7 maggio 2006
La Repubblica, domenica 7 maggio 2006 dall´estate scorsa che assistiamo, fra il disgusto, lo sgomento e un fastidioso senso di assuefazione, a scandali scoperti e riprodotti via telefonino
La Repubblica, domenica 7 maggio 2006 dall´estate scorsa che assistiamo, fra il disgusto, lo sgomento e un fastidioso senso di assuefazione, a scandali scoperti e riprodotti via telefonino. Intercettazioni telefoniche, fedelmente riportate sui quotidiani nazionali, che rivelano reti di relazioni implicite, illecite, o comunque, improprie. Fra personaggi diversi, ma importanti. Di ambienti diversi, ma importanti. Centrali, per la vita sociale, civile, economica, politica del nostro paese. Perché - in Italia - il calcio, la Juventus, Moggi: non sono certamente meno importanti del sistema bancario, Antonveneta e la Bnl, Fiorani e Consorte. Semmai, per l´opinione pubblica, è il calcio ad avere più rilevanza. Visto che il 44% degli italiani afferma di essere tifoso di una squadra (come rileva un´indagine condotta da Demos, pubblicata, un anno fa, in un quaderno speciale di liMes intitolato "La palla non è rotonda"). E, di questi, uno su tre dichiara la sua "fede" bianconera. Visto che il calcio continua ad essere tra gli "spettacoli" più seguiti, alla tivù. Il vero motore che promuove la diffusione delle reti satellitari e del digitale terrestre. Visto che il calcio, più di altre attività, suscita sentimenti di appartenenza e di passione. Metà dei tifosi, infatti, non si limita ad amare la propria squadra, ma "odia" le altre; e soprattutto la Juve. Visto che il calcio appare, ormai, difficilmente districabile dalla politica. L´ex premier, presidente "rossonero". Disceso in campo dodici anni fa alla testa di un popolo di "azzurri", al grido di "Forza Italia". E gli altri leader (la più parte di essi, almeno): tutti quanti impegnati a esibire la loro "fede" negli stadi. Ogni domenica. Mentre "frange estremiste" di militanti - politici, prima ancora che sportivi - occupano le curve. E minacciano le società, i giocatori e, talora, gli altri tifosi. Facendo dello stadio la loro arena mediatica. Per questo le "scandalose" intercettazioni, di cui è protagonista il Dg bianconero, Luciano Moggi, non riguardano solo il calcio. E non riguardano solo la Juve. Lo dico non (solo) per alleviare il mio personale disagio (di tifoso bianconero fin dalla nascita). Ma perché la Juve è qualcosa di più di "una" squadra fra le altre. l´asse attorno a cui ruota il football nazionale. Un po´ come Berlusconi per la seconda Repubblica. Non solo perché conta un terzo dei tifosi e un numero ancor maggiore di "spettatori". Ma perché la sua tifoseria è "nazionalpopolare". Riflette il profilo medio della popolazione media italiana. distribuita in modo omogeneo su tutto il territorio. Da Nord a Sud. La prima squadra italiana. La seconda dovunque, nelle singole zone. Dopo quella "locale". La squadra dei "provinciali" e degli emigranti che si vogliono integrare e che vogliono vincere. Il calcio: come la televisione - con cui si è profondamente osmotizzato - , fonte di costruzione della nostra identità nazionale; fatta di localismi e di appartenenze comuni. Noi, cittadini della nostra città e della nostra regione. E italiani. Senza contraddizione. Tifosi della nostra squadra cittadina. E della nazionale. Oppure, sinteticamente, tifosi della Juve. Il bianconero come variante della nazionale, da tanti anni. Per tanti anni. Per questo è importante il calcio, in Italia. Per questo è importante - e inquietante - lo scandalo che lo scuote. Per questo non riguarda solo la Juve. Né solo il calcio. Tanto più perché asseconda molti retropensieri, diffusi e consolidati, che pervadono questo ambiente. Conferma, anzitutto, la convinzione che - nel calcio come nella vita - non vince il migliore, ma il più influente. Non i "più forti", ma "poteri forti". Quelli che sanno manovrare le leve giuste, senza apparire. Senza esporsi in prima persona. Poi, che nello sport - come nella vita e ovunque - non contano tanto il merito, la qualità, la caparbietà. Ma altre competenze. Altre abilità. Le relazioni, i compromessi, la furbizia, i favori. Ancora: rafforza l´idea che tutto, ma proprio tutto, ciò che contribuisce al successo in campo è pre-determinato. già scritto prima. Che nulla può succedere per caso. Perché lo squilibrio di risorse è estremo. In fondo la distribuzione dei diritti televisivi è governata, in misura preponderante, da tre-quattro squadre. Le solite. Inter e Milan, su tutte, insieme alla Juve. Che, per questo, dispongono di possibilità finanziarie inaccessibili agli altri club. E il "mercato" dei giocatori. Controllato, largamente, da una società, la Gea, che fa capo al figlio di Moggi. Per non parlare dei dirigenti della Federazione e degli "arbitri". Che, nei dialoghi intercettati, entrano come attori comprimari, di questa modesta e mediocre commedia all´italiana. Arbitri e dirigenti che sono "parte". Affetti da contiguità e familiarità con i "poteri forti". Uno scenario desolante e penoso. Inquietante. E pericoloso. Proprio perché - tanto più perché - echeggia sospetti diffusi. Giudizi generalizzati, che da oggi non potranno più essere considerati pre-giudizi. Pericoloso. Perché dà sostanza, fondamento ai nostri cattivi pensieri, alle nostre cattive abitudini. Visto che noi, in realtà, non solo abbiamo sempre saputo. Ma ci siamo assuefatti a questa fanghiglia. Otto italiani su dieci (senza troppe differenze fra tifosi e non), infatti, considerano il calcio poco credibile "perché ci sono troppi interessi sotto". Il 60% "perché è al centro di troppi interessi politici". E solo una minoranza ristretta (il 30%) pensa che "il calcio è uno sport vero, dove vince il migliore". Gli stessi tifosi della Juve condividono questi giudizio. Come gli altri: rassegnati al sospetto. Convinti che il calcio sia un ambiente opaco. Eppure egualmente disposti (fino ad oggi, temiamo anche domani) a "tifare". Magari senza appassionarsi più. Come, d´altronde, non si appassionano più alle vicende della politica, degli affari, dell´economia, della società. Di cui il calcio è considerato uno specchio attendibile. Per questo è rischioso il morbo che infetta il calcio. Perché genera rassegnazione. Perché è-dato-per-scontato. Un calco dello spirito e del costume nazionale. Lo specchio. Di un paese che non è in grado di assimilare il mercato, la legalità, la competizione, la concorrenza, il merito. Dove vincono i furbi e i potenti. Dove le regole e le istituzioni sono considerate vincoli con cui convivere. E i parametri imposti da organismi interni e internazionali sono vissuti con fastidio. Un ostacolo alla nostra creatività e alla nostra flessibilità. Dove i comportamenti illeciti sono tali solo se ti scoprono. Dove, se perdi sul campo, puoi sempre cercare di cavartela in altro modo. Ricorrendo ad altri canali. Facendo pressione. Mobilitando le piazze e i poteri amici. Un colpo di telefonino e via. Dove nessuno accetta di perdere. Di finire in serie B o C. Un Paese fondato sui particolarismi e sui localismi. "In cui - ha scritto ieri Gianni Mura su queste pagine - gli amici e gli amici degli amici ottengono favori, e gli altri si arrangino". Per questo, tanto più se il calcio rischia di essere percepito come uno specchio attendibile del nostro Paese, nessuna indulgenza è possibile. Meglio spezzare lo specchio. Subito. Sperando che, in un prossimo futuro, per definire le virtù del presidente Ciampi e del suo successore, si possa, di nuovo, parlare di un "arbitro". Senza che ciò appaia ridicolo. E blasfemo. Ilvo Diamanti