La Repubblica 30/04/2006, pag.36 Concita De Gregorio, 30 aprile 2006
Cercando la vita sull´ultimo ponte. La Repubblica 30 aprile 2006. Peccato, davvero. Peccato per quelli che nei cimiteri non ci vanno mai perché sono posti lugubri, dicono, e che non sono capaci di fermarsi davanti a una tomba a immaginarsi per un´ora la vita intera di quella persona che ride dalla foto ovale, che non sanno camminare nei viali con le siepe di bosso ricordandosi una poesia imparata a scuola, fermarsi davanti a una lapide che porta solo un nome inciso e pensare chissà come mai, chissà chi l´ha voluta così, se è stata la moglie, i figli, se è stato un amico, chissà da quanto tempo non ci viene nessuno, chissà cosa pensava chi ha portato questi fiori e cosa spera, cosa ricorda e cosa non vuole ricordare più
Cercando la vita sull´ultimo ponte. La Repubblica 30 aprile 2006. Peccato, davvero. Peccato per quelli che nei cimiteri non ci vanno mai perché sono posti lugubri, dicono, e che non sono capaci di fermarsi davanti a una tomba a immaginarsi per un´ora la vita intera di quella persona che ride dalla foto ovale, che non sanno camminare nei viali con le siepe di bosso ricordandosi una poesia imparata a scuola, fermarsi davanti a una lapide che porta solo un nome inciso e pensare chissà come mai, chissà chi l´ha voluta così, se è stata la moglie, i figli, se è stato un amico, chissà da quanto tempo non ci viene nessuno, chissà cosa pensava chi ha portato questi fiori e cosa spera, cosa ricorda e cosa non vuole ricordare più. Quelli che non sanno camminare sopra milioni di passi altrui, perdersi in un labirinto di pensieri e poi sedersi su una panchina a leggere un libro o anche niente, stare fermi lì in compagnia di gente che ha attraversato i secoli e c´è ancora, c´era prima e ci sarà dopo di te. Peccato perché i cimiteri custodiscono lo spirito dei tempi e dei luoghi, lo raccontano molto ma molto di più di qualunque museo, di qualunque strada luccicante. Non c´è vivo più longevo di un morto, ciascuno lo sa, né più presente. Non c´è luogo a Roma più soave del cimitero degli Inglesi, non c´è posto a Praga più emozionante del cimitero ebraico, non si può nemmeno dire la bellezza del cimitero dei cinesi all´Havana, la meraviglia senza nome del cimitero della Chacarita di Buenos Aires dove Gardel ha sempre una sigaretta accesa, una sigaretta vera che qualcuno di continuo gli accende tra le labbra di marmo. E i lindi cimiteri portoghesi con le casette coi tetti e le maioliche blu, e quelli ordinati di Francia, e quelli d´erba dei paesi scandinavi, quelli gerarchici dei paesi dove laggiù c´è il signore, qui sotto il fattore, lì la famiglia numerosa con le figlie belle, una s´è sposata al barone e difatti manca, bisogna cercarla in cappella. Storie che parlano. Nel nuovo film di Pedro Almodovar, nella Spagna che coi morti - appunto - ci parla, la prima scena è così: donne spettinate dal vento forte di pianura, decine di donne coi fazzoletti in testa che lustrano le tombe dei loro morti col secchio di acqua e sapone come se fosse il tinello di casa. Che si raccontano le cose del giorno gridando da una tomba all´altra, chiamandosi per nome. Che tengono in ordine la propria, quella dove andranno un giorno e ci portano una sedia per sedercisi sopra, certi pomeriggi, e si riposano un momento prima di andare a fare la spesa e riprendere il filo dei giorni. Due giornalisti umbri, Giuseppe Cardoni e Luca Cardinalini, il primo fotografo l´altro giornalista del Tg2, hanno pubblicato un libro strepitoso: le foto delle tombe degli uomini e delle donne che hanno fatto e disfatto il secondo dopoguerra, in Italia. Hanno avuto non poche difficoltà a trovare un editore, i grandi lo hanno rifiutato: porta jella, non vende - gli hanno detto. Il mistero della selezione del personale ai vertici delle aziende culturali resta insondabile. Lo ha stampato DeriveApprodi, alla fine. Una piccola casa editrice. S´intitola STTL, l´acronimo latino di «Ti sia lieve la terra». un viaggio che nessun altro ha mai fatto prima e che nessuno avrebbe il tempo e il denaro per fare: un´escursione nell´istante finale della vita delle persone - quello che come spesso capita le spiega e le riassume - persone qui ritratte nella posa e nel modo, nel luogo, nella forma che spesso loro stessi hanno desiderato per riposare in eterno. La tomba, a saperla guardare, dice tutto di un uomo e di chi ha vissuto con lui. La galleria di queste immagini dice tutto della storia del Paese. Ci sono i delitti (Moro, Mara Cagol, Don Puglisi, Falcone, Borsellino) e i suicidi: Alex Langer, Luigi Tenco, Primo Levi, Raul Gardini che si sparò mentre cento metri più in là si celebravano i funerali di Gabriele Cagliari, lui pure suicida. Già solo i motivi di questi suicidi sono un´antologia del pensiero e dei malanni del secolo. Una storia di battaglie e di misteri (Feltrinelli e Pasolini, Sindona), di criminali (Pacciani, Liboni, Galesi), di poeti e di eroi. Italo Calvino riposa in mezzo agli allori e alle ginestre che crescono selvaggi. Giovanni Spadolini ha fatto incidere sulla sua tomba la sua firma autografa e l´epigrafe: «Un italiano». Su quella di Enrico Berlinguer c´è solo il cognome perché Berlinguer è uno: è Berlinguer. Anche di Mastroianni c´è solo il cognome, con la i lunga però: Mastrojanni. Solo il cognome come nelle conversazioni da bar anche per Sindona, che non si sa se fu davvero un caffè, forse era una capsula di cianuro, magari fu suicidio anche quello: un mausoleo con l´altorilievo dei quattro evangelisti, un manufatto altisonante e incongruo, un monumento al dubbio. La tomba di Almirante l´ha donata il Comune di Roma, si apprende. Almirante che alla camera ardente di Berlinguer, accolto dalla Iotti e da Pajetta, deve rientrare due volte per esigenze di riprese tv: la prima volta, quella vera, non avevano filmato il fatto storico. Le polemiche per la mancata diretta ai funerali di Togliatti: era il 1964 la storia gira in tondo, e la smorfia sul viso della moglie - Rita Montagnana - quando Breznev porge le condoglianze a Nilde Iotti. Giulia Occhini, la dama bianca di Coppi, in ultima fila in chiesa coperta da un velo nero. La famiglia di lui, la moglie e il prete non volevano nemmeno farla entrare. E la tomba di Coppi a Castellania, vicino ad Alessandria, il suo busto di bronzo coi capelli spettinati dal vento, ci vanno ancora oggi a decine in pellegrinaggio, ci partono e ci arrivano le gare di ciclismo. Coppi che è sepolto accanto al fratello minore Serse, morto nove anni prima di lui durante una gara ciclistica. Nella pagina dopo Bartali. Un nome piccolo piccolo in mezzo a una lapide bianca infinita, qui siamo vicino a Firenze, Ponte a Ema. Bartali che è sepolto anche lui accanto al fratello minore Giulio, e anche Giulio era morto prima di lui durante una corsa in bicicletta. Le vite si specchiano, si legano con fili invisibili. Racconta Cardinalini che Gino Bartali dopo ogni gara andava al cimitero a raccontare al fratello com´era andata, qualunque ora fosse anche di notte, anche scavalcando il cancello. Anche Enzo Ferrari, che riposa in un immenso mausoleo neoclassico accanto al figlio Dino, passava ogni mattina a salutarlo: morto a ventiquattro anni, distrofia muscolare. I figli morti prima. Eduardo De Filippo è in quella tomba coi rami spinati insieme ad Isabella, ingoiata a 12 anni nel 1960 in un incidente sulle piste da sci. Fellini con Pierfederico, dieci giorni. Totò è col neonato Massimiliano sotto un altare coperto di foto e di fiori. Massimiliano avuto dalla moglie Franca Faldini e vissuto poche ore, ma nella tomba Totò volle anche Liliana Castagnola, la cantante che saputo di una sua altra relazione aveva ingoiato trenta pasticche di sonnifero, morta d´amore per lui. Le amanti. Quelle che alle esequie restano in ultima fila e in perpetuo tornano a portare i fiori, quelle mescolate alle mogli nell´abbecedario degli affetti di marmo e quelle che non hanno nessun posto mai. Le paure. «Mi applaudiranno perché sanno che sto morendo o perché sono bravo?», chiedeva Mastroianni da ultimo a Enzo Biagi. Una tomba piatta nella terra riarsa. Troisi, che ride dalla foto dove ha scritto di suo pugno «ciao» e che del suo cuore malato non voleva parlare. «Quando c´è l´amore c´è tutto», dice un´attrice in un suo film, e lui: «No, chilla è la salute». Gassman, sepolto con una cravatta con le balene che spruzzano acqua: «Muoiono solo gli stronzi. Certo un momento di stronzaggine prima o poi capita a tutti. A me sarebbero bastate due vite: una per capire, una per agire». Sciascia, una bara bianca in mezzo all´erba alta, che aveva il terrore di essere sepolto vivo: «Prolungate il più possibile la veglia funebre. Accertatevi che sia morto davvero». Pasolini che la morte invece la cercava, «io vado ogni giorno all´inferno», diceva il pomeriggio prima di essere ammazzato, «ci vado e vi dico che siamo tutti in pericolo». Feltrinelli che sul traliccio aveva in tasca documenti falsi e la foto vera del figlio Carlo bambino. Fellini, che forse l´ha ammazzato un morso a una mozzarella, sepolto in una tomba orrenda voluta da Giulietta e salutato da Benigni col più bello dei congedi: « come se fosse morto l´olio. Come se fossero entrati in coma i cocomeri». Falcone e Borsellino, due siciliani, due foto dentro cornici d´argento come quelle che si regalano ai matrimoni e alle prime comunioni. Cornici appoggiate sul marmo come fosse un mobile del salotto. Più piccola quella di Borsellino, più grande il nome scritto come l´intestazione di un fascicolo, come l´avesse scritto lui con la Olivetti. «Chi non ha paura muore una sola volta nella vita», diceva. L´anarchico Pinelli, sepolto a Carrara, ha incisa sulla tomba la sua preferita delle poesie dell´Antologia di Spoon River, il libro che aveva regalato al commissario Calabresi ricevendone in cambio una copia di Mille milioni di uomini. Nella pagina successiva Calabresi in una foto dove ride felice. Ride Gaetano Scirea, morto bruciato su una strada polacca: ride bello e un po´ timido come un attore d´altri tempi al primo provino, non riusciva a dire di no. Ride Mara Cagol, accucciata in posa da ragazza. «Chi dona la sua vita la salva», c´è scritto sulla lapide. Su quella di Mario Galesi, brigatista, qualcuno ha fatto incidere versi di Bertolt Brecht: «I fortissimi lottano per tutta la vita, costoro sono indispensabili». Ai suoi funerali non c´era nessuno, adesso però ha sulla tomba una stele di marmo con un cuneo rosso, una stele nuova. Per Alex Langer un cristo in croce come in certe cappelle di montagna. Per Augusto Daolio, uno dei Nomadi, gli orsacchiotti di pelouche e i biglietti che ogni giorno gli lasciano vicino a quel pino. Walter Chiari aveva chiesto che sulla tomba ci fosse scritto: «Non preoccupatevi, è solo sonno arretrato». Sulla parete del piccolo famedio di milanesi illustri la frase non c´è. Solo barre strette, una in colonna all´altra: Paolo Grassi, Franco Parenti, Luigi Berlusconi, Walter Annichiarico. A Tiberio Mitri, vecchio pugile ormai solo - il figlio maschio morto per eroina, la figlia femmina di aids, le donne e gli amici spariti - hanno costruito una tomba come un ring di bambino, le corde attorno al piccolo quadrato. A Don Pino Puglisi, che sorrise al suo assassino, hanno scritto: «Nessuno ha un amore più grande di questo. Dare la vita per i propri amici». La beatificazione per martirio è in corso. Di Alighiero Noschese si ricorda l´oscura storia delle intercettazioni dei servizi segreti sulle indagini per le stragi, anni di servizi deviati e di P2, in cui ricorreva una voce che imitava benissimo Andreotti e Leone. Di Domenico Modugno le tartarughine che avrebbe dovuto rimettere in mare quel giorno. Di Pasolini l´etichetta della lavanderia col suo nome sulla camicia insanguinata. Di Rino Gaetano, uno schianto sulla Nomentana, quel nome d´arte degli inizi, Kammamuri, che con l´accento sulla i sembra un presagio. Di Giorgio Gaber la frase più limpida del libro: «Io non temo Berlusconi in sé: temo Berlusconi in me». Pietro Pacciani ha una croce di legno come nei disegni infantili. Enzo Baldoni nessuna: non c´è il corpo, non c´è tomba. Di Carlo Giuliani ucciso a Genova restano le ceneri in un´urna e sempre fiori sotto, e biglietti, e poesie. Tiziano Terzani è in un bosco. Lo hanno soffiato via, disperso sui monti e sui fiumi dell´Orsigna. tutto bianco, intorno. Come voleva lui. Com´era lui. Il posto dove resti è alla fine il posto che ti dai, è quel che sei. Concita De Gregorio