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 2006  maggio 07 Domenica calendario

Ava Gardner, La Repubblica, 7 maggio 2006  Quando morì per una broncopolmonite nel suo esilio dorato di Londra, i critici di ogni parte del mondo scrissero che se n´era andata «la donna più bella mai apparsa sullo schermo»

Ava Gardner, La Repubblica, 7 maggio 2006  Quando morì per una broncopolmonite nel suo esilio dorato di Londra, i critici di ogni parte del mondo scrissero che se n´era andata «la donna più bella mai apparsa sullo schermo». Ava Gardner aveva interpretato pochi film memorabili e molte pellicole mediocri, ma non c´era fotogramma di cui non si fosse impadronita, trasformandolo in un´immagine che dipendeva totalmente dalla sua presenza. In quarant´anni di carriera non fu mai una grande attrice, ma sin dagli esordi aveva dimostrato di essere molto di più: una star, al di sopra dei film che interpretava e della sua stessa vita. In quel gelido giorno di gennaio in cui si spensero gli occhi che avevano ammaliato tre mariti, numerosi amanti e il pubblico di ogni continente aveva compiuto da poco sessantasette anni, e nei giorni finali del declino stava lavorando alacremente alla propria autobiografia, nella quale aveva promesso di raccontare la verità su se stessa, su Hollywood e sugli uomini che aveva amato. Non riuscì mai a terminarla, e il libro fu rimaneggiato da editor che ne vollero immortalare l´immagine di diva indomita e sincera, consapevole della forza e della fragilità della propria strabordante sensualità. A sedici anni da quell´autobiografia apocrifa viene pubblicata oggi in America una voluminosa biografia a firma di Lee Server, che sin dal titolo, Love is nothing, promette di seguire lo stesso itinerario suggerito dal libro precedente, ma offre in aggiunta testimonianze e documenti inediti. Il testo gioca sull´ambiguità che la diva manifestò nei rapporti sentimentali. Anche nel pieno delle relazioni più tumultuose la Gardner dichiarò: «L´amore non è nulla». Ma in più di una occasione rettificò in forma dolente: «Love is nothing but pain: l´amore non è nient´altro che dolore». Server è l´ultimo di una lunga serie di uomini ammaliati dall´attrice e si mostra convinto che la sua personalità imprescindibilmente libera e la sua folgorante bellezza carnale abbiano messo in secondo piano i difetti caratteriali, gli atteggiamenti capricciosi e a volte sprezzanti, e una mancanza di talento recitativo di cui era la prima a soffrire. Era la più piccola dei sette figli di una scozzese e di un oriundo irlandese che coltivava senza fortuna il tabacco a Brogden, nella Carolina del Nord. Visse tutta l´adolescenza in campagna, non terminò mai la scuola e divenne la mascotte della contea per la bellezza precoce e il linguaggio irriverente e colorito. Da piccola sognava di passare tutta la vita in quei campi, ma il suo destino cambiò quando andò a trovare la sorella Beatrice che si era stabilita a New York con il fidanzato e lui, che di mestiere faceva il fotografo, le chiese di ritrarla per il proprio portfolio. Quell´immagine folgorò un talent scout della Mgm, che convinse lo studio ad assumerla subito per cinquanta dollari a settimana, unicamente sulla base della sua bellezza. Si trasferì a Hollywood a poco più di diciotto anni e, nonostante il casting director Al Altman avesse scritto in un memo «in quella ragazza del Sud ho visto il fuoco negli occhi», venne scritturata solo per parti secondarie di film di serie B. Tra il 1942 ed il 1945 partecipò a ventisei pellicole assolutamente trascurabili, ma venne notata da Mickey Rooney, che cominciò a corteggiarla. Rooney pensava solo a un´avventura, lei spiegò che non ne aveva alcuna intenzione, e che era vergine. Rooney si disse pronto a sposarla e lei accettò. Server non sottovaluta la dose di opportunismo che ebbero entrambi in quella scelta, il ruolo di manager, produttori e agenti, e il misto di cinismo, vuoto morale e leggerezza hollywoodiana che caratterizzò quel primo matrimonio. Certo è che durò poco più di un anno e che poi Rooney definì quel rapporto esclusivamente come una «sinfonia sessuale». Durò ancora meno il matrimonio successivo con Artie Shaw, segnato da abusi e prevaricazioni e dal corteggiamento parallelo da parte del miliardario Howard Hugues, con cui lei giocò come il gatto col topo. Alla fine della guerra la Gardner era un tipico personaggio hollywoodiano: aveva conquistato le pagine di tutti i tabloid ma non aveva interpretato nulla di interessante. Ma nel 1946 due episodi cambiarono drasticamente la sua esistenza: conobbe Frank Sinatra, con cui avviò la più importante relazione della sua vita, sfociata nel terzo matrimonio, e venne scritturata come protagonista femminile per The Killers, il film di Robert Siodmak tratto dal racconto di Hemingway. Ava capì che si trattava della grande occasione e si trasformò in un´icona dello schermo, senza riuscire tuttavia a cancellare l´immagine costruita dai publicist della Mgm, che avevano approvato una campagna pubblicitaria nella quale la si definiva «il più bell´animale del mondo». The Killers fu un grande successo e l´attrice cominciò ad avere ruoli da protagonista, ma venne doppiata nelle parti musicali di Show Boat e riuscì ad eccellere solo sotto la direzione di grandi registi: George Cukor in Bhowani Junction, John Ford in Mogambo, Joseph Manckiewicz nella Contessa Scalza e John Huston, che dopo La Notte dell´Iguana la volle per un indimenticabile cameo nell´Uomo dai sette capestri: la parte di Lily Langtry, la diva che aveva ispirato l´intera esistenza del giudice Roy Bean. Server si dilunga sulle relazioni tormentate di quegli anni, chiassosamente raccontate dai tabloid e condite da espliciti riferimenti sessuali: George C. Scott la picchiò ripetutamente; di Sinatra, che pure la amò perdutamente, lei ebbe a dire: «A letto non abbiamo mai litigato; i problemi nascevano sempre sulla via del bidet». Era consapevole della propria ignoranza ma anche ironica: tra gli aneddoti più divertenti c´è un incontro con Tolkien, nel quale nessuno dei due sa chi è l´altro. Un crescente fastidio per la vita hollywoodiana la portò a trasferirsi in Spagna, dove fu amante di Luis Dominguin e divenne «aficionada» dell´arte della corrida. Frequentò a lungo anche l´Italia, ispirò a Fellini la sequenza della Dolce Vita sull´arrivo della diva americana e ebbe un burrascoso flirt con Walter Chiari, definito da Server come il Danny Kaye italiano. Si trasferì quindi in Inghilterra e lì rimase sino alla fine, interpretando sporadicamente altri film trascurabili e qualche serie televisiva. Negli ultimi giorni si disse orgogliosa che un´isola delle Fiji fosse stata chiamata Ava in suo onore, e che nella Carolina del Nord avessero aperto un Ava Gardner Museum. Antonio Monda