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 2006  maggio 05 Venerdì calendario

Israele, gli ebrei e l’Iran: realtà e apparenze. Corriere della Sera 5 maggio 2006. Il presidente iraniano Ahmadinejad ha dichiarato che gli ebrei in Israele devono tornare nei loro Paesi d’origine

Israele, gli ebrei e l’Iran: realtà e apparenze. Corriere della Sera 5 maggio 2006. Il presidente iraniano Ahmadinejad ha dichiarato che gli ebrei in Israele devono tornare nei loro Paesi d’origine. In Israele ci sono centinaia di migliaia di ebrei originari dall’Iran; Ahmadinejad ci tiene così tanto a riprenderseli indietro? Rami Ben Yehuda Caro Ben Yehuda, ho già cercato di descrivere nelle scorse settimane i rapporti tra Israele e l’Iran prima della caduta dello Scià, ma la sua lettera mi permette di ritornare in argomento con altre notizie che potranno forse interessare i lettori. apparso in francese presso le Editions Complexe, in questi mesi, la lunga conversazione di un giornalista, André Versaille con due affascinanti protagonisti e testimoni delle vicende mediorientali degli ultimi sessant’anni («60 ans de conflit israélo-arabe. Témoignages pour l’Histoire»). Il primo, Shimon Peres, è ancora sulla breccia e avrà un posto importante nel governo di Ehud Olmert. Il secondo, Boutros Boutros-Ghali, è stato ministro degli Esteri egiziano all’epoca della presidenza Sadat, poi segretario generale dell’Onu ed è oggi alla guida di una Commissione per i diritti umani costituita al Cairo dal presidente Mubarak. Poche persone sono state altrettanto coinvolte, in una forma o nell’altra, in tutte le vicende arabo- israeliane, e poche persone sono capaci di uno sguardo altrettanto equanime. Quando la conversazione ha toccato gli avvenimenti della fine degli anni Settanta, Peres ha ricordato i «solidi rapporti» di Israele con Teheran all’epoca dello Scià e le relazioni altrettanto cordiali che il governo di Gerusalemme aveva allora con l’Etiopia del Negus, il Marocco, il Sudan. «Erano quelli che noi chiamavamo "rapporti di periferia"; siccome i Paesi vicini erano nostri nemici, ci era parso importante stringere rapporti con gli Stati che circondavano il mondo arabo ostile». Quei rapporti ebbero ricadute economiche (Israele e Iran costruirono insieme un oleodotto tra il Mar Rosso e il Mediterraneo) e non vennero totalmente perduti neppure dopo l’avvento al potere dell’Ayatollah Khomeini. Ancora più interessante tuttavia è una notizia recente. Secondo una corrispondenza di Fabio Scuto da Gerusalemme pubblicata da Repubblica del 24 aprile, tre ingegneri israeliani hanno visitato l’Iran nelle scorse settimane per contribuire alla ricostruzione di alcune infrastrutture danneggiate dal terremoto di Busher: una zona «dove è attivo uno dei siti nucleari "sospetti" degli ayatollah». Tornati in patria i tre ingegneri hanno raccontato al quotidiano Yedioth Ahronot che quella era la quinta visita in Iran dei rappresentanti della loro azienda. Sembra che i rapporti fra i due Paesi possano valutarsi in «decine e decine di milioni di dollari l’anno» e che negli ultimi anni i rapporti commerciali abbiano «conosciuto una vera e propria fioritura». Vengo ora, caro Ben Yehuda, alla sua domanda. Non credo che Ahmadinejad sarebbe felice di riaprire le porte dell’Iran ai molti ebrei che hanno lasciato il Paese (il presidente dello Stato d’Israele parla perfettamente il farsi). Ma questo non impedisce che la comunità ebraica iraniana conti circa 26.000 persone e abbia potuto celebrare la Pasqua ebraica negli scorsi giorni con i riti e i cibi della sua tradizione. Non dobbiamo sottovalutare le minacce di Ahmadinejad, ma non dobbiamo neppure dimenticare che il linguaggio degli uomini politici, nel Levante, non è sempre lo specchio fedele della realtà. Sergio Romano