Maurizio Ricci, La Repubblica, 08/05/2006, 8 maggio 2006
Il 10% del Pil mondiale: bilancio record per i "falsi", La Repubblica, 8 maggio 2006 Fra le file ordinate di giornali e riviste, l´orologio al polso di Orazio spicca come un faro
Il 10% del Pil mondiale: bilancio record per i "falsi", La Repubblica, 8 maggio 2006 Fra le file ordinate di giornali e riviste, l´orologio al polso di Orazio spicca come un faro. « un Omega Chrono Seamaster America Cup», recita con sussiego. Una roba, al negozio, da oltre 2 mila euro, quasi un´auto usata, niente male come investimento per il titolare di un´edicola in un quartiere ancora popolare. «Be´, sembra proprio uguale, ma non è lui: lo avranno fatto in Cina. Io l´ho pagato 50 euro. Aoh, chi ce vo´ crede´, ce crede». Ma è facile che ci creda. Perché distinguere fra vero e falso è diventato sempre più difficile: per ogni valigia Vuitton originale, per ogni autentico orologio Cartier comprati in un negozio, dicono i rapporti, ne viene contemporaneamente venduta una copia falsa, spesso a pochi metri di distanza. L´industria della patacca è in pieno boom. Si falsifica tutto: «Armi e profumi; auto, moto e scarpe da corsa; medicine e macchinari; orologi, racchette, mazze da golf, videogames, software, musica e film» elenca Moses Naim, che alle contraffazioni dedica un lungo capitolo del suo ultimo libro, Illecito. Sono falsi sempre migliori: una borsetta Kelly di Hermès costa 25 mila dollari al negozio, ma il suo falso si vende alla ragguardevole cifra di 4 mila. Sono falsi a tempo di record. Denis Hopper ha trovato su una bancarella, a Shangai, il dvd pirata del film su cui stava ancora lavorando, compreso il doppiaggio realizzato a Hollywood, due giorni prima. Sono falsi che tentano anche i meno sospettabili: Mihail Kalashnikov, l´inventore del celebre fucile, ha fatto causa al governo americano, perché equipaggiava i neopoliziotti iracheni con AK-47 pirata. Se ci si mette il Pentagono, c´è posto per tutti. E, infatti, la platea dei consumatori si allarga a macchia d´olio. L´Italia è uno dei grandi centri (almeno lontano dall´Estremo Oriente) del falso mondiale: la Guardia di Finanza stima il fatturato nazionale fra i 3 e i 5 miliardi di euro l´anno. E anche un grande mercato: un quinto dell´abbigliamento firmato che vediamo in giro è fasullo. Ma il fenomeno è globale: due milioni di inglesi, l´anno scorso, hanno comprato un orologio falso, uno ogni tre complessivamente venduti. E attraversa tutte le classi sociali: in Corea, come a New York, le signore bene hanno la borsetta originale per le grandi occasioni e il suo falso per le uscite quotidiane. Uno studio condotto in Inghilterra dalla Ledbury Research smonta definitivamente il mito che gli acquirenti dei falsi siano, per lo più, giovani single squattrinati. Chi compra Yves St. Laurent, Chanel o Burberry (le marche più bersagliate) falsi ha le stesse probabilità di essere sposato, occupato o di guadagnare più di 70 mila euro l´anno di chi si attiene rigorosamente agli originali. Del resto, l´acquirente di falsi compra, spesso, anche il prodotto autentico. In generale, infatti, chi compra patacche tende a spendere complessivamente di più, nell´arco di un anno, di chi vuole solo originali. Nonostante la motivazione generale siano i prezzi troppo alti dell´autentico, non è gente che vuole spendere di meno. E´ gente che vuole comprare di più. Le indagini psicologiche dicono che il senso di colpa degli acquirenti di falsi è minimo. Ma l´impatto è devastante. Naim sostiene che la lotta contro le contraffazioni «è una delle grandi battaglie del nostro tempo». Negli ultimi dieci anni, il commercio mondiale di prodotti contraffatti è cresciuto otto volte più in fretta del commercio legittimo. Valeva 5 miliardi di dollari nel 1980, quando si contraffacevano soprattutto Vuitton e Gucci. Vale quasi 500 miliardi di dollari, oggi, fra il 5 e il 10 per cento del prodotto mondiale: in pratica, il fatturato che si otterrebbe mettendo insieme la Toyota, la Shell e cinque aziende del calibro di Nokia e Microsoft. Solo in Europa, secondo un´altra ricerca, i falsi tagliano, ogni anno, di 7,5 miliardi di euro il fatturato delle industrie legittime di abbigliamento e scarpe (per capirci, una cifra pari a tre quarti degli incassi mondiali della Nike), di 3 miliardi di euro quello delle aziende di cosmetica, di quasi 4 miliardi il fatturato di giocattoli e attrezzi sportivi, di 1,5 miliardi quello della farmaceutica. Ma la patacca si nasconde ovunque: un decimo dei ricambi auto è falso e, spesso, difettoso, come nei dischi dei freni trovati pieni di sabbia compressa. In totale, in Europa, stimano gli esperti di Bruxelles, 125 mila posti di lavoro, negli ultimi dieci anni, sono svaporati sulle bancarelle del falso. In America, i giganti di Hollywood stimano di perdere oltre 6 miliardi di dollari l´anno (una cifra che equivale a più di un quarto del fatturato Disney) per colpa dei dvd pirata e, sempre più, di Internet: c´è un milione di film disponibile online e 500 mila copie vengono scaricate ogni giorno. Da una parte, nella battaglia di cui parla Naim, ci sono i giganti dell´industria mondiale. Per loro, il boom del falso è, anzitutto, la vendetta del "brand", per cui tanto hanno lottato. Più forte un marchio, più acuta la spinta a contraffarlo. Ma è anche affacciarsi su quella che l´Union des fabricants chiama «il lato oscuro della globalizzazione». Per espandersi in fretta in tutto il mondo, le multinazionali hanno intrecciato una rete infinita di accordi di produzione su commessa, su licenza, soprattutto - a caccia di costi bassi - in Cina, Taiwan, Vietnam. Ed è lì che nasce il grosso dei falsi. I siti delle varie associazioni industriali anti-contraffazione sono pieni di patetici elenchi di contromisure, che spaziano dal Dna alle etichette termoretraibili, agli inchiostri invisibili. Ma è difficile tenerli nascosti ai propri fornitori. Allora, dall´altra parte, chi c´è? Il loro doppio, direbbe l´Union des fabricants. Il falso è globale, onnipresente e mostra la stessa faccia in tutto il mondo. Da Canal Street a New York a Wembley Market a Londra, da Ciudad del Este in Paraguay al Fake Market di Shangai, nei supermercati del falso c´è sempre una fila di negozi tutti uguali, dove si affastellano gli stessi identici prodotti, senza nessun tentativo di effetto-vetrina. Ma l´idea che, dietro tutto questo, ci sia un´economia del sottoscala è un altro mito. Dietro, secondo la stessa Union, ci sono network che costituiscono «un´industria di produzione di massa», capace di stare al passo con gli ultimi sviluppi della tecnologia e di tenere in piedi moderni sistemi di trasmissione, di trasporto e di logistica. E di mobilitare i capitali necessari. Ci vogliono da 50 a 100 mila euro per acquisire certe presse e 3-600 mila euro per una linea di produzione plastica. In più, la distribuzione avviene in importi rilevanti. All´aeroporto parigino di Roissy, nel 2002, i doganieri hanno sequestrato, in un unico carico, 2 tonnellate e mezzo (esatto, tonnellate) di orologi falsi, prodotti a Hong Kong e diretti in Spagna. Solo la criminalità organizzata, secondo molti, ha le capacità e i fondi per gestire questo traffico e il falso è, spesso, uno strumento di riciclaggio di denaro sporco. Ma l´idea dell´industria della contraffazione come una sorta di attività a lato è un altro mito. Un singolo camion di sigarette contraffatte può portare un profitto di quasi 500 mila euro. Per Alain Defer, capo dell´unità francese anti-contraffazione, i guadagni sono analoghi a quelli della droga: «Circa 10 euro per ogni euro di investimento». Il rischio di essere beccati è «virtualmente inesistente» e le pene molto inferiori: due anni di prigione contro dieci. E, poi, dipende dal falso. A prima vista non ci si crede, ma, dice Cristophe Zimmerman, un consulente della Commissione europea, «un chilo di cd pirata vale più, in Europa, di un chilo di marijuana». Ecco il conto: «Un videogame in migliaia di copie clonate costa 20 centesimi a produrlo e si vende a 45 euro. La cannabis costa, sul mercato, 1,52 euro a grammo e si vende circa a 12 euro. Ne consegue che si fanno otto volte più profitti a trafficare in prodotti digitali che in droga». Maurizio Ricci