La Repubblica 30/04/2006, pag.35 Stefano Bartezzaghi, 30 aprile 2006
Quella vertigine fra sorte e calcolo. La Repubblica 30 aprile 2006. Nel Totocalcio si incontrano e si combinano i principali impulsi al gioco censiti - proprio negli anni in cui in Italia nasceva la schedina - dallo studioso Roger Caillois
Quella vertigine fra sorte e calcolo. La Repubblica 30 aprile 2006. Nel Totocalcio si incontrano e si combinano i principali impulsi al gioco censiti - proprio negli anni in cui in Italia nasceva la schedina - dallo studioso Roger Caillois. Gli impulsi sono: il caso, l´agonismo, la maschera e la vertigine. Per trovare nel Totocalcio la maschera (simulazione e travestitismo) bisognerebbe arzigogolare. La vertigine è invece certamente costituita dalla posta in gioco, che fin dal suo alpinistico nome di "montepremi" dà il senso dell´altezza, appunto, vertiginosa. Il tredici più fortunato risulta sempre foriero di una cifra che è di un ordine di grandezza superiore alla normalità piccolo-borghese. Centomila, poi un milione, poi cento milioni, poi un miliardo, dieci miliardi, trentaquattro miliardi... Un´escalation di "somme da far girare la testa", come si dice. Si gioca, o si giocava, per quello? Sì: e no. Il Totocalcio era una passione popolare, andava ben oltre la cerchia degli ambiziosi, a cui oltretutto richiedeva un grado di pazienza e di accettazione della sorte poco compatibile con la loro pulsione. Si può dunque pensare che alla causa materiale della vincita si associassero gli altri due impulsi, l´agonismo e la sfida alla sorte. Sono complementari e, in linea di principio, incompatibili. I giochi agonistici abrogano il caso con la tecnica individuale; i giochi di alea sono colpi di dadi. Il ritratto del perfetto giocatore di Totocalcio si trova così a essere pazzamente eterogeneo. Un primo profilo è quello del giocatore sistematico, e agonistico. Soffre di un eccesso di fiducia matematica: convinto che i numeri abbiano una logica totalizzante pensa che la schedina, con la sua rassicurante precisione ortogonale, riduca a ragione la proverbiale rotondità della palla. Per ottenere quella che ritiene la corretta sequenza di 1, X, 2, cerca con seriazioni statistiche scrupolosissime (gol fatti, gol subiti, partite vinte in casa o in trasferta, frequenza dei pareggi sul campo di Marassi) di cogliere la quintessenza della giornata di campionato. Risolve d´istinto il dilemma del giocatore analitico: a puntare ai risultati più probabili si rischia sì di vincere, ma in compagnia di troppi altri concorrenti, e quindi di vincere poco. Il calcolo deve prevedere anche qualche clamorosa improbabilità, e così nel nugolo di doppie e triple, opaco e laborioso come uno sciame d´api, si calerà un due fisso, a produrre una beata solitudine attorno all´eventuale tredici. Ma il ritratto non sarebbe completo senza il secondo profilo, che è quello del giocatore descritto da Totò nella sua poesia ’A speranza. «Ogne semmana faccio ’na schedina: / mm´ ’a levo ’a vocca chella ciento lire...». Motore e carburante del mondo, per costui, è la sorte. La sorte ha deciso la posizione sociale in cui gli è toccato venire al mondo, e solo la sorte può fargliela cambiare. Non gioca per vincere («Si avesse già pigliato ’e meliune / a st´ora ’e mo starrie già disperato») ma per sognare («Cuccato quanno è ’a notte, dinto ’o lietto, / faccio castielle ’e n´aria a centenare»). Anche questo giocatore ha un "sistema": non è un´elucubrata razionalizzazione del pronostico, ma una filosofia. Fra la puntata e i risultati della domenica si apre una settimana di fiduciosa speranza: coltivarla costa pochissimo, e produce benefici che non è possibile disprezzare: «’A quanno aggio truvato stu sistema / Io songo milionario tutto ll´anno». Chi dei due ha ragione, o ha meno torto? Se il Totocalcio è stato una durevole mythologie italiana forse è per la sua ironica dimostrazione delle possibili irrazionalità della ragione, e delle possibili ragionevolezze dell´irrazionalità. Stefano Bartezzaghi