografica de Il mandarino meraviglioso di Béla Bartók (alla Scala nel 1942, con scene di Prampolini e la compagnia dell’Opera di Roma), almeno tre creazioni su musica di Petrassi: La follia di Orlando (ancora alla Scala nel 1947, scene di Casorati), Ritratto di Don Chisciotte (a Parigi, Théatre des Champs Elysées, 1947) ed Estri (Spoleto, 1968, scene di Cagli) e Marsia (Venezia 1948, musica di Dallapiccola, scene e costumi di Toti Scialoja, riproposto anche a Bruxelles, nel 1963, dalla compagnia di Béjart). Donatella Bertozzi