Fabrizio Onida, Il Sole 24-Ore 27/4/2006, pagina 1-16., 27 aprile 2006
La Wto ostaggio dei veti incrociati. Il Sole-24 Ore, giovedì 27 aprile 2006 I negoziati sul commercio mondiale sono sull’orlo del fiasco
La Wto ostaggio dei veti incrociati. Il Sole-24 Ore, giovedì 27 aprile 2006 I negoziati sul commercio mondiale sono sull’orlo del fiasco. La nuova tornata di riduzione delle barriere agli scambi internazionali, tra i motori della crescita globale, si è da tempo incagliata tra veti incrociati, interessi settoriali e sospetti reciproci. Per condurlo in porto occorre un forte rilancio politico. Come quello indicato a fine marzo dal ministro degli Esteri brasiliano, Celso Amorim, che ha invocato la discesa in campo dei leader dei principali Paesi per imprimere una svolta decisiva alle trattative. Invece, per evitare un’altra delusione annunciata, è stato cancellato il mini-vertice Wto a Ginevra previsto per il 30 aprile. Cercando così di guadagnare tempo in maggio e giugno per tentare di sbloccare il sofferto Doha development round. Il direttore della Wto, Pascal Lamy, è un energetico maratoneta, collaudato nella stressante conferenza di Hong Kong dello scorso dicembre, e ha sicuramente in mente qualche intervento efficace. Non a caso ha ricordato il famoso colpo di mano con cui nel 1991 il suo predecessore, Arthur Dunkel, riuscì a scavalcare le diplomazie economiche e a lanciare, dopo uno stallo di cinque anni, la volata per la chiusura dell’ultimo trattato multilaterale (l’accordo fu siglato quasi tre anni dopo). L’auspicata chiusura del Doha round è stata da tempo concordata per la fine di quest’anno, sotto la spada di Damocle della scadenza a luglio 2007 della delega del Congresso Usa all’amministrazione Bush per trattare le proprie concessioni sul tavolo multilaterale (fast track). L’umore prevalente dell’attuale Parlamento americano, in vista delle elezioni autunnali, non fa presagire una proroga della delega. Ma quali sono i principali nodi irrisolti e quali conseguenze si possono temere da un eventuale fallimento? Lo stallo nasce dalla difficile triangolazione di interessi fra Usa, Ue e i variegati gruppi dei Paesi emergenti. I quali ormai concepiscono la Wto come un "affare tra ricchi" e sono contrari a quelle che considerano politiche indiscriminate di liberalizzazione che porterebbero ad accentuare le disuguaglianze tra ceti sociali e tra nazioni. La matassa è molto ingarbugliata. Ci sono i Paesi del G-33 (Brasile e India in testa) che sono disposti a ridurre alcune delle proprie alte tariffe e a liberalizzare un po’ i servizi. Ma temono un collasso dei piccoli agricoltori e la colonizzazione dei servizi avanzati (telecom, energia, trasporti). In cambio chiedono che i Paesi ricchi riducano i dazi e i sussidi sui prodotti agricoli in concorrenza col Sud del mondo (cereali, carne, cotone) e concedano un maggior spazio in settori che appartengono ormai alla loro crescente vocazione manifatturiera (alimentari trasformati, tessili, siderurgici). Altri Paesi emergenti, come il G-11, premono per il maggior accesso dei prodotti tropicali, ostacolato dagli importatori perché "prodotti sensibili". Usa e Ue premono sul G-33 per liberalizzare il commercio di servizi che stanno a cuore ai propri grandi gruppi multinazionali (commercio, finanza, audiovisivi). La Ue è sotto pressione affinché proceda con più coraggio nella revisione della Pac, andando oltre la già promessa eliminazione dal 2013 dei sussidi specificamente rivolti all’esportazione agricola e negoziando una forte riduzione dei dazi all’importazione e dei sussidi alla produzione domestica. Bruxelles, che risente dei delicati equilibri fra le lobby di potere cui sono sensibili i governi nazionali (in Francia ci saranno le presidenziali nel 2007), si oppone ad altri passi sulla Pac, chiede agli Usa di abbassare i sussidi agricoli e minaccia contro Cina e altre nazioni asiatiche misure antidumping e anti-contraffazione, come dimostra la proposta avanzata ieri dalla Commissione. Per sciogliere questo groviglio è necessaria una ragionevole e lungimirante reciprocità delle concessioni multilaterali, che è la vera missione della Wto. Un fallimento del Doha round rafforzerebbe la tendenza già evidente negli ultimi anni di intrecciare accordi bilaterali tra grandi potenze e singoli Paesi o gruppi regionali, aggravando lo spettro dello "spaghetti bowl", entro cui si intersecano dazi e quote discriminatorie, esenzioni e complesse regolazioni per stabilire l’effettiva provenienza del contenuto delle merci, con esiziali effetti di distorsione nei commerci e incentivi alla corruzione delle dogane. I massimi perdenti sarebbero con ogni probabilità i Paesi emergenti più deboli, maggiormente bisognosi di allargare gli sbocchi per prodotti agricoli e manifatturieri leggeri e meno in grado di negoziare accordi bilaterali con i più forti. Oltre il 60% dei dazi oggi prelevati dai Paesi in via di sviluppo colpiscono merci vendute da altri Pvs. Sarebbe saggio per tutti provare a smitizzare il nodo dell’agricoltura. I cui prodotti occupano ormai solo il 7% (e in gran parte si tratta di scambi intra-Ue!) del commercio mondiale di merci e servizi, pari a 12.500 miliardi di dollari nel 2005. Contro il 74% dei manufatti e il 19% dei servizi. Negli ultimi trent’anni la quota dei beni primari (agricoli e non) sulle esportazioni dei Pvs è scesa dall’80% a meno del 30% (solo in Africa e Medio Oriente è ancora più del 70%). Lo sviluppo sostenibile dei Paesi emergenti non poggia certo sulle risorse minerarie ed energetiche e nemmeno tanto sull’esportazione dei frutti della propria terra, ma sull’industrializzazione e sulla valorizzazione della propria forza lavoro che la progressiva liberalizzazione multilaterale degli scambi mira proprio a favorire. Così come la difesa dell’importante ruolo "multifunzionale" del l’agricoltura nello sviluppo eco-sostenibile della vecchia Europa non ha certo bisogno di pesare per più della metà sul già debole bilancio pubblico Ue, con i famosi due euro al giorno per mucca europea, a scapito di investimenti in infrastrutture tecnologiche e capitale umano. Fabrizio Onida