Corriere della Sera 05/05/2006, pag.65 Roberto Perrone, 5 maggio 2006
Luciano spense il telefono Questa la sua vera sconfitta. Corriere della Sera 5 maggio 2006. Almeno due dei suoi (quattro) telefonini, quelli di cui possediamo il numero, sono staccati
Luciano spense il telefono Questa la sua vera sconfitta. Corriere della Sera 5 maggio 2006. Almeno due dei suoi (quattro) telefonini, quelli di cui possediamo il numero, sono staccati. Forse per la prima volta nella storia, perché Luciano Moggi ha sempre risposto a tutti, potenti o questuanti dell’ultima ora. Per essere il Grande Vecchio, l’Andreotti del football nostrano, quello che, come emerge dalle intercettazioni, spostava equilibri, giocatori e guardalinee, ne è sempre stato anche il dirigente più accessibile. Magari diceva poco, ma rispondeva. Il telefono era la sua voce e trovare la signorina della Tim al posto del suo «Bronto», è la vera sconfitta di Big Luciano. Quando non era al telefono Moggi fumava il toscano. Resta un’unica frase dettata all’Ansa: «Tutto a posto». Per Luciano è sempre tutto a posto. «In pratica». Seconda espressione tipica. Luciano, in fondo, è convinto che la sfangherà anche questa volta. Gli succede da quando partì da Monticiano in provincia di Siena per conquistare il Mondo (del calcio). Aveva giocato da stopper, ma era un picchiatore senza futuro (per sua ammissione). Partì in Seicento. Con le auto ha un rapporto di semplice consumo, proprio come coi telefonini. Meglio se le guidano gli altri. Alle berline preferisce la Multipla color senape del suo amico Graziano Galletti. Uno dei fedelissimi della prima ora. una piccola azienda, ma s’affeziona: quando il cuoco dove andava a pranzare a Torino ha chiuso il ristorante, lui si è comprato il cuoco. Ora che sta nero su bianco quello che in fondo sapevamo tutti, e cioè che governava il football italiano, bisogna dire che lassù c’è arrivato senza spinte o regali. Lui invece ne ha fatti molti. Non solo per «rappresentanza», ma spesso per simpatia, per affetto, e senza chiedere nulla in cambio. Come le cravatte di Marinella che in tanti portiamo annodate al collo. Luciano Moggi è diventato gran ciambellano cominciando come osservatore, sgomitando dal basso, facendosi un giro di conoscenze consumando le scarpe nell’Italia delle periferie. Ancora oggi, il sabato, va a guardare i ragazzini. Per essere il re del mercato, anche lui è un essere umano. Non ci prende sempre. Da Badiani (il primo che portò alla Juve quarant’anni fa) a O’Neill (ribattezzato il nuovo Zidane, ahia) di bidoni ne ha acchiappati pure lui. Per essere il padrone del calcio, è uno che soffre quando lo attaccano. Ci rimane male. Una volta l’abbiamo visto quasi piagnucoloso in un aeroporto apostrofare un collega che lo aveva criticato in un articolo: «T’ho mancato di rispetto in qualche modo?». Per essere uno che era già ricco e potente e aveva già vinto lo scudetto col Napoli, quando arrivò alla Juve, nel 1994, era emozionato come un innamorato al primo appuntamento. Della famigerata Triade è il più disponibile. «Chiamami, se ti serve qualcosa». Eh già, questo è il problema, ’sti telefoni del ... (vocabolo omesso nella trascrizione). Roberto Perrone