Sebastiano Messina, La Repubblica, 04/05/2006, 4 maggio 2006
Il metodo Saragat abbatté lo steccato, La Repubblica, 4 maggio 2006 «Gente come me e come te al Quirinale, se c´è una sommossa di destra sparano, se ce n´è una di sinistra si sparano»
Il metodo Saragat abbatté lo steccato, La Repubblica, 4 maggio 2006 «Gente come me e come te al Quirinale, se c´è una sommossa di destra sparano, se ce n´è una di sinistra si sparano». Pietro Nenni (a Giuseppe Saragat) Dopo la rinuncia di Ciampi, il centro-sinistra affronta oggi il vero nodo di queste elezioni presidenziali: è davvero arrivato il momento di mettere in pista un diessino, o come dice Berlusconi un ex comunista? E´ il penultimo confine che rimane da abbattere nella politica italiana (l´ultimo riguarda la destra, che non ha mai avuto nessuna presidenza costituzionale, ma solo vicepresidenze e ministeri). E ricorda in qualche modo il primo steccato che cadde a sinistra della Dc, 42 anni fa, con l´elezione al Quirinale del socialdemocratico Giuseppe Saragat. Oggi, certo, questo nome fa pensare a un socialismo assai temperato, ma nel 1964 l´Italia aveva appena accettato, e tra mille riluttanze, il primo governo di centro-sinistra. E Saragat, che pure aveva dato prova di essere un alleato affidabilissimo della Dc, era pur sempre uno che faceva suonare l´Internazionale ai congressi del partito. Il fondatore del Psdi aveva preparato con cura la sua campagna. Dalla sua, aveva un titolo istituzionale, essendo stato il primo presidente dell´Assemblea costituente. E poi non faceva mistero delle sue ambizioni. Già nel 1948, quando si era speso per la conferma di De Nicola, a un senatore che gli rimproverava amichevolmente di essersi mosso contro i suoi stessi interessi, aveva risposto: «Vedi a parte il non avere ambizioni personali, non ho l´età». La prima cosa era falsa, la seconda era vera: solo quattro mesi dopo avrebbe compiuto i 50 anni richiesti dalla Costituzione. Ne aveva già 64, invece, nel 1962, quando fu schierato come candidato di bandiera dei non-democristiani (Pci, Psi, Psdi e Pri). In aula raccolse fino a 334 voti, senza riuscire a impedire l´elezione di Segni. Due anni più tardi, però, si accordò segretamente con Moro. Ma fu una manovra progressiva. «Se noi candidassimo subito Saragat, i gruppi democristiani si ribellerebbero e uscirebbe eletto Fanfani» aveva spiegato Moro a Nenni. Dunque lo stesso Moro diede il via libera alla candidatura di Leone, che i franchi tiratori si incaricarono di bloccare. Poi fece approvare ai grandi elettori del partito un oscuro documento in cui si auspicava un candidato che raccogliesse «le più larghe adesioni della parte democratica del Parlamento». Molti votarono senza cogliere quella sfumatura. Solo un deputato quarantenne di Novara, Oscar Luigi Scalfaro, esclamò: «Ho capito tutto, questa sera siamo stati chiamati a votare per Saragat!». [Era così. Partito con un pacchetto di 140 voti, il leader socialdemocratico aveva «sospeso» la candidatura appena si era aperto lo spiraglio di un accordo con la Dc. Ma quando Rumor e Scelba seppero che i comunisti avrebbero dato a Saragat i voti che avevano negato a Leone, si irrigidirono sdegnati e volevano far saltare tutto. Fu allora che il segretario del Psdi si conquistò da solo l´elezione, al ventunesimo scrutinio, grazie a un sapiente giro di colloqui diplomatici - con Nenni, con Longo e con Rumor - che smussarono gli angoli e gli aprirono le porte del Quirinale. Un piccolo capolavoro, anche se nessuno - all´epoca - parlò di un «metodo Saragat». Sebastiano Messina