Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  maggio 06 Sabato calendario

«Roma città aperta», spunta la sceneggiatura dei misteri, Corriere della Sera, 6 maggio 2006 «La storia del cinema si divide in due ere: prima e dopo Roma città aperta »

«Roma città aperta», spunta la sceneggiatura dei misteri, Corriere della Sera, 6 maggio 2006 «La storia del cinema si divide in due ere: prima e dopo Roma città aperta ». La frase è del regista Otto Preminger, e ben sintetizza il posto centrale che il film di Rossellini occupa nella storia del cinema. Non solo italiano. Una importanza che, negli anni, ha finito per generare anche una serie di leggende, amplificate anche dai ricordi, un po’ vaghi, degli stessi protagonisti. Come il fatto che che l’elettricità per illuminare le scene era stata rubata alla redazione di un giornalino per le truppe americane (vero) o che la pellicola usata per le riprese fosse scaduta (falso). Ma il mito più duro a morire è stato quello di un film girato senza sceneggiatura, improvvisato seguendo l’estro di Rossellini, che appuntava battute e idee su biglietti del tram e foglietti volanti. Un mito che reggeva soprattutto perché una sceneggiatura (che pure Sergio Amidei sosteneva di avere scritto ma non conservato) non si trovava. Il mistero ha retto sessant’anni, ma è finalmente crollato di fronte alla tenacia e allo spirito investigativo di un rosselliniano doc, Stefano Roncoroni, critico, sceneggiatore e regista lui stesso, che sta finendo di preparare il volume La storia di Roma città aperta, in libreria a giugno pubblicato dalla Cineteca di Bologna e dall’editore Le Mani. Lì, nero su bianco, si potrà finalmente leggere la sceneggiatura originale e confrontarla, pagina dopo pagina, con quella desunta dal film. Oltre naturalmente ad avere a disposizione moltissimi documenti inediti che aiutano a far luce sulla storia di questo film. Ma la parte più avventurosa del volume è l’introduzione, dove Roncoroni racconta come è venuto in possesso di un testo che, mistero dei misteri, deve continuare a essere considerato «scomparso». Perché quella pubblicata è la sbobinatura di una lettura, non la trascrizione di un testo. Quando infatti Roncoroni riuscì finalmente a ritrovare il produttore Aldo Venturini, messo sulle tracce da Amidei che si era ricordato il nome del suo barbiere (secondo la teoria che «un uomo lascia la moglie piuttosto che rinunciare al proprio barbiere di fiducia»), dovette fare i conti con l’impossibilità di fotocopiare quel preziosissimo testo. Venturini era vecchio, malato e soprattutto non amava quell’unico film prodotto (lui era un commerciante di stoffe), perché «aveva dato gloria a tutti ma gli aveva portato solo grane». Se proprio voleva poteva leggerla, quella benedetta sceneggiatura. «A voce alta» propose Roncoroni, fingendo di essere abituato a fare così, per incidere il contenuto di quelle rarissime pagine in un registratore nascosto nell’impermeabile: «Pagina uno in numeri arabi in alto a destra... sotto Piazza di Spagna esterno trattino notte tutto minuscolo... sotto uno in numeri arabi è il numero della scena...». Aiutato anche dal fatto che Venturini, durante quelle strane letture, sonnecchiava. Poi Venturini morì, Roncoroni entrò in possesso di molte sue carte, ma non della sceneggiatura originale, misteriosamente scomparsa. Così come sparì quella conservata presso l’ufficio della proprietà letteraria. A testimoniare comunque che quella registrata da Roncoroni è autentica restano le tre prime e le tre ultime pagine della copia consegnata per l’attribuzione della nazionalità italiana e che, per risparmiare spazio, venne ridotta, come d’abitudine, in quei minimi termini. Leggendola, si scopre che non solo la sceneggiatura esisteva prima delle riprese ma che è anche sostanzialmente fedele al film realizzato. Con due significative differenze: nelle scene più drammatiche del film, la morte di Pina (Anna Magnani) e il colpo di grazia a don Pietro (Aldo Fabrizi), Amidei aveva attribuito la responsabilità delle morti a due italiani in camicia nera, mentre nel film sono sostituiti da due nazisti. Un «compromesso» reso probabilmente necessario dalla necessità di pacificazione nazionale che si cercava in quei mesi e che nulla toglie a un film che resta un capolavoro assoluto. Anche se non fu scritto sui biglietti del tram. Paolo Mereghetti