Corriere della Sera 03/05/2006, pag.9 Paola Di Caro, 3 maggio 2006
Camera: Tremonti vicepresidente, Vito guiderà gli azzurri. Corriere della Sera 3 maggio 2006. Roma
Camera: Tremonti vicepresidente, Vito guiderà gli azzurri. Corriere della Sera 3 maggio 2006. Roma. E’ finita come finisce quando arbitro è Silvio Berlusconi, con una soluzione salomonica che mette d’accordo tutti o quasi, che non esclude nessuno. Che dura, almeno fino alla prossima crisi. E’ finita con Giulio Tremonti che, dopo aver minacciato di lasciare Forza Italia per non essere stato scelto come capogruppo alla Camera («Silvio me lo aveva promesso», si era lamentato nei giorni scorsi con gli amici), decide di restare dov’è e di accettare l’offerta di vice presidente di Montecitorio. Ed è finita con Elio Vito, presidente dei deputati uscenti, riconfermato al suo posto. E vincitore, dunque. «Ma no, non c’è mai stata battaglia, è un caso tutto montato. Tra me e Giulio ci sono ottimi rapporti, ci mancherebbe», si schermisce Vito, il vincitore a sorpresa solo per chi non conosce l’animo più profondo del Cavaliere. Perché, spiegano quelli che conoscono bene entrambi, il Capo e il Funzionario della politica come lui stesso si definisce, è del tutto normale che l’ex premier di fronte alla scelta tra il fedelissimo, umile, «accanito» e molto preparato uomo d’Aula e il brillante, umorale, autonomo e potente ministro scelga per fare il capogruppo proprio il primo. Ex radicale, gran conoscitore di tecniche parlamentari e di cavilli, «cagnaccio» che preferisce le tecnicalità dei commi alla vetrina dei grandi discorsi e della tivù (lo chiamano «la murena», ma anche «Elio Vitreo» e non è un caso), Vito non è esattamente uno dalla carriera sfolgorante né dalle suadenti capacità seduttive. Entrato giovane in politica nella natìa Napoli, a 30 veniva eletto alla Camera nelle liste radicali con 576 preferenze, mica 100 mila come il suo noto zio, quell’Alfredo Vito ribattezzato Mister 100 mila preferenze. Poi, folgorato da Forza Italia, eccolo a costruire lentamente la sua scalata, eccolo vice di Pisanu alla testa del gruppo, eccolo infine nella scorsa legislatura a capo della più numerosa componente di Montecitorio, a far da «buttadentro», non sempre con grande fortuna, dei suoi spesso indisciplinati deputati. Divorziato, un figlio, una nuova compagna, una vita tranquilla e molto riservata, una sola passione travolgente - la Juventus - Vito con la sua parsimonia di dichiarazioni (interrotta solo per breve e sfolgorante periodo, quando nel 2001 sfidò Rutelli nel collegio Prenestino e perse seccamente), la sua ortodossia nei confronti del verbo berlusconiano ma la sua aria tanto normale non avrebbe granché per affascinare il Cavaliere. Ma basta sentire come lo descrivono anche quelli che non lo adorano per capire perché Berlusconi lo giudica intoccabile: «Leale», «umile», «preparato», capace di «non prendersela se gli altri hanno più visibilità di lui» e soprattutto «obbediente», mai prodigo di «valutazioni politiche» e tantomeno di rilievi nei confronti dell’azione del capo, Vito è l’uomo che non creerà mai un problema al Leader. E Berlusconi lo sa. D’altra parte, sarà pure per furbizia, ma Vito è uno che nel giorno della vittoria ti dice che «se mi avessero chiesto di fare un passo indietro, per Giulio o per altri che pure lo meriterebbero, lo avrei fatto senza storie, considerandolo solo la conclusione di una meravigliosa esperienza». Uno magari non ci crede, ma poi non si stupisce se perfino i suoi avversari, quelli che «tra Giulio e Elio non c’è partita, vuoi mettere lo spessore», poi ammettono che «certo, se si fosse andati alla conta, è chiaro che tra i due avrebbe stravinto Vito». Paola Di Caro