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 2006  maggio 06 Sabato calendario

Il Sole-24 Ore, sabato 6 maggio «Non vi preoccupate, in Parlamento ci andiamo noi». Si narra che Vito Gamberale, amministratore delegato di Autostrade, con questa frase abbia contribuito a superare gli ultimi dubbi sull’idea di far passare per una norma di legge la revisione delle tariffe autostradali

Il Sole-24 Ore, sabato 6 maggio «Non vi preoccupate, in Parlamento ci andiamo noi». Si narra che Vito Gamberale, amministratore delegato di Autostrade, con questa frase abbia contribuito a superare gli ultimi dubbi sull’idea di far passare per una norma di legge la revisione delle tariffe autostradali. Era la fine di gennaio del 2004. Da oltre un anno la decisione era bloccata dal braccio di ferro tra Austrade e una parte del Governo guidata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Per aggirare l’ostacolo prese corpo l’dea di una norma da inserire nel decreto ”milleproroghe”. Si temeva però che la norma potesse essere vittima di imboscate parlamentari anche perché i contenuti non erano certo graditi ai consumatori. Gamberale sgombrò il campo dai dubbi. E in effetti la capacità di lobbying di Autostrade si rivelò all’altezza della sua tradizione. L’articolo 21 passò tranquillamente, nel silenzio dell’opposizione (che pure, si dice, era stata opportunamente sensibilizzata), sanzionando il successo della linea Autostrade-Anas, sostenuta dal ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi e dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. Ripercorrere la storia di quei 15 mesi è istruttivo per capire qual è il grado di collusione tra Autostrade e lo Stato-regolatore. Si spiegano così gli elevati profitti del gruppo dopo la privatizzazione (si passa da un Roe del 17.4% nel 1999 al 42.9% nel 2004, secondo Mediobanca, con un rapporto tra margine operativo lordo e ricavi stabilmente al di sopra del 60%), la sbalorditiva crescita della quotazione del titolo in Borsa (dai 7,0875 euro pagati da Schema28 all’Iri nel 1999, con il governo D’Alema, ai 24,25 attuali), l’eccellente plusvalenza realizzata dalla famiglia Benetton che ora sta per cedere il controllo agli spagnoli di Abertis. Per avere un’idea, nel 1999 la Schema28 controllata al 60% da Edizione Holding (Benetton), ha pagato 2.515 miliardi di euro per il 30% di Autostrade. Oggi grazie a una serie di operazioni societarie la stessa Schema28 controlla il 50% di autostrade che vale 6.935 miliardi, senza contare la cessione di due pacchetti (10% e 2%), il dividendo straordinario deliberato in occasione dell’accordo con Abertis e tutti i dividendi percepiti in questi anni. Una convenzione ”debole”, un regime tariffario confuso, un regolatore distratto (nella migliore delle ipotesi) hanno permesso alla società che gestisce il 50% della rete italiana (e una quota assai superiore del traffico) di fare bella figura con il mercato. E ai privati che avevano rilevato la quota di maggioranza dall’Iri di incassare rapidamente un pingue bottino. La guerra delle tariffe comincia alla fine del 2002. Bisogna rivedere, come previsto dalla Convenzione quarantennale firmata nel 1997 quando ebbe inizio la procedura di privitazzazione (governo Prodi), le modalità di fissazione delle tariffe. Una scadenza che si ripete ogni cinque anni. Autostrade gioca d’anticipo. Si accorda con l’Anas, che in qualità di concedente funge da regolatore del concessionario Autostrade, e firma un atto aggiuntivo alla convenzione in cui, tra l’altro, si definisce un nuovo meccanismo di revisione delle tariffe. La decisione spetta però al Cipe che lavora sulla formula del price cap, prevista dalla convenzione che recepisce una legge del 1992 e una successiva delibera del Cipe, e il 21 gennaio 2003 comincia ad analizzare la questione. Presto sul tavolo del comitato finiscono due proposte: quella di Lunardi, che fa suo il medoto Anas-Autostrade, e quella del Nars, un organismo tecnico che fa da consulente al Cipe e che è composto da economisti di vario orientamento. La proposta del Nars differisce da quella delle Infrastrutture per tre motivi: ritocca il sitema di remunerazione dei miglioramenti di qualità perché quello attuale riconosce un doppio premio, modifica il metodo di calcolo della produttività per stelizzare gli effetti di aumenti di traffico superiori a quelli previsti dal Piano finanziario allegato alla convenzione; include nella formula un parametro per evitare che gli extra-profitti accumulati nel primo quinquennio si trasformino in una ”base” permanente per i profitti futuri. Insomma gli economisti del Nars provano a recuperare un po’ del ”grasso” che lo Stato ha generosamente lasciato ad Autostrade quando non ha previsto quello che in gergo si chiama claw back, una sorta di limitatore dei profitti. Autostrade, da parte sua, sbandiera confronti internazionali tuttora sfavorevoli: nel 2004 la tariffa media per vettura era di 5,05 centesimi al chilometro per Autostrade, contro i 6,78 del Portogallo, i 7,03 della Francia, i 7,68 della Spagna e i 14,19 della M6 Toll inglese. Per i camion il confronto è ancora più sfavorevole: 12 centesimi al chilometro per Autostrade contro i 14 della Germania, i 15,08 della Spagna, i 17,16 del Portogallo, i 20,27 della Francia, i 32,76 dell’Austria e i 52,02 della Gran Bretagna. Cifre incontestabili anche se andrebbe aggiungo che la rete italiana è più vecchia e quindi già ammortizzata. Le due proposte di revisione hanno un impatto ben diverso sulle tariffe. Quella di Lunardi è più favorevole ad Autostrade, quella del Nars prevede di fatto una riduzione. L’iter si blocca: il Cipe non si riunisce per mesi, oppure, quando si riunisce, non affronta l’argomento. Tremonti non fa passare la linea di Lunardi e viceversa. Autostrade non molla ma il consenso del Cipe non c’è. Si arriva così alla mediazione della norma di legge. Ne parlano Tremonti e Lunardi il 29 gennio 2004, al termine di un consiglio dei ministri che aveva preso atto dell’incapacità del Cipe a convergere su una proposta condivisa. Nasce in quei giorni l’articolo 21 del decreto ”milleproroghe” che il Parlamento stava convertendo in legge. Dei suggerimenti del Nars non c’è traccia mentre «il IV aggiuntivo alla vigente convenzione tra Anas e Autostrade spa, stipulato il 23 dicembre 2002, è approvato a tutti gli effetti con decreto del ministro delle Infrastrutture di concerto con il ministro dell’Economia». Come contentino, il governo e Autostrade concordano un ritardo di sei mesi nell’entrata in vigore (1 luglio). E annunciano investimenti aggiuntivi per 4.7 miliardi di euro entro il 2009 senza ricordare che quelli previsti dal Piano incluso nella convenzione del 1997 sono stati attuati solo per il 20 per cento. Insomma, tutti i guai, e in particolare le modalità di revisione delle tariffe, vengono dalla convenzione del 1997. Allora fu stabilito che ad Autostrade ogni cinque anni va garantito, come minimo, lo stesso rendimento dei cinque anni precedenti. Per la verità la convensione stabilisce che ogni cinque anni la formula del price cap deve essere rivista. Così gli economisti del Nars erano convinti che i parametri della formula potessero essere adeguati. Ma illustri giuristi, da Giuseppe Guarino a Sabino Cassese, hanno ”interpretato” quel passaggio. Risultato: per 40 anni la formula è intoccabile. La lezione per il futuro è una sola: non è sbagliato privatizzare se lo Stato esercita la sua funzione di regolatore in modo appropriato. Quando serve, anche con un’adeguata azione politica. Da qui al 2038, data di scadenza della convenzione, in fondo restano 32 anni. Orazio Carabini