Il Giornale 30 aprile 2006, pag.5 Alessandro M. Caprettini, 30 aprile 2006
L’ascesa del lupo marsicano che «uccide col silenziatore». Il Giornale 30 aprile 2006. Roma. Gran sabato quello del lupo marsicano che, dopo la Cisl e il Ppi, conquista pure la vetta del Senato
L’ascesa del lupo marsicano che «uccide col silenziatore». Il Giornale 30 aprile 2006. Roma. Gran sabato quello del lupo marsicano che, dopo la Cisl e il Ppi, conquista pure la vetta del Senato. Anche se lui, ostinatamente, continua a pensare che ”il giorno più lungo” della sua vita - tra i tanti - resti quello di quel 1957. Quando due amici lo salvarono dalla caduta in un profondo crepaccio della cima Sassetelli, al Terminillo, dove rischiava di sfracellarsi durante una scalata. Ma si sa che Franco Marini ama mostrarsi schivo e depistare amici e avversari. Prendete gli incarichi cui è stato chiamato.A lungo e quotidianamente sostenne che non puntava affatto ad essere il numero uno della Cisl, salvo poi farlo per ben 6 anni, dall’ 85 al ’91. Prendetelo nella sua veste dc: forzanovista di lungo corso, e in quanto tale maitenero con gli andreottiani, ricevette dal divo Giulio nonsolo il ministero del Lavoro nel ’91, ma addirittura la cospicua eredità dei suoi voti finendo per scontrarsi con lo ”squalo” Sbardella, a Roma, e sbaragliandolo. Ancora ”no” disse e ridisse sulla separazione tra Ppi e Cdu di Buttiglione nel ’95, ma poi se ne fece una ragione. Così come a lungo scuoteva la testa a chi gli chiedeva se non fosse il caso che prendesse il posto di Gerry Bianco alla guida del Gonfalone, salvo poi farlo, facendo credere di esserci trascinato per i capelli. Carlo Donat Cattin, padre putativo del nostro, diceva di lui: «uccide col silenziatore». Altri lo hanno definito «lumaca killer». Anche se forse il soprannomepiù gradito, arrivato a Roma dopo la scuola sindacale di Fiesole - dove aveva per compagni di banco Carniti, Crea, Colombo - era quello di ”scintillone”, per via delle scelte colorite nel vestiario, specie nelle cravatte sgargianti. Abruzzese di S. Pio alle Camere (Aquila) terra di zafferano, trapiantato a Rieti al seguito del padre, operaio Snia, Marini ha compiuto da meno di un mese 73 anni. Sposato con un medico, un figlio, ha lasciato da qualche tempo il toscano per la pipa, gli resta la passione per la montagna (è stato alpino), per i vini delle sue terre (Trebbiano e Cerasuolo) e per le mediazioni; senza rinunciare però alla testardaggine tipica dell’abruzzese che gli ha permesso spesso di fare incassare al Ppi prima, alla Margherita poi, più posti in lista di quanti in effetti spettassero loro. Nella trattativa, si dice, è un asso. Forse perché ti sfinisce seguendo il modello forlaniano (parlare per ore senza arrivare mai al nocciolo); forse perché col suo aspetto da bravo ragazzo il suo interlocutore si convince che reclama il giusto e non l’esagerato. Ne sa qualcosa anche Fausto Bertinotti che con lui dovette discutere negli anni ’70 del riassetto dei mitici Consigli di Fabbrica (CdF) per sostituirli con le Rsu. Andò a finire che Marini fece passare un’ipotesi in cui i sindacati più piccoli erano premiati più della Cgil, tant’è che dalla centrale social-comunista piovveroscomuniche e improperi sul povero Fausto. E mica è stata l’unica volta che il lupo marsicano ha morso a fondo i garretti del gigante rosso di Lama,Trentin e Pizzinato. La Cgil rompeva le trattative? E Marini ordinava ai suoi ormai de-carnizzati: andate avanti. Berlinguer tuonava contro la scala mobile? E lui faceva l’accordo con Craxi. Il ”salario variabile indipendente” gli era parsa una enorme sciocchezza. Da numero uno della Cisl, cominciò a gridarlo forte, al fianco del professor Tarantelli di cui oggi anche la sinistra ha fatto un martire. Poche volte l’han visto arrabbiarsi pubblicamente. Una di quelle fu al congresso dc dell’84, quando osò sfidare CiriacoDeMita e i suoi ”ragionamendi”. Fu allora che re Ciriaco lo bollò senza appello presagendogli un buio futuro: «Se continui così, caro Marini, non interesserai più neanche ai democristiani ». S’è visto com’è andata. Nell’Ulivo oggi ci sta e manco male. Grazie a lui l’esiguo partitino divenuto scialuppa in tempesta dopo il divorzio da Buttiglione è sopravvissuto e s’è irrobustito anche a costo dei sospetti che Prodi da un lato (per il suo ”no” all’Ulivo) e D’Alema dall’altro (per il suo insistente ripetere di non volersi piegare ad una logica tutta di sinistra) gli hanno a più riprese riservato. A lungo tra i prodiani l’han guardato con fastidio, inserendolo tra gli autori della ”congiura” che detronizzò il Professore nel ’98. Ma lui fa spallucce e ricorda semmai con gusto la canzone che gli dedicarono, presente Prodi, gli amici del Ppi a Natale del ’97 e che, sull’aria di ”Marina, Marina, Marina” (canzone anni ’60 di Rocco Granata) faceva così: «Marini, Marini, Marini/stasera brindiamo con te./Attento a D’Alema e a Fini/ che stringono al centro su te./ Oh bell’abruzzese/non farti mai schiacciare/tieni duro e non mollare/sennò povero te!/Guarda sempre avanti/ e non voltarti indietro/in agguato c’è Di Pietro/ch’è duro come te!». Pare di poter dire che le strofe gli abbiano portato fortuna, sia pure dopo anni. E nonè detto che questa sia l’ultima tappa. Già nel ’99 si parlò del Quirinale. Lui scosse il capo. Ma si è visto come va a finire coi suoi no. Alessandro M. Caprettini