Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  maggio 02 Martedì calendario

Prima ha scritto Perché siamo antipatici in cui diceva che la sinistra è supponente e ha il complesso di superiorità

Prima ha scritto Perché siamo antipatici in cui diceva che la sinistra è supponente e ha il complesso di superiorità. Poi, Tempo scaduto in cui sosteneva che Berlusconi aveva realizzato più della metà delle cose che aveva promesso. Luca Ricolfi, insegnante di Analisi dei dati all’università di Torino, è un intellettuale di sinistra. Ma con i suoi saggi ha gettato nello sconforto l’Unione e s’è fatto lisciare il pelo dalla destra. E adesso che la sinistra ha vinto come la mettiamo? «In Perché siamo antipatici davo per scontato che la sinistra avrebbe vinto. Semmai dicevo che non se lo meritava. E che il consenso era legato alla figura del nemico Berlusconi».  la seconda volta che Prodi sconfigge Berlusconi. «Non c’è un’Italia che guarda a sinistra. C’è un’Italia in cui l’ostilità per Berlusconi è maggiore dell’ostilità per Prodi». L’errore più grave della sinistra? «Credere che l’importante fosse rimuovere l’avversario e che solo dopo si sarebbe deciso che politiche fare. Nel marzo del 2005 D’Alema diceva: ”Il giorno dopo le regionali dovremo individuare i punti di attacco necessari per il cambiamento del Paese”. Fassino, il 16 marzo 2005, riferendosi alle politiche, diceva: ”Se dovessimo vincere, la prima cosa che farà Prodi sarà di chiamare a raccolta le grandi organizzazioni sociali per decidere insieme le dieci cose più importanti da fare”. Questa è la sinistra: dateci il voto, poi vi diremo che cosa ne faremo». Avevano scritto un ponderoso programma. «Io l’ho letto. 281 pagine nelle quali erano riprodotti gli schemi mentali tipici della sinistra. Più involuti, più astratti e meno comprensibili di quelli del 1996 e del 2001. Ho confrontato i programmi: anche lessicalmente c’era una regressione linguistica. E c’erano cose false». Per esempio? «Che in questi anni è molto aumentata la precarietà e quindi, noti il passaggio hegeliano, doveva essere aumentata anche l’insicurezza nei luoghi di lavoro». Non è vero? «Gli incidenti mortali sul lavoro, durante il centro destra, sono crollati. Durante il centro sinistra erano aumentati». Lei è di sinistra, no? «Incontrovertibilmente di sinistra». Allora diciamo che è terzista. «Ogni tanto mi dànno del terzista. Se significa imparzialità di giudizio anche nei confronti del proprio schieramento, allora lo sono». Se io non sapessi che lei è di sinistra, potrei confonderla con qualche liberale. «Tipo quelli che io chiamo ”i rifugiati”? Gente di destra che sta a sinistra finché la destra non sarà di nuovo praticabile. Come Giovanni Sartori, Marco Travaglio, Valerio Zanone. La madre di tutti i rifugiati era Montanelli". Se scomparisse l’anomalia Berlusconi lei si sposterebbe a destra? «Ottima domanda. Non so che cosa succederebbe in assenza di Berlusconi. Io appartengo a quell’insieme di persone che culturalmente stanno da una parte, ma poi pragmaticamente potrebbero decidere che a volte è meglio votare lo schieramento opposto». Come si riconosce un uomo di destra da uno di sinistra? «Una persona di sinistra sostiene che il gioco del mercato è truccato, che non tutti partiamo con le stesse possibilità. Ma a questo punto la sinistra si biforca». Chi da una parte e chi dall’altra? «Lasciando fuori i massimalisti, c’è una sinistra socialdemocratica che ha un’idea di correzione a posteriori di tutte le disuguaglianze e quindi punta su una redistribuzione del reddito. quello che fa la sinistra italiana attuale». E l’altro tipo di sinistra? « quella che ha un’idea meritocratica delle pari opportunità. Cioè pensa che le disuguaglianze prodotte dal mercato bisogna correggerle prima, permettendo a tutte le persone di competere ad armi pari». Facciamo un esempio. «La scuola. Se io fossi il ministro dell’Istruzione quadruplicherei le tasse universitarie e destinerei gli introiti alla creazione di 200 mila borse di studio da destinare ai capaci e meritevoli. Borse ricchissime, mille euro al mese. Questa è una sinistra liberaldemocratica. La mia sinistra». I suoi libri avrebbero potuto fare il gioco della destra. «Dovere di uno studioso è dire quello che scopre». Lei che cosa ha scoperto? «Che la stragrande maggioranza delle mie convinzioni di sinistra erano luoghi comuni. Non è vero quasi niente di quello che pensavo fosse successo negli ultimi dieci anni». Tipo? «La sinistra crede che la nostra sia una società in cui aumenta la precarietà, cresce la disuguaglianza, la gente si sta impoverendo. Ne ero convinto. Non è vero. Io scrivo senza badare alle conseguenze. Bisogna tenere distinti i ruoli dello studioso e del politico. E poi non dobbiamo sopravvalutare la nostra influenza». Cioè lei non ha aiutato la destra... «Bobbio disse che l’intellettuale svolge una funzione più positiva quando critica la propria parte politica. Se io fossi di destra farei quello che Marcello Veneziani non sta facendo, una critica come Dio comanda alla destra. Non c’è un intellettuale di destra che la faccia. Sacconi? Brunetta? Cazzola? Hanno scritto cose sensate, ma sempre a sostegno del governo Berlusconi». Scalfari è stato durissimo con lei. «Noi siamo amici di famiglia. Mia nonna era amica di Giulio De Benedetti, il suocero di Scalfari. Io sono amico d’infanzia di Enrica e di Donata, le figlie di Scalfari. Le nostre famiglie sono legate da tre generazioni». Nonostante ciò Scalfari ha fatto una recensione sull’Espresso nella quale tentava di toglierle la pelle. «A mio parere senza aver effettivamente letto il libro». Mi sembra esagerato. «Allora senza averlo letto per intero». E lei gli ha risposto. «Lui è intervenuto ancora. Ha avuto lui l’ultima parola». Vi siete mai parlati? «Mi capita di vederlo una volta ogni sette, otto anni. Anche se la mia prima cattedra l’abbiamo festeggiata a casa sua». Con Enrica ne avete parlato? «Ha detto: ”Lo sai com’è papà, lui è un passionale”». E così è entrato nel cono d’ombra. «Non sono mai stato sotto i riflettori di Eugenio». Eppure sembra quasi la lacerazione di un’amicizia... «Può darsi che lui abbia vissuto la rottura di qualcosa. Ma non c’è mai stato un rapporto intellettuale organico fra noi. La sua reazione è di carattere affettivo. Avrà pensato: ”Luca l’ha fatta grossa. Proprio lui che è dei nostri”. Non si aspettava che io facessi una cosa così profondamente errata, controproducente, inopportuna». Altre reazioni? «Una bella crisi di rigetto da parte di alcuni colleghi all’università. Si sono chiusi in un imbarazzato silenzio. Non mi contestavano una sola analisi. Mi contestavano l’opportunità: ”Ma non potevi scriverlo in altro momento?”». Glielo chiedo anche io. «Il momento giusto non arriva mai. La sento da 40 anni questa litania del passaggio drammatico della storia nazionale». Da destra invece commenti entusiasti. «Alla destra faceva comodo una parte delle mie affermazioni. Ma facevano scomodo tutte le altre». Per Ferrara lei ormai è un idolo. «Lei sa come è andata la storia? Il Giornale aveva fatto un falso scrivendo: ”Mantenute quattro promesse su cinque”. Io invece avevo detto ”Non mantenute quattro su cinque”. Io avevo smentito. Il Foglio, in un articolo di Christian Rocca, mi accusò di vigliaccheria, sospettando che ritrattassi in stile staliniano. Sono seguite lettere e un invito a Otto e mezzo. Credo che Ferrara abbia capito che non sto facendo aggiotaggio politico, che non mi interessa aiutare loro né gli altri». Altri attacchi sui giornali? «Corrado Stajano sull’Unità. Sull’Unità ha scritto un articolo anche Cotroneo. Ma non ho capito che cosa volesse dire. Non saprei neanche dire se fosse critico o elogiativo». Parliamo di questo benedetto contratto con gli italiani. Berlusconi lo aveva onorato o no? «No. E non doveva presentarsi alle elezioni, se era un uomo d’onore. Aveva mantenuto completamente solo una promessa su cinque, quella delle pensioni. I n media le promesse di Berlusconi erano state mantenute solo al 60%». Come si spiega allora l’ostilità della sinistra? «La sinistra ha passato tutta la legislatura a raccontare balle, a dire che Berlusconi non ha fatto un tubo. Se se ne esce uno a dire che ha fatto più del 50% di quanto aveva promesso, questo sconvolge le menti. Oltretutto io sostenevo che il contratto era realizzabile davvero. La sinistra ha sempre pensato che fosse fin dall’inizio una patacca demagogica». Parliamo dell’antipatia della sinistra. «L’antipatia è un cocktail di due cose: il senso di superiorità morale e il linguaggio oscuro». Bertinotti ha un linguaggio complesso ma è simpatico. «Qualche volta fa dei ragionamenti astratti, hegelo-marxisti. Però io capisco più Bertinotti di Prodi». Parlano più chiaro quelli di destra? «Berlusconi, come anche i leghisti, è chiaro. La sua comunicazione è ancorata al senso comune e quindi etichettata ingiustamente come populista. un misto di linguaggio chiaro e di rispetto dell’elettorato altrui (ultimamente macchiato dal ”coglioni”)». Chi sono i simpatici a sinistra? «Le tre B: Bertinotti, Bindi e Bersani. Sono simpatici a prescindere da quello che dicono». Il grande antipatico? «Lei chi direbbe?». Quello che dicono tutti: D’Alema. «D’Alema è sprezzante e saccente. Ma il vero antipatico è chi parla sopra l’altro. Schifani e Angius, per esempio. Dicono cose false e non pertinenti pur di zittire l’avversario». Quindi D’Alema? «D’Alema non ha questo difetto. Lui ti lascia finire di parlare e poi t’ammazza. Però ha fatto un disastro con la Bicamerale e merita le critiche dei girotondi». Se lei dovesse fare un governo dei simpatici ? «Bindi, Bertinotti, Bersani, La Russa, Stefania Prestigiacomo, Alessandra Mussolini...». Meglio fascista che frocio? «Stiamo parlando di simpatia non di correttezza...». Manca il premier... «Luciana Litizzetto. il massimo da tutti i punti di vista». Lei ha detto: ”Ci sono persone colte, intelligenti, educate che all’argomento Berlusconi perdono il lume della ragione”. Ma non ha detto di chi è la colpa. «Dovrei dire che la colpa è di Berlusconi. Ma perdere il controllo perché riteniamo insopportabile Berlusconi, vuol dire aiutarlo. Dopo dodici anni di berlusconismo e di anti-berlusconismo siamo tutti più immaturi, infantili, incapaci di ragionare, faziosi, indisponibili ad ascoltare». Ci sono quelli che dicono: prima di tornare a discutere serenamente bisogna eliminare l’anomalia Berlusconi. «C’è una sottovalutazione della forza della ragione. La gente accetta Berlusconi o meno indipendentemente da ciò che quattro gatti possono dire sulla sinistra. Che i quattro gatti debbano tacere perché sospettati di fare il gioco del nemico è una proiezione del delirio di onnipotenza degli intellettuali». Lei conosce Berlusconi? «Il mio massimo avvicinamento a Berlusconi è il seguente: io vado sempre a fare il bagno con la mia barchetta tra Paraggi e Santa Margherita Ligure. Sotto il castello che Berlusconi ha preso in affitto per dieci anni». Gioco della torre. Cofferati o Bertinotti? «Butto Bertinotti. Mi sembra immerso nell’Ottocento». Bondi o Baget Bozzo? «In Baget Bozzo colgo a volte barlumi di intelligenza. Su 100 cose che dice Bondi non ne ho sentita una intelligente». Annunziata o Travaglio? «Li adoro entrambi. Ma l’Annunziata, tra coloro che hanno la chance di stanare i politici, è l’unica che lo fa». Pera o Ferrara? «Non capisco il percorso intellettuale di Pera». Anche Ferrara ne ha fatta di strada. «Ferrara ha cambiato idea, come Pera. I motivi di Ferrara mi sono chiari. Quelli di Pera oscuri». Fassino, D’Alema, Veltroni e Rutelli... «Aveva ragione Moretti. Con questi dirigenti non si va da nessuna parte. Questa classe dirigente deve mollare». Berlusconi o Prodi? «Prodi e Berlusconi hanno fatto, fanno e faranno gravi danni al Paese. Mi auguro che si rivoti presto e un’altra classe dirigente si presenti alla guida di questo disgraziato Paese». Claudio Sabelli Fioretti