Vanity Fair 11/05/2006, Francesco Bonami, 11 maggio 2006
Perché questa donna non è Sharon Stone. Vanity Fair 11 maggio 2006. L’omino Mechelen: così dicono fosse soprannominato Johannes Vermeer, dal nome della taverna bed & breakfast - «Mechelen», appunto - che gli avevano lasciato in eredità i genitori, assieme a un negozio d’antiquariato
Perché questa donna non è Sharon Stone. Vanity Fair 11 maggio 2006. L’omino Mechelen: così dicono fosse soprannominato Johannes Vermeer, dal nome della taverna bed & breakfast - «Mechelen», appunto - che gli avevano lasciato in eredità i genitori, assieme a un negozio d’antiquariato. Non si sa molto altro di uno dei più grandi pittori di tutti i tempi. Si sa che ha dipinto pochissimo, 36 quadri, falso più falso meno, impegnato com’era a mandare avanti negozio e taverna, ma anche perché era un incredibile perfezionista, capace di dipingere i fi li di una scopa uno per uno. Si sa che nasce in Olanda, a Delft, e lo battezzano il 31 ottobre 1632. A Delft morirà 43 anni dopo lasciando debiti e dipinti. La moglie metterà all’asta, ad Amsterdam nel 1696, 21 lavori per fi nire di pagare il mutuo. Cresce e dipinge nell’età d’oro della pittura fi amminga, quando anche fornai, macellai e tappezzieri cominceranno a collezionare quadri. Poi le Fiandre passeranno di moda e arriveranno i pittori francesi, e fi no alla metà dell’800 di Vermeer si sentirà parlare poco. Ma nella storia dell’arte questo modesto provinciale, protestante, sposato bene - con la cattolica Catharine Bolnes, alla quale aveva fatto fare una squadra di calcio di fi gli, undici - entra di diritto nell’olimpo dei grandi pittori, quelli a cui non serve il nome di battesimo per essere riconosciuti: Caravaggio, Rembrandt, Van Gogh, Picasso e lui, Vermeer. Da non confondersi con quegli artisti che scelgono un nome, solo per sfi zio, e che di solito sono i più trucidi: César, Arman, Orlan, si potrebbe continuare ma vi verrebbe la nausea. Basta il cognome, quindi. Basta, anche, vederne uno solo, di quadri di Vermeer, e si rimane estasiati, almeno per tre mesi. Il suo cavallo di battaglia è la luce, che sapeva dipingere come nessun altro, trasformandola in spazio, tempo, attimo e tranquillità. La luce di Caravaggio va sulla bolletta del contatore dell’inferno, quella di Vermeer è prodotta dai pannelli solari della tranquillità domestica e dai sentimenti quotidiani. Nell’ombra di Caravaggio si scola un whisky Sharon Stone, mentre nella penombra delle stanze di Vermeer beve il latte Scarlett Johansson, protagonista del fi lm La ragazza con l’orecchino di perla, ispirato proprio a un quadro dell’oracolo di Delft. A parte una fenomenale veduta della sua città lungo il fiume, e qualche dipinto giovanile dal tema religioso, le opere di Vermeer sono tutte ambientate nelle stanze di una qualsiasi casa olandese del 1600. Anzi, non «nelle stanze» ma proprio in una stanza, sempre la stessa, come se fosse lo studio di un fotografo, arredata dal pittore in modo diverso, di volta in volta, a seconda del soggetto. Dicono che l’artista, prima di cominciare a dipingere, passasse giorni e giorni a studiare la composizione, spostando seggiole, scope, soprammobili e quadri, in modo che ogni dettaglio parlasse agli altri dettagli, facendo diventare l’opera una conversazione fra cose, alla quale era invitata a partecipare, anche, qualche persona. Nature morte con gente, potremmo chiamare le tele di questo piccolo genio uscito strofi nando una teiera di maiolica olandese. Quando si va in un museo dove c’è un Vermeer, viene la voglia di portarselo a casa, un po’ per le sue dimensioni, a misura di zaino, ma più che altro per la sua luce soffi ce, che fa venir voglia di coccolarlo come un gattino. Tanto paciosi sono questi capolavori che alla fi ne degli anni Trenta il signor Van Meegeren, pittore bravissimo ma senza idee, decise di farseli da solo i Vermeer. Ci riuscì tanto bene che glieli comprarono anche importanti musei, e persino il federmaresciallo nazista Hermann Göring si fece prendere per il naso. Finita la guerra, lo arrestarono accusandolo di tradimento per aver venduto ai tedeschi un capolavoro della nazione. Visto che rischiava di essere impiccato, Van Meegeren confessò di essere un falsario, e lo dimostrò in diretta, dipingendo davanti alla corte un suo Vermeer, e non a caso il processo durò più di due anni. Tanto tempo a farne uno, vero, ce lo metteva anche lo stesso Vermeer. La meraviglia della sua pittura è, pure, il risultato della lentezza con cui applicava il colore, lasciandolo riposare, marinando la tela come fosse un pezzo d’arista. Fra le opere più famose, Lettera d’amore, del Rijksmuseum di Amsterdam, cominciata a dipingere, si crede, nel 1667 e fi nita nel 1670, 43x83 cm. Alla padrona che suona il liuto la cameriera ha portato un messaggio, d’amore probabilmente, a meno che non fosse il conto della lavanderia. L’artista ci aiuta, con alcuni indizi, a capire che si tratta di un amante e non di calzini puliti. Nel quadro sulla parete di fondo, barche a vela spinte dal vento, simbolo di un animo in subbuglio. Accanto al camino, su una piastrella, un leone rampante, l’amante arrapato. Incredibile la profondità dello spazio, ottenuta illuminando la stanza, con le donne, in fondo al quadro, e lasciando nel buio il corridoio in primo piano. Noi spettatori siamo nella parte buia, diventando i testimoni della scena, le spie forse. Una scopa di traverso sta lì come ostacolo simbolico all’intruso spione, assieme a due zoccoli di legno, che però, secondo la tradizione olandese, stanno anche a simboleggiare la donna di coscia un po’ facile che, come un paio di zoccoli, o zoccola, si fa buttare di qua e di là dal desiderio sessuale. Vermeer riesce a dipingere, pittore- regista, nella sua scatola che si anima come un teatrino, non solo quello che si vede, ma anche il brusio delle voci, il pettegolezzo, il dubbio, l’ansia e il desiderio. Dai gesti, dalla luce e dalle cose si potrebbe anche stabilire l’ora esatta del giorno e la stagione, tarda mattinata d’autunno, quando la luce nel Nord già comincia a calare. Il maestro di Delft fa parte di una nuova classe borghese e mercantile, che sta crescendo, a quel tempo, in Europa. I suoi quadri sono racconti minimi di una realtà che sta nascendo parallela alla religione e alle guerre di conquista. Piccoli quadri piccolo borghesi. Fantastici, rifl esso di una tranquillità che, a poco a poco, diventerà un diritto dell’uomo e della società. Vermeer, Ernesto Calindri olandese, Cynar fi ammingo, contro il logorio della vita moderna. Liscio o con ghiaccio, dipende dai gusti, ma contro lo stress del mondo è sempre l’ora per un Vermeer. Francesco Bonami