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 2006  maggio 07 Domenica calendario

Biografia di Ava Gardner

Ava Gardner: Amori, nozze e sbronze, La Repubblica 7 maggio 2006 Il paradosso di ogni biografia, e di quella forma abregée di biografia che sono le commemorazioni giornalistiche, è che il biografato i suoi segreti spesso e giustamente se li tiene per sé. Nel caso di Ava Gardner, la biografata ha parlato, a voce e nel suo libro che non ha fatto in tempo a veder stampato (Ava Gardner, la mia vita). E ha sempre parlato con una voce chiara e inequivoca, parolacce - le sue adorate parolacce da carrettiere - comprese. Ha parlato contro la macchina dello studio system, che per diciassette anni l´ha tenuta prigioniera della Metro Goldwyn Mayer, delle sue strettissime regole e della sua indifferenza nei confronti della bomba inesplosa di bellezza e di erotismo che si trovava tra le mani e sotto contratto, senza mai provare a trovarle una parte importante e soddisfacente, senza mai insegnarle a recitare («timbro il cartellino, mi lavo e vado a casa», diceva, riassumendo la sua vita di lavoratrice del cinema). Ha parlato contro il conformismo della fintamente per bene società dello spettacolo, riuscendo a sopravvivere a modo suo in un´industria di rara ipocrita crudeltà: imponendo le sue regole di libertà (e, anche se non è vero, viene da pensare che la sua parte in La contessa scalza sia nata proprio da lei, dalla sua libertà anticonvenzionale e simbolica di andare sempre e da sempre a piedi nudi). Ha parlato contro l´ipocrisia dei legami protratti fuori dall´amore: quando non funzionava, non funzionava più, diceva, e basta. E ha parlato dei suoi amori. «Querido Luis Miguel? Ti mando queste righe per ricordare la nostra storia d´amore, quella impossibile avventura che tanta invidia suscitò nella mia amata Spagna, e che né tu né io volemmo fosse altra cosa». Così scriveva Ava la bruna, Ava la bellissima dagli occhi di smeraldo (non sembra descrivere lei il titolo del bel racconto di Salinger: Bella bocca e occhi miei verdi?), offrendosi all´attenzione dei biografi suoi ed altrui in occasione di un´annunciata biografia di Dominguin a cui lei intendeva così contribuire, ricordando uno dei grandi amori della sua vita e celebrandolo. Con la fiera impudicizia di una donna che nella sua natia North Carolina era stata, secondo un unanime ricordo, un «ragazzaccio» (la forma di libertà fisica e morale che sola, negli anni in cui lei era ragazzina, era consentita alle "femmine"), perennemente stracciata, perennemente a piedi nudi, e che da adulta si era concessa l´inconcepibile libertà di essere liberamente sensuale, di prendersi gli uomini che le piacevano (e anche quelli che non le piacevano, come nel caso di Mickey Rooney: ma queste sono cose di cui a volte ci si accorge troppo tardi o su cui ci si illude), di sposarli quando necessario, di non sposarli quando le andava di non sposarli, di «divorare la vita e godere delle sue passioni». E quindi un matrimonio di sedici mesi con Rooney, un anno e otto giorni con Artie Shaw, cinque anni e mezzo (ma anche una amicizia per la vita) con Frank Sinatra, e poi Howard Hughes, e, appunto, Dominguin, spregiudicatamente descritto come «amante e anche molto amico», con «un corpo arrogante?». Nel tourbillon de la vie cantato da un´altra immagine leggendaria, Jeanne Moreau, Dominguin avrebbe poi incontrato Lucia Bosè, Ava Gardner avrebbe avuto un lungo flirt con Walter Chiari sullo sfondo della dolce vita romana, della Hollywood sul Tevere e delle notti piene di paparazzi, e via via, di storia in storia, fino alla solitudine con cagnetto degli ultimi anni (ma «se fossi realmente così triste e sola come si dice in certi resoconti», scriveva lei, «mi farei saltare le cervella»), malconcia dopo alcuni gravi problemi fisici, malata, nella sua casa di Londra dove è morta nel 1990. Ad Ava Gardner piaceva vivere. Niente nevrosi, al massimo qualche malinconia da bella del Sud. Le piaceva vivere, bere e, miracolo dei metabolismi fortunati, abbuffarsi. C´è da traballare a leggere la dieta quotidiana di cui si nutriva quel corpo da dea, una dieta che partiva da breakfast a base di pollo fritto e focacce di granturco. C´è da traballare a sentire la gamma delle sue preferenze alcoliche come le elenca uno dei suoi biografi, Roland Flamini: «Gin, vodka, tequila, rum, scotch, whisky di segale, bourbon, birra, champagne, o come si ostinava a chiamarlo lei, "shampoo", brandy, crème de menthe?», il tutto mescolato in forma di Bloody Mary, Daiquiri, Alexander, Whisky Sour, Martini, di un cocktail di sua invenzione chiamato Touch of Venus, in onore di un film da poco interpretato (un misto, orrore, di drambuie e tequila), o in forma di Solasombra, «una miscela letale di assenzio e cognac spagnolo» (Ava dixit) che la spinse, una volta, in Messico, a montare su un cavallo in un´arena da corrida e a farsi scaraventare per terra, con effetti devastanti per la sua faccia. C´è da traballare a scoprire che a venticinque anni aveva letto solo due libri: la Bibbia e Via col vento. Ma che, forte di una diabolica volontà di imparare, a trentadue, ai tempi in cui si preparava a girare Il sole sorgerà ancora, poteva arrischiarsi a denunciare a Hemingway - ovviamente affascinato dalla magnetica bellezza che Ava già aveva sfoggiato in Le nevi del Kilimangiaro e che doveva ora esibire per dare corpo a Lady Brett Ashley («dotata di egual fascino sia da sbronza che da sobria», secondo Hemingway, e in questo molto simile ad Ava) - il fatto che il copione, nella versione voluta da Zanuck, faceva schifo e che «lui» doveva migliorarlo. Per inciso, Hemingway lo fece rifare al suo amico Peter Viertel, ma la Fox trovò modo di edulcorare il tutto. E Papa - ricorda la Gardner - lo etichettò «l´ignobile viaggio di Darryl Zanuck nella Generazione Perduta». Robert Graves, il poeta, lo scrittore di Io, Claudio, folgorato da un incontro con lei, dedicò alla dea bruna del Sud, nel 1958, un racconto intitolato Un brindisi per Ava Gardner e le fece leggere una sua poesia che, diceva, gli sembrava quasi di aver scritto per lei. «Parla sempre con quella voce / Anche agli estranei? / selvaggia e innocente, promessa all´amore / Attraverso tutte le sventure?». Una descrizione che assomiglia davvero alla donna che amava descriversi come «una meridionale stanca della disciplina americana»: i poeti la sanno lunga. Irene Bignardi