Corriere della Sera 30/04/2006, pag.27 Sergio Romano, 30 aprile 2006
Monarchia o Repubblica: la calda estate del ’46. Corriere della Sera 30 aprile 2006. In un articolo del 14 aprile Piero Ostellino ricorda il contestato referendum Monarchia-Repubblica e riporta in sintesi che la Repubblica è il risultato di un broglio, ottenuto scavalcando la Corte di Cassazione per evitare una guerra civile
Monarchia o Repubblica: la calda estate del ’46. Corriere della Sera 30 aprile 2006. In un articolo del 14 aprile Piero Ostellino ricorda il contestato referendum Monarchia-Repubblica e riporta in sintesi che la Repubblica è il risultato di un broglio, ottenuto scavalcando la Corte di Cassazione per evitare una guerra civile. Guerra che (anche se non lo dice è implicito) sarebbe stata scatenata dai repubblicani per imporre la Repubblica in ogni caso, anche contro le risultanze del suffragio popolare. Il tutto viene definito un atto di realismo per evitare il peggio. Mi sono allora chiesto: ma se la festa del 2 giugno ricorda un broglio e la retorica che la celebra è di conseguenza ipocrita, se il realismo giustifica la violazione sostanziale dei valori democratici e se i «Padri fondatori» della Repubblica italiana si sono comportati da golpisti alla prima occasione, con quali tare e peccati originari è cresciuta la Repubblica? Giovanni Coduri - Verbania Caro Coduri, la sua lettera mi ha invitato a riprendere in mano una delle migliori inchieste giornalistiche sul referendum del 2 giugno. Fu scritta da Luigi Barzini, si compone di otto articoli e apparve nel Corriere della Sera fra il 1? e il 9 gennaio del 1960. Se vorrà leggerla la troverà ora in un breve libro («La verità sul referendum») pubblicato dall’editore Le Lettere di Firenze con una prefazione di Francesco Perfetti nella Piccola Biblioteca di Nuova Storia contemporanea. Barzini fu uno dei migliori «figli d’arte» del giornalismo italiano. Il padre (Luigi Barzini sr.) aveva scritto memorabili corrispondenze per il Corriere all’epoca della guerra russo- giapponese, da Tripoli all’epoca della Guerra italo-turca e dal fronte italiano durante la Grande guerra. Il figlio si laureò in giornalismo alla Columbia University, fece uno straordinario debutto professionale in Etiopia (entrò tra i primi ad Addis Abeba con la colonna Badoglio) e in Cina, nel 1937, dove vide morire accanto a sé Sandro Sandri, inviato de La Stampa, ed ebbe una medaglia americana per l’audacia con cui contribuì a salvare l’equipaggio di una cannoniera degli Stati Uniti, colata a picco da un bombardamento giapponese. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale Barzini fu tentato dalla politica, si dichiarò monarchico e venne eletto alla Camera per il partito liberale, ma rimase fondamentalmente un giornalista. L’inchiesta del 1960 gli fu suggerita dall’apparizione delle memorie di Giuseppe Romita, l’uomo politico socialista che era stato ministro degli Interni all’epoca del referendum e che molti accusavano di avere «manipolato» il suo risultato. Quando si mise al lavoro e cominciò a interrogare i testimoni di quegli avvenimenti, Barzini si proponeva di verificare le due accuse con cui monarchici e repubblicani si erano frequentemente attaccati negli anni precedenti. Vi erano stati brogli così consistenti da modificare il rapporto di forze tra i due campi? vero che i monarchici avevano predisposto un putsch e che Falcone Lucifero, ministro della Real Casa, aveva minacciato di arresto Alcide De Gasperi durante un turbolento incontro al Quirinale? Barzini arrivò rapidamente alla conclusione che vi erano state molte irregolarità (non tutte dello stesso colore), ma non esitò a sostenere che Romita, pur essendo entusiasticamente repubblicano, si era comportato con impeccabile imparzialità. Forse un nuovo conteggio avrebbe modificato i risultati, ma non al punto di assicurare alla monarchia il vantaggio consistente di cui aveva bisogno per sopravvivere. Come Umberto II, Luigi Barzini sapeva che una maggioranza risicata a favore dei Savoia avrebbe provocato, in quelle circostanze, una guerra civile. Non vi fu un complotto monarchico, sostenne Barzini nella sua inchiesta, perché Umberto non volle che il suo nome e quello della dinastia venissero macchiati da una sanguinosa prova di forza. Ma vi fu certamente, tra De Gasperi e il ministro della Real Casa, un furioso scambio di battute. Accadde quando il presidente del Consiglio salì al Quirinale, il 10 giugno 1946, per chiedere che il re, con un atto pubblico, trasferisse i suoi poteri al capo dell’esecutivo. Falcone Lucifero replicò che la richiesta era assurda e aggiunse, battendo gli occhiali sul petto di De Gasperi, che le pressioni del governo sulla Cassazione erano «indegne». Fu questo il momento in cui il presidente del Consiglio perse la pazienza e disse: «E sta bene: domattina o lei verrà a trovare me a Regina Coeli o verrò io a trovare lei». A questa battuta Falcone Lucifero replicò: «Sarà più probabile che lei venga a trovare me che io lei». Per fortuna del Paese nessuno dei due finì in prigione. Sergio Romano