Corriere della Sera 01/05/2006, pag.27 Paolo Isotta, 1 maggio 2006
Un Trovatore Garibaldino. Corriere della Sera 1 maggio 2006. L’apertura del Festival Verdiano di Parma, gestito dal Teatro Regio, con un Trovatore (28 aprile) destinato a esser seguito da un Macbeth col sommo Leo Nucci, porta chi scrive a considerare quanto difficile sia oggi allestire un’ Opera cosiddetta di repertorio, anzi, uno dei vertici stessi del repertorio
Un Trovatore Garibaldino. Corriere della Sera 1 maggio 2006. L’apertura del Festival Verdiano di Parma, gestito dal Teatro Regio, con un Trovatore (28 aprile) destinato a esser seguito da un Macbeth col sommo Leo Nucci, porta chi scrive a considerare quanto difficile sia oggi allestire un’ Opera cosiddetta di repertorio, anzi, uno dei vertici stessi del repertorio. Si riflette del pari, ove non concorressero interessi economici, sull’ invenzione del falso anniversario mozartiano, con la concentrazione, al Festival estivo di Salisburgo, di tutta l’ opera teatrale di Theophilus, così amava chiamarsi. Non so nemmeno se ci andrò, tanto inutile è annoiare col racconto, anticipabile in due parole, di un Festival nato per dare edizioni esemplari del teatro di Mozart e che, per l’ insana inflazione celebrativa, darà vita, quasi solo, a edizioni di pronto soccorso che un tempo, perdoni l’ innocente cittadina, ci si sarebbe vergognati di vedere a Kufstein. Un tempo non v’ erano presupposti intellettualistici per giustificare scelte esecutive imposte dalla penuria d’ interpreti o dall’ ansia dei registi di giustificare la propria esistenza. Sono degni di vita solo i capaci d’ inventare, giorno per giorno, quel miracolo chiamato teatro. la cosa per loro più difficile; così, pensano ad altro. E ne nasce ogni volta un problema: come direbbero loro: il problema Trovatore, il problema Traviata, Boccanegra, Don Giovanni, Tristano... Il presente allestimento, concepito per il Covent Garden, porta la firma di uno dei migliori registi attuali, Elijah Moshinsky, e di uno dei più prestigiosi scenografi del mondo, Dante Ferretti, affermatosi nel campo del cinematografo ove, com’ è noto, e specialmente fuori d’ Italia, ai bluff viene senza tempi mediani contrapposto l’ impietoso e decisivo «vedo». Eppure... Davvero è Il trovatore trasponibile, sia chiaro, elegantissimamente, negli anni Cinquanta dell’ Ottocento? Pongo il quesito fingendo che non esista, prima ancora, il cur. Si sente nell’ Opera una cifra cavalleresca e araldica, lo disse il maestro Gavazzeni, che ne fa, al solito in Verdi, un unicum. La stessa cosa non può dirsi per un conte di Luna che mette mano a una sciabola in una pur bellissima uniforme militare disegnata da Anne Tilby. Così si perde il profumo, Giuseppina avrebbe detto il cachet, del vero protagonista del Dramma. E questo è niente. Manrico e i suoi son rappresentati siccome compagnia di ventura mista a zingaraglia: caratteristica degli Zingari (del Trovatore, si perdoni la pedanteria), sottolineata dalla musica, è sprezzatura e libertà ridondanti anch’ esse nell’ eroismo e una sorta di alchemica prassi dell’ arte del fonditore. Non è possibile trasformare il mondo di Manrico in un’ orda di camicie rosse garibaldine. Purtroppo furon costoro un’ accozzaglia di mezzi e interi pazzi, mezzi e interi criminali, temerarî, qualche idealista e un grande statista, Crispi, guidati da un pelo rosso che mai si lavò in vita sua, vanaglorioso, pluricornuto; marionette della Massoneria inglese per distruggere un Regno del quale la casta dei generali era stata comprata per intero: in caso diverso, te li vedo i Mille di fronte agli stessi Napoletani del Volturno e di Gaeta... Lo sa Moshinsky? Forse che studiare è vergogna? Ahimé, non ho finito. Se codesti Zingari trattano il metallo quasi more incantu, se sono l’ emblema stesso d’ un’ avventurosa libertà, perché vengon collocati in una di quelle terribili fabbriche della Londra dickensiana che sono, invece, l’ emblema stesso della servitù dell’ uomo all’ uomo? Sia chiaro: Ferretti disegna architetture d’ uno stile e d’ un colore impareggiabili, realizza una galleria di leggerissime, aeree travature metalliche da Esposizione Universale che da sola vale il biglietto: si tratta di arte, anzi Arte, che merita l’ ostensione in mostra. Col Trovatore c’ entra, con tutto il rispetto (per il Procuratore), come Pilato nel Credo. E visto che si cita la Santa Liturgia, ogni regista e costumista ha il diritto di credere, non credere, non quello d’ ignorare: un matrimonio è illecito «ex opere operantis» se il celebrante non indossi almeno la stola: per giunta quello moshinskiano benedice protendendo due dita, invece che la mano aperta; tre dita son privilegio episcopale. Non sono particolari di poco conto: proprio della loro somma è costruito lo spettacolo e dalla loro somma deriva la vanagloria di chi lo concepisce siccome esatta trasposizione storica della vicenda. Il maestro Renato Palumbo dirige con pulizia e raffinatezza a volte sbalorditive; gli manca l’ equilibrio dei rapporti dell’ insieme, onde immaginiamo, attesa la sua non comune musicalità, che scelte di stacchi di tempo d’ inaccettabile velocità possano nascere da suo sacrificio personale in soccorso ai cantanti. Marcelo Alvarez, Manrico, infatti da lui aiutato con la trasparenza del suono e la delicatezza del peso orchestrale, «spinge» meno del temuto in una parte che gli è prematura e, pur con enfasi stilistica, dà testimonianza d’ un canto lirico oggi con pochi confronti. Roberto Frontali, che tanto stimiamo, potrebbe osare di più: ma alla «prima» di uno dei più impervî ruoli baritonali della Storia... Marianne Cornetti è, semplicemente, l’ Azucena dei nostri anni. Fiorenza Cedolins sostituisce ex abrupto la titolare del ruolo di Leonora: le ovazioni toccatele debbono, credo, ascriversi alla generosità del suo talento improvvisatorio. Paolo Isotta