Roberto Gervaso, Il Messaggero, 09/05/2006, 9 maggio 2006
Madame Roland, Il Messaggero, 9 maggio 2006 Caro Signor Gervaso, ho sempre amato la storia della Rivoluzione francese che, credo, sia stata uno degli eventi più straordinari di ogni tempo, almeno in Occidente
Madame Roland, Il Messaggero, 9 maggio 2006 Caro Signor Gervaso, ho sempre amato la storia della Rivoluzione francese che, credo, sia stata uno degli eventi più straordinari di ogni tempo, almeno in Occidente. Una storia di sangue che tanto ha trasformato la vita politica, istituzionale, sociale, economica, culturale, spirituale dell’Europa. Non si ottengono grandi risultati senza grandi traumi e drammi.La Rivoluzione francese, più di quella americana, assai meno tragica, ci ha fatto conoscere personaggi straordinari, sia nel bene che nel male. Pensi a Robespierre, a Mirabeau, a Danton, a Marat, a Saint-Just e al più grande di tutti, Napoleone. Ma pensi anche a Necker, a Madame de Staël, a Madame Roland e al marito. E, sul fronte opposto, al debole e inetto Luigi XVI e alla moglie, la fatua e mondanissima Maria Antonietta che, condannata come il marito alla ghigliottina, ascolterà il verdetto a testa alta e ciglio asciutto, con dignità davvero regale. Non posso chiederle di parlarmi di tutti questi personaggi. Mi limiterò a uno dei più patetici perché dei più illusi: Madame Roland Viki Lucciolli - Firenze Marie-Jeanne, moglie di Jean-Marie, era, come si direbbe oggi, una radical-chic, una snob intelligente, elegante e saccente, che s’illudeva di cambiare il mondo solo perché aveva letto Plutarco, Voltaire e Rousseau. A undici anni era un pozzo di scienza. A venti si sentiva chiamata a un ruolo d’ispiratrice e di protagonista della politica. Odiava il re e la regina e detestava la corte. Voleva fare della Francia monarchica una repubblica platonica dove i filosofi comandavano e gli altri ubbidivano. Ma aveva fatto i conti senza l’oste, come i nostri azionisti del secondo dopoguerra, spazzati via dalla diccì democristiana e papalina e dal piccì togliattiano e moscovita. La palingenesi doveva avvenire nel suo salotto. Utopie che si pagano care, perché la realtà, specialmente nelle rivoluzioni, è molto più dura, brutale, drammatica. Il marito Jean-Marie, ispettore delle manifatture, e, dal marzo del 1792, ministro dell’Interno in un governo mezzo monarchico e mezzo repubblicano, era, come Marie-Jeanne, un esponente autorevole del partito girondino, progressista e riformista. A differenza di quello giacobino, massimalista e barricadiero che voleva tutto e subito con i tribunali del popolo, i processi sommari e il palco di Monsieur Guillotin. Sappiamo tutti come andò a finire. I montagnardi costrinsero i girondini a passare la mano, il re finì in prigione e i coniugi Roland tornarono nel loro modesto appartamento parigino. Si avvicinava il Terrore, il trionfo di Robespierre e compagni in una Francia sconvolta dalla controrivoluzione vandeana e dalla guerra contro le monarchie europee coalizzate. I Roland capirono che non li avrebbero salvati le lettere traboccanti di devozione che Marie-Jeanne aveva scritto all’’incorruttibile” avvocato di Arras. La loro parte l’avevano recitata. Ora dovevano ritirarsi in buon ordine. Ma i giacobini glielo impedirono, convinti che la Gironda avesse tramato contro la Montagna, ormai identificata con la Patria. Nel giugno 1793 il Comitato rivoluzionario del Comune mandò una pattuglia armata ad arrestare l’ex ministro dell’Interno e la moglie, che da mesi dormiva con la pistola sotto il cuscino. Lui riuscì a evitare l’arresto, dimostrandone l’arbitrarietà. Quindi, lasciò Parigi per Rouen, dove trovò ospitalità presso vecchi conoscenti. Lei, meno fortunata, seguì gli sbirri nella prigione di Santa Pelagia, per essere, dopo cinque mesi, trasferita alla Conciergerie. «La parte di fabbricato riservata alle donne - leggiamo nelle Memorie di Madame Roland - è divisa da corridoi angusti, su cui si aprono, a destra e a sinistra, le porte delle celle. Io sono cacciata in una di queste, divisa dalle altre, che ospitano le prostitute, da un semplice tramezzo». Marie-Jeanne pensò di suicidarsi con il veleno, poi ci ripensò perché aveva una figlia. Venne il giorno del processo. I giudici l’accusarono di complicità con il marito, di trame antirepubblicane, d’intrighi antirivoluzionari, di delittuosa ostilità alla Convenzione. Lei si difese dichiarando che quelle accuse, lungi dall’offenderla, la onoravano. Ciò irritò i giudici, che, comunque, già avevano deciso: condanna a morte. L’8 novembre, l’esecuzione. Madame Roland si presentò in un candido vestito di mussolina ornato di pizzi e stretto da una cintura di velluto nero e con in testa un elegante cappello a cuffia quasiché, invece che al supplizio, dovesse recarsi a un gala. Prima di salire sul palco abbozzò un sorriso e, quando fu davanti al "rasoio nazionale", s’inchinò alla statua della Libertà e con enfasi declamò la storica frase: «Libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome». Quindi, consegnò al boia la testa, che rotolò nel paniere. Il suo merito fu quello di avere sposato una grande Causa. Il suo errore di averla sposata troppo e male. Roberto Gervaso