Mattia Feltri, La Stampa 29/4/2006, 29 aprile 2006
Giulio Andreotti. LA Stampa, sabato 29 aprile 2006 All’interminabile serata della suspence, Giulio Andreotti era arrivato con alle spalle il tosto allenamento di una vita, e la fantastica rifinitura delle ultime ore
Giulio Andreotti. LA Stampa, sabato 29 aprile 2006 All’interminabile serata della suspence, Giulio Andreotti era arrivato con alle spalle il tosto allenamento di una vita, e la fantastica rifinitura delle ultime ore. L’atmosfera misteriosa dello scrutinio notturno non era poi granché, infatti, se paragonata al sapore carbonaro con cui Andreotti aveva condotto la giornata sin dall’alba. Per sviare i cronisti più mattinieri, aveva scelta di assistere alla messa delle 7,20 a Santa Maria in Aquiro, in piazza Capranica, non una delle più frequentate dal senatore a vita. Non frequentatissima in assoluto: dentro c’erano lui, l’officiante e altri due fedeli. Da lì in poi non c’è stato più nulla da fare. Ad Andreotti è parsa buona cosa respingere domande sulle sue condizioni psicofisiche, evidentemente brillanti ora che è tornato sul piedistallo, e intuire inquietanti somiglianze fra le deferenti attenzioni e l’elogio funebre: "Mi sembra che mi state facendo il coccodrillo". Infine giusto una battuta sull’avversario alla presidenza del Senato, Franco Marini, e attorno all’inutilità di rivolgergli un cavalleresco in bocca al lupo: "Ma no, ma no, che so’ ’ste americanate...". Poi la scorta l’ha condotta via. I successivi pedinamenti sono stati infruttuosi. Andreotti occupa studi - privati o delle istituzioni - un po’ ovunque, e quando si è saputo che per l’occasione si era rintanato in quello di Palazzo Giustiniani, proprio dietro il Senato, era troppo tardi. Il diabolico senatore si era asserragliato in attesa della sfida con Marini deciso a non concedere più una sillaba, tanto è vero che - demonio di un demonio - ha raggiunto l’aula senza attraversare la strada, ma usando i passaggi sotterranei. Roba da conte di Montecristo. Per il resto della giornata, Andreotti non ha fatto altro che mummificarsi al suo posto, il primo sulla sinistra, lo stesso che occupa ininterrottamente dal 1992 per una nobile convenzione dei colleghi senatori, indisposti a usarlo anche i sua assenza. Tanto è vero che quando Andreotti si è alzato, applauditissimo, per inagurare le votazioni (l’apertura gli spettava di diritto perché i senatori a vita hanno la precedenza, e lui una ulteriore per ordine alfabetico) sullo schienale è rimasta evidente la traccia della schiena curva. Non si è più schiodato da lì. Quando la seduta è stata interrotta per ragioni procedurali, lui non ha ritenuto conveniente sgranchirsi le gambe, o prendere il caffè alla buvette. E’ rimasto lì, un po’ storto, con le mani sul banco, impegnate al massimo da qualche scartoffia. Un vero Tutankhamon dello scranno. In altre sale dominate dal vociare, e ornate da un terrificante totem color porpora raffigurante una mummia egizia, e fortemente voluto da Marcello Pera, ci si augurava la vittoria di Andreotti, pronosticando la rimozione della statua per concorrenza sleale. Ecco, la capacità da fachiro di Andreotti di rimanere inchiodato a se stesso era un altro degli arcani del giorno, ben più del salvataggio in corner con i "Francesco" segnati sulla scheda al posto dei "Franco", e occasione per la freddura del caso: "Marini è stato abbattuto dai franceschi tiratori". Humour e una splendida immobilità in fondo annunciatrici di salute, visto Francesco Cossiga con il collare, Altero Matteoli col braccio bloccato e Lucio Stanca col braccio ingessato. Il candidato inatteso poteva giusto offrire la rotazione del collo di quindici-venti gradi verso sinistra, dove sedeva un gongolante Emidio Novi, senatore appagato dal privilegio di confinare e parlottare col mito. Poi c’è stata la pausa pranzo, e allora anche lui è tornato a casa. Poi di nuovo un passaggio a Palazzo Giustiniani, dove ha incontrato l’ormai ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli, che gli ufficializzava il riversamento dei quindici voti che, al primo turno, erano andati a Roberto Calderoli. Quindi di nuovo in aula, per tutto il pomeriggio, e poi per tutta la sera, fino a orari sconsigliabili a un ottantasettenne in piedi dalle sei di mattina. Lui ha ricevuto il via vai dei parlamentari, di maggioranza e opposizione, decisi a rivolgergli un saluto o l’incoraggiamento. Ha subito l’assalto dei colleghi con le ultime aggiornatissime cifre. Ha commentato con leggere smorfie i "Franco Marino" e i "Franco Mariti" infilati per sberleffo nell’urna. Ha semplicemente ceduto a un minimo di fatica, o forse era soltanto noia, quando durante il cantilenante spoglio di Oscar Luigi Scalfaro ha appoggiato la testa sulla mano. E invece quella era forse l’ultima grande gara della sua vita, e l’ha combattuta con imperscrutabile noncuranza, e il mistero definitivo è che non l’abbia ancora persa. Mattia Feltri