La Repubblica 03/05/2006, pag.4 Sebastiano Messina, 3 maggio 2006
Il cappotto usato di De Nicola. La Repubblica 3 maggio 2006. «E’ utile alla Repubblica, alla democrazia, eleggere un presidente con un’ infima maggioranza? Il dovere di tutti è di cercare onestamente una soluzione diversa»
Il cappotto usato di De Nicola. La Repubblica 3 maggio 2006. «E’ utile alla Repubblica, alla democrazia, eleggere un presidente con un’ infima maggioranza? Il dovere di tutti è di cercare onestamente una soluzione diversa». Giuseppe Saragat, 10 maggio 1948 Dunque, come era prevedibile, la palla è arrivata sui piedi di Ciampi. Il centro-destra si è dichiarato ieri pronto a votarlo (pur di non ritrovarsi con D’ Alema al Quirinale) e a quel punto anche il centro-sinistra ha dovuto subito associarsi (piuttosto tiepidamente, per la verità) all’ auspicio che il presidente rimanga dov’ è fino al 2013. Sapremo perciò molto presto se il capo dello Stato è davvero deciso a lasciare il Quirinale - per fare solo il senatore a vita e accompagnare la moglie a teatro, come ha detto finora a chi gli chiedeva di restare - o se invece, vista la situazione, è disponibile a sacrificarsi, restando per altri sette anni sulla poltrona più alta della Repubblica. Certo, molti si aspettavano che Ciampi sciogliesse prima questo nodo. Ma lui non lo ha fatto, evitando di confermare ufficialmente le notizie della sua assoluta indisponibilità a un bis. Così, a dispetto del suo carattere riservato e della sobrietà di stile che lo hanno reso simpatico a molti italiani, il presidente della Repubblica si trova oggi in una condizione simile a quelle in cui amava chiudersi il suo più antico predecessore: Enrico De Nicola. Il grande giurista napoletano era famoso per essere un autentico galantuomo, cultore dell’ onestà, dell’ umiltà e del rigore: quando venne eletto Capo provvisorio dello Stato non solo si rifiutò di andare al Quirinale, residenza di papi e di re, ma non accettò neanche lo stipendio di 12 milioni di lire annui previsto dalla legge, e piuttosto che farsene comprare uno con i soldi dei contribuenti usò sempre, anche nelle cerimonie ufficiali, un cappotto rivoltato. Ma De Nicola era celebre anche perché ogni volta dovevano pregarlo in coro, perché accettasse di sacrificarsi facendosi eleggere a una altissima carica istituzionale (fosse la guida della Repubblica, la presidenza del Senato o quella della Corte costituzionale). Nel 1946, quando gli offrirono la poltrona di Capo dello Stato, lui aveva già rinunciato quattro volte ad essere presidente del Consiglio. E dunque disse di no anche quella volta, al prefetto di Napoli che era stato incaricato di verificarne la disponibilità. Solo l’ indomani, quando lo chiamò il presidente dell’ Assemblea costituente, Giuseppe Saragat, assicurandogli che c’ era quasi l’ unanimità sul suo nome, De Nicola finalmente accettò. «Certo una maggioranza così larga è fondamentale - disse - non per la mia modesta persona che non la meriterebbe, ma per il prestigio della Repubblica». Ebbe l’ 80 per cento dei voti. Eppure un anno dopo, il 25 giugno 1947, presentò le dimissioni: «ragioni di salute», scrisse. Era un problema serio, perché la Costituente non aveva il potere né di accettare né di respingere quelle dimissioni. E così rielesse lo stesso De Nicola. Il quale accettò, ma solo dopo che De Gasperi gli aveva assicurato ancora una volta «un coro di consensi» sul suo nome. Quando Terracini andò a comunicargli la votazione, lui rispose come Garibaldi: «Obbedisco». E’ questo, finora, l’ unico caso di rielezione di un capo dello Stato. Certo, un conto è decidere a 70 anni se restare in carica per un altro anno (come capitò a De Nicola), un altro è decidere se rimanere al Quirinale per un nuovo settennato, con la prospettiva di uscirne a 93 anni. Sebastiano Messina