La Stampa 29/04/2006, pag.25 Alberto Papuzzi, 29 aprile 2006
Scacchi la mossa della Mole. La Stampa 29 aprile 2006. Torino. Logico. Bizzarro. Seducente. Maniacale
Scacchi la mossa della Mole. La Stampa 29 aprile 2006. Torino. Logico. Bizzarro. Seducente. Maniacale. Dominio della razionalità. No, terreno della follia. «Un’arte» per Gary Kasparov. «Una scienza» per Anatoly Karpov. «Una lotta» per Emanuel Lasker. «Uno sport» per Marcel Duchamp. Metafora della guerra (perché fondato su strategia e tattica). Metafora della politica (in quanto costituito di promesse e minacce). «Misura dell’intelligenza» secondo J. W. Goethe. «Spreco di cervelli» secondo Walter Scott. «Una cura per il mal di testa» (Keynes). «Un espediente per mostrarsi perspicaci» (Shaw). Ecco il mondo degli scacchi che sbarca a Torino per le Olimpiadi: affascinante, complicato, fantasioso e misterioso. Un campo di 64 caselle, bianche e nere, per una contesa fra 32 pezzi, bianchi e neri, con gerarchie all’insegna della contraddizione perché il Re è il pezzo più debole, la Regina è quello più potente. In apparenza, cosa c’è di più innocuo di due giocatori davanti a una scacchiera? In realtà, un microcosmo violento, cannibalesco, che è sempre rispecchiamento di qualcos’altro. Come ha detto Bobby Fischer, forse - in potenza - il giocatore più forte di sempre, «il gioco degli scacchi non è che la vita». sicuramente il gioco che ha alle spalle, a partire dalle origini indiane, la storia più lunga. anche il gioco più ricco di contributi teorici, in milioni di volumi. Lo si gioca praticamente in tutto il mondo: si calcolano in almeno 20 milioni i giocatori tesserati nella Fide (la federazione internazionale). Soltanto in Russia sono 5 milioni. I tesserati italiani sono ventimila, ma coloro che più o meno conoscono il gioco e fanno qualche partitella al caffè sono 5 milioni secondo un’inchiesta Doxa. Come nel calcio, chi gioca indossa sempre la maglia di un campione, cioè si modella sui suoi idoli, di cui studia le partite e riproduce lo stile. Perché questo universo è popolato dei suoi Di Stefano e dei suoi Maradona, di personaggi di tutti i tipi, che ne riflettono le mille facce. Un elemento chiave della popolarità degli scacchi è la sfida diretta, lo scontro, il duello, faccia a faccia, fra due campioni, che diventano simboli di opposte culture, di valori ideologici, di modi di sentire, di orizzonti politici. La stagione d’oro della storia scacchistica, più o meno fra la Belle Epoque e l’ultima guerra, è stata dominata da due geni che rispondevano ai nomi di Raul Capablanca - raffinato cubano, beniamino del pubblico, amante della smagliante vita mondana, campione del mondo dal 1921 al 1927, che sembrava vincere senza fatica, disperdendo gli avversari con la facilità della precisione e l’ala dell’eleganza - e Aleksandr Alekhine, nobile di Russia, emigrato in Francia, passato attraverso tragedie e drammi, fra cui il nazismo, campione del mondo dal ’27 al ’35 e dal ’37 al ’46, che distruggeva gli avversari sotto la potenza di fuoco della sua fantasia combinatoria. Non è difficile vedere come siano stati simboli eloquenti, Capablanca d’una stagione di ottimismo, Alekhine di una stagione di devastazioni. L’ingegnere sovietico Mikhail Botvinnik, pioniere dell’informatica applicata alla scacchiera, campione del mondo per tredici volte in fasi diverse fra 1948 e 1963, era invece l’interprete perfetto della guerra fredda e della stagione stalinista, con uno stile freddo, basato su una ferrea preparazione scientifica. All’epoca gli scacchi erano una dimostrazione della supremazia sovietica, come il volo orbitale di Gagarin sulla Vostok nel 1961; ma ecco avanzare un americano solitario, Bobby Fischer, figlio del Bronx, che spezza l’egemonia sovietica (contro Spasskij nel 1972) grazie a uno stile inflessibile, un concentrato di volontà e energia. Kasparov ha coniato per Fischer la definizione di «assassino della scacchiera». Come non vedere che nell’americano ribelle, capace di spezzare i diktat sovietici, si proiettava l’immaginario del ’68 e degli hippies? Lui canta con i Beatles e viaggia con Easy Rider. Quindi è arrivata, anche negli scacchi, l’epoca febbrile della globalizzazione e della tecnologia: da un lato salgono ai vertici giocatori indiani o cinesi, dall’altro si combattono le grandi sfide con l’intelligenza artificiale, dominate dal confronto tra Kasparov e Deep Blue. Oggi sono passate di moda, è stato come quando, agli albori dell’auto, si facevano gareggiare macchina e cavallo. Però la fortuna degli scacchi è stata fatta anche da un nucleo nutrito di famosi, irriducibili giocatori amatoriali. Scrittori, musicisti, artisti, attori, leader politici e uomini d’affari hanno bazzicato gli scacchi regalandogli un tocco di celebrità. Gli archivi conservano le partite di sfide tra Beckett e Duchamp, tra Prokofiev e Oistrakh, tra Man Ray e Max Ernst. Elias Canetti amava inventare problemi scacchistici. Art Buchwald, editorialista americano di spirito mordace, batteva regolarmente Humphrey Bogart. «Bogey» era il più maniacale scacchista di Hollywood e si dice valutasse le persone dall’abilità a muovere i pezzi e tenere l’alcol. Discreti scacchisti sono stati Marlon Brando e - chi lo direbbe? - John Wayne. Fra gli uomini politici, un giocatore fortissimo era Churchill, di Lenin si dice che non sapesse perdere, mentre un’immagine romantica è quella di Fidel Castro e Che Guevara che giocano a scacchi sulla Sierra durante la rivoluzione a Cuba. Così come gli archivi conservano tutte le bizzarrie di un universo spesso meno razionale di quanto si creda. Per tutte vale l’incredibile performance del giocatore ungherese Janos Flesche che, nel 1960 a Budapest, giocò 52 partite in contemporanea e «alla cieca» (cioè senza guardare la scacchiera). Né va dimenticato che gli scacchi hanno una sorellina minore nel gioco della dama. Si è parlato anche di una rivalità, una conflittualità fra i due giochi. «Ma no, la differenza è la stessa che fra tennis e bocce - dice Adolivio Capece, direttore dell’Italia scacchistica -. Nell’uno e nell’altro caso c’è sempre una cosa rotonda che gira, ma siamo agli antipodi: la dama è un gioco molto più semplice degli scacchi, fra l’altro con versioni abbastanza diverse da Paese a Paese. In Italia la si gioca su 64 caselle, in Francia invece su 100 caselle. Comunque ci sono scacchisti che praticano anche la dama e damisti che affrontano i tornei di scacchi». il mondo dei russi Topalev e Kramnik che a settembre si sfidano per decidere chi sia il più forte al mondo. il mondo di Xu Yuhan, neo campionessa mondiale cinese. O dell’ucraina Elena Sedina e della russa Olga Zimina, naturalizzate italiane. O del numero uno italiano Michele Godena, 39 anni, ingaggiato da squadre francesi e svizzere. Ma il fenomeno d’attualità è l’invasione dei giovanissimi, favoriti dall’accelerazione dei tempi di preparazione grazie al computer: è normale diventare grandi maestri a 14 o 15 anni, come il norvegese Magnus Carlsen, o giocare le Olimpiadi a 11 anni, come l’italiana Marina Brunello. C’è un italo-americano, Fabiano Caruana, che a 13 anni ha smesso la scuola, per fare lo scacchista professionista, guidato dall’allenatore di Bobby Fischer. E ha optato per giocare con l’Italia: sarà il Valentino Rossi degli scacchi. Alberto Papuzzi