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 2006  maggio 01 Lunedì calendario

Volo, che scommessa. La Stampa 1 maggio 2006. Roma. Il romanzo di Marco Baldini, sì, proprio quello di Baldini e Fiorello, «Il giocatore», uscito in autunno per la Baldini-Castoldi-Dalai ma tra i due Baldini non c’è alcuna parentela, diventerà un film per la regia di Francesco Patierno e l’interpretazione di Fabio Volo

Volo, che scommessa. La Stampa 1 maggio 2006. Roma. Il romanzo di Marco Baldini, sì, proprio quello di Baldini e Fiorello, «Il giocatore», uscito in autunno per la Baldini-Castoldi-Dalai ma tra i due Baldini non c’è alcuna parentela, diventerà un film per la regia di Francesco Patierno e l’interpretazione di Fabio Volo. Le riprese potrebbero cominciare in settembre per essere in sala nel febbraio dell’anno prossimo. Al momento Baldini e Patierno stanno scrivendo in coppia la sceneggiatura, presto, però, si unirà a loro Fabio Volo, attore e anche autore di libri molto venduti, e la coppia diventerà un terzetto. Rischi di litigio? Nessuno, assicura Baldini che specifica di essere da molto tempo amico di Volo con cui va perfettamente d’accordo, e di aver le stesse idee cinematografiche di Patierno da quando quelli della Rodeo film che producono il film glie l’hanno presentato. Tutto è nato l’estate scorsa. Libero da Fiorello in giro con il suo spettacolo, Baldini ha deciso di mettere nero su bianco, nella forma più semplice e diretta, le sue disavventure di giocatore: alle corse dei cavalli e al poker. Perdente, come tutti i giocatori. Ha calcolato quanto ha perso? «Difficile. Ci sono gli usurai, gli interessi bancari, i prestiti presi qua e là. All’incirca 4 o 5 miliardi di vecchie lire». Una bella cifra. E ha anche capito cosa la spingeva a giocare? «Più che il sogno di diventare ricco, quello di non essere più povero. Ci fu un orrendo litigio in famiglia quand’ero ragazzino per colpa del denaro e da allora, credo, ho sempre sognato di averne tanto da non dover mai lottare per i soldi». E adesso che s’è liberato di questa schiavitù ha deciso di raccontarla? «Forse è stato un modo per convincermi di essere uscito da questa dipendenza. Perchè il gioco è come la droga, come l’alcol, come il fumo: comiminci e non ti fermi più». Da quando ha smesso non ha mai più giocato? «No. Ogni tanto lo faccio ancora, ma non me ne vergogno, non avverto sensi di colpa, so che è puro divertimento. PuRtroppo, invece, non riesco a smettere di fumare, anche se la voce è il mio strumento di lavoro». Comunque oggi è sereno? «Sereno? Ho ancora l’incubo che qualcuno si presenti alla mia porta, mi chieda cosa facevo un certo giorno, scopra che stavo in una sala corse e che non ho saldato il mio debito e mi sbatta in galera. Ma è una paura latente. La tengo sotto controllo». Anche se Marco Baldini, toscano di Firenze, sta facendo fare un giro per le sale corse d’Italia a Francesco Patierno, napoletano trasferitosi a Roma, per mostrargli l’ambiente, le facce, i metodi delle giocate, i meccanismi che governano questi posti dove si gioca ai cavalli senza andare all’ippodromo, non è la dannazione del gioco ad aver affascinato Patierno, fin dalla prima lettura del romanzo. Ex pubblicitario con laurea in archiettura, autore di spot, fumetti e documentari, Patierno ha esordito tre anni fa con «Pater familias», pellicola amarissima sulla periferia di Napoli, lodata dalla critica nostrana e approdata addirittura al festival di Berlino. Da allora ha lavorato, senza ancora riuscire a realizzarlo, per un film sulla coppia di terroristi neri Mambro-Fioravanti con Giorgio Pasotti e la sua compagna, Nicoletta Romanoff, la bionda scoperta da Muccino, ma ha anche tentato di girare una sua sceneggiatura, «Pericle il Nero» pensata per Pietro Taricone, ex primo «Grande Fratello» della tv. Storie molto dure entrambe, accantonate al momento per questo «Il giocatore» cui vorrebbe dare la vastità di un affresco e toni da tragicommedia per farne una via di mezzo tra «Magnolia» e «Trainspotting», una cosa in cui il vizio del gioco possa essere metafora delle facili illusioni di successo tipiche degli Anni 80. «Fosse per me - spiega Francesco Patierno - potrei chiamarlo ”La grande illusione” perchè gli Anni 80 questo hanno rappresentato per l’Italia: il mito del successo individuale e del benessere collettivo, della bellezza del corpo e del vuoto in testa, e poi discoteche, pubblicità, tv private, musica assordante, moda coloratissima, soldi facili». Nessuna parentela, quindi, con un film come «Febbre da cavallo»? «Nessuna. E nessuna neanche con i due film che Pupi Avati ha dedicato al poker con Diego Abatantuono». Non le interessa il vizio del gioco? «No. Non gioco e non ho mai giocato. Sono un osservatore esterno del fenomeno». Allora perchè ha accettato? «Nelle mie intenzioni c’è un ritratto sfaccettato dell’Italia di quel tempo con tante vicende che si intrecciano tra loro. Fabio Volo, con la sua bravura e quella faccia furbetta che rivela un cuore da bravo ragazzo, dovrebbe essere il filo conduttore». Sembra un’Italia pre-berlusconiana, la sua, quella in cui il cavaliere era solo un imprenditore televisivo e brindava con Craxi alla Milano da bere. «Non posso negarlo, ma la politica si respirerà in filigrana, starà dietro le quinte: a recitare in palcoscenico ci saranno gli italiani comuni». Simonetta Robiony