Filippo Ceccarelli, La Repubblica 05/05/2006, 5 maggio 2006
Ascesa e caduta della banda di Cesare, La Repubblica, 5 maggio 2006 Le aragoste nella vasca, come l´imperatore Tiberio
Ascesa e caduta della banda di Cesare, La Repubblica, 5 maggio 2006 Le aragoste nella vasca, come l´imperatore Tiberio. La Jaguar verde, lo studio foderato in pelle, l´armadio elettronico con i vestiti che ruotano. Il gran colpo della villa dei poveri Casati ad Arcore. Le crociere sul brigantino d´epoca "Barbarossa" e le magliette a strisce fatte indossare agli ospiti di riguardo. Gli occhiali scuri: «Faremo piazza pulita»: E poi, se non si fosse capito bene: «Non faremo prigionieri». Sempre un po´ esagerato, Cesare Previti. Dopo tutto il suo angolo visuale era quello che era. Il tribunale di Roma, con le sue inevitabili disfunzioni e magagne. l circolo Canottieri Lazio, con il socio Fifì che per fare lo spiritoso rivelò al Messaggero di accogliere il suo presidente al grido, decisamente sado-maso: «Calpestami, presidé, sarò il tuo tappetino». Si scherzava e si rideva, negli spogliatoi del calcetto, o al bagno turco. E poi? Beh, c´era la collezione dei soldatini: da fare invidia, per certi pezzi, a Franco Evangelisti e a Peppino Ciarrapico. Quindi la torre all´Argentario, il dissalatore, la piscina riscaldata, e quella «scala segreta che conduce al Paradiso». Lo scrivevano le riviste illustrate, con sinottica traduzione inglese. Qui «la proverbiale grinta di Cesare si diluisce e addolcisce» (it eases off and softens). La piaggeria dei giornalisti, naturalmente. Quella non manca mai davanti al potere e ai soldi. Ma alla lunga dispensa gocce di arsenico a chi l´asseconda, e se ne compiace: «Sì, effettivamente ho giocato a pallanuoto e ancora oggi mi tuffo e gioco...». L´euforia dei comizi. Uno lo preparò Ambra Orfei: «Appena entra in scena l´onorevole - così catechizzava il pubblico - accoglietelo con un grande boato». Gli inviti ai talk-show, il controllo di Forza Italia, la poltrona di ministro, militari che scattavano, facevano il saluto, portavano armi e sventolavano bandiere. Disse allora Cesare Previti per spiegare come mai: «Mi si offriva l´opportunità di mettere al servizio delle istituzioni, avvilite da anni di malgoverno, il mio bagaglio di esperienze professionali e la mia voglia di contribuire a un nuovo miracolo italiano». Ecco. Tutto questo rischia ora di ispirare solo malinconia. I giorni di sole, in fondo, sono durati appena due anni. Mentre è da dieci che Previti è sotto botta. Ci sarebbe da rileggere quel che scrisse su Panorama un intellettuale anche acuto come Ruggero Guarini in un articolo intitolato: «Elogio di Cesare e della sua banda». Un paradosso estetizzante che esprimeva il massimo della simpatia per il «club del delitto», l´infrequentabilità del personaggio, e «il cuore selvaggio della vita», in definitiva. Del resto un altro intellettuale, Franco Cordelli, ha confessato nel romanzo «Il duca di Mantova» (Rizzoli, 2004) di aver avuto come fidanzata una signora che era stata l´amante di Previti: «Questo fatto mi attraeva enormemente». Una volta con gli amici si mise in cerca della famosa torre all´Argentario; individuatala presero a guardare il panorama, ma dal bosco come una furia sortì una donna bionda «con una vestaglia di seta e un costume da bagno». E cominciò a litigare con la comitiva di Cordelli: qui non si può stare, è proprietà privata, no, sì, no, e così via, come succede quando la realtà fa cortocircuito con l´immaginazione. Con qualche inevitabile ridondanza si può dire che Previti, come persona, è uscito dalla sua identità umana per accendere la fantasia di un paese che pretende ormai solo personaggi in perenne trasfigurazione. Lui stesso ha riconosciuto di essere considerato, «lombrosianamente» e in terza persona, un mostro: «Andreotti, Sofri e Tortora sono errori giudiziari. Cesare Previti invece è un mostro». L´accezione latina di monstrum, in senso di fenomeno, è forse quella che meglio si adatta all´esito di una triste vicenda. Oltre che nei romanzi, il suo nome è risuonato negli slogan di piazza e nei cori degli stadi; è stato scritto negli striscioni che si sventolano nelle aule del Parlamento. Qui è sorta una specie di giurisprudenza, culminata in almeno un paio di norme legittimamente ribattezzate "Salva Previti". Il Senato e la Camera, hanno detto in diverse occasioni due figure agli antipodi come Gavino Angius e Filippo Mancuso, si sono trasformate «in una succursale dello studio Previti». Un giorno, come in una visione felliniana, un aeroplanino è stato fatto sorvolare sopra l´abitazione di Previti con una lunga striscia appesa alla coda e la scritta: «La legge è uguale per tutti». E questa è in fondo l´unica consolazione di tutta la storia, che è andata come doveva - e come insegnavano le vecchie zie. Eterni proverbi e grandissimo teatro, dopo tutto, ne segnavano pregiudizialmente l´esito, ben prima della Cassazione. Il primo proverbio è che tutti i nodi vengono al pettine; e il secondo, simile e integrativo, è che le bugie hanno le gambe corte. Mentre per quanto riguarda la letteratura, la lezione è più che altro per Silvio Berlusconi, che Previti, preziosissimo «avvocato d´affari», ha voluto spingere sul proscenio senza rendersi conto delle terribili minacce che comportava. Nell´Enrico IV di Shakespeare è spiegato molto bene dal punto di vista del sovrano il problema degli amici che, dotati di «artigli», avevano contribuito con la loro «feroce azione» a insediarlo dapprima sul trono: «ma la cui forza può ben farlo temere di essere deposto». Non è bene che costoro seguitino a stare in mezzo agli affari dello Stato. Ottima cosa sarebbe di tenerli occupati in guerre lontane, giacché «trasferendo le loro azioni fuori dai confini si può cancellare la memoria degli eventi passati». La Terra Santa, per dire. Ma il problema è che oggi non esistono più i confini. Lo spazio s´è dilatato, il tempo s´è ridotto, un po´ come la pietà (purtroppo), e le aragoste fresche tocca prendersele in mare. Filippo Ceccarelli