Limes n.3 2006, pagg.225-229 Mpessi Za Bantu, 12 maggio 2006
Birra e fiume tra Kinshasa e Brazzaville. Limes n.3 2006. Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) è una città di sei milioni di abitanti sulla rive gauche del fiume Congo
Birra e fiume tra Kinshasa e Brazzaville. Limes n.3 2006. Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) è una città di sei milioni di abitanti sulla rive gauche del fiume Congo. Una volta si chiamava Léopoldville in omaggio al re del Belgio, Leopoldo II, che incoraggiò e finanziò la campagna d’esplorazione del giornalista ed esploratore inglese Henry M. Stanley (1841-1904) detto Bula matadi (Spaccapietre) per la rudezza dei suoi modi e il suo carattere arrogante e testardo. lui che per primo risalì il fiume Congo dalla fonte fino al punto in cui questa enorme massa d’acqua si congiunge con le onde impetuose dell’Oceano Atlantico. Kinshasa è tutt’uno con il suo fiume, che proprio a quel punto si allarga fino a formare un lago di 25 chilometri da una riva all’altra. il famoso Stanley Pool – oggi ribattezzato Pool Malebo – che separa Brazzaville, capitale dell’altro Congo (ex francese) da Kinshasa. Brazzaville deve il suo nome alla fama di un altro esploratore, Pietro Savorgnan di Brazzà (1852-1905), italiano d’origine naturalizzato francese. Per conto della Francia Brazzà scese il corso del grande fiume dopo aver navigato sull’Alima, affluente del Congo. Brazzà, a differenza di Stanley, era un esploratore filantropo alla ricerca del dialogo nel rispetto dei popoli e delle culture. Al momento dell’indipendenza, la capitale del Congo francese non modifica il suo nome. Anzi, proprio in virtù della venerazione di cui è oggetto nelle regioni attraversate dalle sue esplorazioni, il corpo di Brazzà sarà traslato da Algeri a Brazzaville, all’interno di un mausoleo costruito sul posto dove nel 1883 issò la bandiera francese e fondò la città che porta il suo nome. Le due capitali più vicine del mondo si guardano e si confrontano attraverso l’immenso specchio d’acqua accarezzato dall’alba al tramonto dai raggi del sole che, a questa latitudine, dura esattamente dodici ore, dalle sei del mattino alle sei della sera, da gennaio a dicembre. difficile parlare di Kinshasa senza evocare la presenza speculare della sua gemella rivale Brazzaville. «Kokende na ngambo» («andare all’altra riva») non ha mai significato per i congolesi attraversare una frontiera. La traversata del fiume ha assunto una sfida perpetua contro le divisioni coloniali mai assimilate dalle popolazioni. Proverbi, leggende, promesse di maledizioni, canzoni e poesie raccontano questa ingiustizia storica che ha lacerato un tessuto sociale, economico, culturale unico. Andare all’altra riva, quindi, come uno sforzo disperato per ricongiungere due corpi fatalmente attratti l’uno dall’altro con il fiume che funge da immenso letto incestuoso. Stesse popolazioni (i batéké e i bakongo prevalentemente) su entrambe le rive, stesse tradizioni e stesse lingue (il téké, il kikongo e il lingala) anche se parlate con accenti leggermente diversi. Ma un destino coloniale separato: da un lato i belgi e dall’altro i francesi. Storie coloniali che hanno influito sull’architettura urbana, sugli stili di vita delle élite, sui modelli amministrativi. Passando da Brazzaville a Kinshasa e viceversa, il viaggiatore ha la stessa impressione che si ha quando dalla Francia si va in Belgio. Kinshasa è la grande metropoli, replica tropicale di Bruxelles con ampi boulevard, edifici alti e grandi rond-point. Adagiata lungo il fiume, Kin, come viene chiamata con affetto, era l’orgoglio belga esibito alla faccia della rivale francese. Brazzaville non è Parigi sotto i tropici. Somiglia piuttosto ad una tranquilla città di provincia francese con i suoi caffè, i suoi lunghi viali alberati, i suoi quartieri residenziali con ville basse in puro stile coloniale, giardini e negozi esattamente copiati dal modello urbano francese. Brazzaville è stata nel 1944 la capitale provvisoria della France Libre: da qui il generale de Gaulle lanciò la parola d’ordine della riconquista della libertà contro i nazisti. Da Brazzaville partirà nel 1948, a guerra conclusa, la solenne promessa di restituire la libertà ai popoli sotto tutela coloniale francese. E proprio questo fermento di libertà ha finito per contagiare la vicina colonia belga che, sotto la spinta di Lumumba, aspira a sua volta a emanciparsi dalla tutela coloniale. L’indipendenza divide ulteriormente i destini dei due popoli, schierati su posizioni opposte dentro le logiche della guerra fredda: Kinshasa è fiera vetrina del capitalismo turbo negli anni del boom economico trainato dall’impennata dei prezzi delle materie prime; Brazzaville esibisce rumorosamente la sua rivoluzione in stile marxista-leninista puro e duro. In mezzo alle due opposte ideologie, la spiritosaggine dei congolesi che si prendono gioco dei regimi attraverso le canzoni e le danze di scherno. I congolesi non hanno mai creduto né al turbocapitalismo di Mobutu, rivelatosi un trucco per mascherare la più longeva e sanguinaria cleptocrazia di tutta l’Africa, né hanno mai aderito agli slogan vuoti dei rivoluzionari «Moët et Chandon» di Brazzaville. 2. Ora le due città sono stremate dopo la tragica esperienza di due guerre: la «prima guerra mondiale africana» (1998-2003) e una transizione ancora in corso; per la Repubblica Democratica del Congo le «guerre del petrolio» (1993-1997-1999) in Congo-Brazzaville. In quest’ultimo paese la pace è tornata su gran parte del territorio, la normalizzazione politica è in corso anche se il processo di riconciliazione è lento e non ancora concluso. Per chi vive a Kinshasa e a Brazzaville, il fiume è nello stesso tempo madre, matrigna, amante e vacca da mungere. Dal fiume arriva al porto fluviale, nel famoso Beach Ngobila, tutto il necessario che serve per alimentare le due metropoli: selvaggina, farina di manioca, banane di ogni tipo, frutta e pesce fresco o affumicato. L’attracco dei battelli provenienti dalle foreste pluviali del Nord è un evento economico e sociale di primaria importanza. Un appuntamento rumoroso e colorato per i venditori che sbarcano e per gli acquirenti che aspettano a volte anche giorni la merce che poi sarà esposta nei mercati popolari. Lo scambio tra il paese profondo e le città assume anche la forma di un baratto, proprio come ai tempi della tratta degli schiavi. Frutti della terra e del fiume sono scambiati con paccottiglia urbana (bacinelle, zappe, machete, lampade a petrolio ma anche zucchero e caffè), seguendo parametri flessibili basati sulle necessità del momento e la fiducia reciproca. I frequentatori del porto si scambiano anche beni immateriali come il bisogno di «uccidere la giornata» ossia passare il tempo conversando piacevolmente. L’arte collettiva di «radio trottoir» (notizie che si passano da bocca ad orecchio) si esercita principalmente nei luoghi di scambio delle merci: pettegolezzi, notizie politiche, nuove possibilità di guadagno nel rispetto rigoroso della «filosofia» della lotta per la vita dove tutti i mezzi sono esplorati per assicurare la sopravvivenza. Tutta la zona del porto si presenta come il regno del caos, un gigantesco laboratorio di sopravvivenza in base alla regola d’oro che governa la vita della città e del paese sin dalla grande crisi economica della metà degli anni Sessanta. Un caos che si materializza sin dalle prime ore della mattina sulla strada principale di Kinshasa, quel famoso Boulevard du 30 juin, la Wall Street di Kinshasa, centro di tutti i traffici, cimitero di tutte le speranze, palestra di tutte le ambizioni e cuore vitale dell’arte d’arrangiarsi che ha permesso alla capitale di sopravvivere. Una fiumana di gente proveniente dai 25 quartieri in cui è suddivisa la metropoli si riversa sulla Gombe. La parola d’ordine è «bouger» («darsi da fare»). Ma è difficile muoversi anche materialmente. Lasciare i quartieri popolari di N’djili, Kimbaseke, Ngiri-Ngiri o Limete è già un’impresa. Bisogna prendere i fula-fula, ossia furgoncini e minibus straripanti che riescono a trasportare decine di persone in condizioni incredibili, con i «passeggeri », paganti o non, aggrappati alla meno peggio ai finestrini o alle aste del portabagagli posto sui tetti degli autoveicoli. Senza orari, partono quando sono pieni e non mancano le soste dovute alla rottura di un pezzo o alla mancanza di benzina o d’olio. In questi casi, i passeggeri attendono stoicamente; i più frettolosi sperano nel prossimo fula-fula. L’essenziale per tutti è di giungere alla propria postazione di lavoro quotidiano che, per la maggioranza, non è altro che il quartiere della Gombe. Una volta la Gombe era il quartiere residenziale riservato ai bianchi. Adagiato lungo la riva del fiume era caratterizzato dai suoi palazzi avveniristici che sembravano sfidare il cielo; dalle sue ville elegantissime con piante tropicali e giardini lussureggianti, ornati da immense piscine. La Gombe è il cuore del potere politico ed economico. Prima dell’indipendenza, gli indigeni potevano varcare i confini della Ville solo muniti di un lasciapassare e solo per lavorare come domestici al servizio delle famiglie coloniali. Oggi si guarda al portafoglio e allo status sociale. Oggi, bere un drink al bar con vista sul fiume del Grand Hotel Kinshasa oppure pranzare Chez Nicolas non è più proibito da nessuna legge. Bisogna avere solo soldi e potere. Eppure gli abitanti di Kinshasa hanno trasformato questo quartiere esclusivo in una fortezza assediata dall’esercito di disperati, campioni dello sport più praticato in città: la sopravvivenza a tutti i costi. Per chilometri, all’ombra dei baobab giganti un formicaio umano si attiva negli scambi più disparati. Nessuna merce è esclusa: elettrodomestici, apparecchi medici, farmaci, libri, audio e videocassette pirata, orologi e gioielli, vestiti e scarpe, benzina e prodotti alimentari di tutti i tipi, a volte anche pepite d’oro e diamanti più o meno certificati. Si compra a Kinshasa e si rivende a Brazzaville o viceversa, sfruttando anche il diverso valore della moneta. un mercato senza regole dove il caso o la fortuna può risolvere la sorte di una giornata: l’essenziale è fare in fretta, riuscire a concludere il business. In mezzo a questo suq tropicale non mancano i bambini, anche loro parte del popolo dell’arte dell’arrangiarsi che vive seguendo la metafora spesso ripetuta «kobeta libanga », letteralmente «martellare la pietra». Stesso scenario a Brazzaville nei quartieri portuali di M’Pila, Poto-Poto, Moungali e Ouénzé, non lontano dal centro commerciale e dalla stazione ferroviaria. Pescatori e trafficanti di ogni risma invadono, allo spuntare dell’alba, le vie alberate intorno all’Hotel Cosmos, una volta gloria della «cooperazione rivoluzionaria» con i paesi dell’Est europeo. Un gigantesco mercato all’aperto dove si trova di tutto, persino delle pepite d’oro e diamanti provenienti dalle caotiche miniere delle regioni del Kasai o di altre parti dell’ex Zaire. 3. Abitare a Kinshasa o a Brazzaville significa frequentare una scuola di vita: gli ingredienti per superare gli esami sono una forte resistenza fisica per affrontare la calca umana e un fornito e sempre aggiornato bagaglio d’astuzie e furberie per aggirare le mille trappole costituite da poliziotti, doganieri, soldati corrotti, sfaccendati e ladri d’ogni risma che si avventano sulle prede come avvoltoi famelici pronti a tutto per «portare a casa i fagioli per i bambini». Taglieggiati, ricattati e minacciati, i pendolari della sopravvivenza hanno affinato le tecniche di resistenza trovando anche forme di accordi con il nemico per ottenere protezione (una parte della merce, una bottiglia di birra pregiata, la promessa di notti d’amore per le donne più spregiudicate...). Già, la birra e le notti dedicate a musica e balli sono i due ingredienti fondamentali della vita a Kinshasa e a Brazzaville. «Ballo dunque sono», diceva il poeta senegalese Léopold Senghor per definire l’essenza antropologica dell’uomo africano. Andare a Kinshasa significa toccare con mano questo detto. La musica è la colonna sonora della vita dei congolesi. Una colonna sonora che non ha bisogno di professionisti perché qui tutti cantano, suonano e ballano. Nei quartieri popolari, quasi ogni strada ha un suo piccolo complesso. Sulla scia dei grandi successi del momento e con la birra che aiuta l’ispirazione, si improvvisano concerti serali che possono durare fino all’alba. I templi dove questo rito collettivo è consumato sono i nganda, i locali che giorno e notte accolgono gli avventori e diffondono attraverso potenti altoparlanti i ritmi sacri della rumba, del soukous e della frenetica danza del ndombolo che hanno reso famosi in tutta l’Africa i musicisti congolesi. Ma ogni sei mesi si cambia ballo e quindi il frenetico ndombolo è già stato sostituito da altre danze. Le sonorità congolesi hanno invaso tutta l’Africa e non c’è città africana dove non risuonino le parole ricorrenti di queste canzoni: «Bolingo, nalingi yo» («amore, ti amo»), perché i congolesi sono romantici e questo lirismo irrefrenabile si trasferisce nelle canzoni. Se la musica è la colonna sonora della vita della città del fiume, la birra è la fonte d’ispirazione che armonizza le note dissonanti dell’esistenza quotidiana. Ovunque, a qualunque ora, qualunque sia la condizione sociale delle persone, la birra accompagna tutti i momenti della vita. Il bisogno di questa bevanda si fa sentire non appena i raggi solari sfiorano le cose e gli uomini. «Tokende komela mwa biele ya malili» («beviamo una birra fresca») vuol dire «sediamoci e passiamo un po’ di tempo insieme»; oppure la richiesta spesso rivolta dalle donne agli uomini «sombela ngai biele» («offrimi una birra») rappresenta un invito a fare omaggio alla donna sia essa amica, zia, cognata oppure una futura amante. Quando si beve le bottiglie vuote restano sul tavolo, in modo che coloro che passano vedano quanto si è bevuto (il numero di bottiglie presenti sul tavolo indica la salute economica dei bevitori). Infatti, durante il regime di Mobutu, interrogato dai giornalisti sulla crisi economica del paese, il dittatore usava ripetere che avrebbe creduto alla crisi quando i congolesi avessero smesso di bere birra. Anche durante i momenti più difficili vissuti dalle due capitali, l’unica cosa che non è mai mancata a Kinshasa e a Brazzaville era la birra. Tonton Skoll, Primus, N’gok le choc, Mutzig e altre marche di birra sono sempre presenti nella buona e nella cattiva sorte. E nessuna dittatura, nessuna guerra, nessuna religione sono riuscite a togliere questa schiuma bianca dai bicchieri dei congolesi. Birra e fiume, i due totem dei congolesi di Brazzaville e di Kinshasa. Mpessi Za Bantu