Aldo Cazzullo Corriere della Sera, 27/04/2006, 27 aprile 2006
Fausto e Sergio, Corriere della Sera, 27 aprile 2006 una questione di potere, com’è ovvio. Ma è anche una questione di carattere, di formazione, di personalità
Fausto e Sergio, Corriere della Sera, 27 aprile 2006 una questione di potere, com’è ovvio. Ma è anche una questione di carattere, di formazione, di personalità. Fausto Bertinotti e Sergio Cofferati non si amano. E l’attacco – «peggio di Berlusconi» – portato ieri dal sindaco di Bologna, nell’intervista rilasciata al Corriere, è il punto più alto di una contesa durata anni per la guida della sinistra radicale; e nello stesso tempo è l’inizio di una nuova fase di belligeranza che sarà combattuta all’interno delle istituzioni. Dopo la vittoria della destra nel 2001, il segretario di Rifondazione era stato il primo leader della sinistra a diventare bersaglio di Nanni Moretti: «Non capisco perché Berlusconi ringrazi tutti gli italiani, quando potrebbe ringraziarne uno solo: Bertinotti» disse il regista dalla più autorevole delle platee a disposizione, il festival di Cannes. Cinque mesi dopo, Moretti estese l’invettiva agli altri segretari del centrosinistra. Cominciò così il «biennio rossiccio» (la definizione è dell’ex direttore dell’Unità Peppino Caldarola); e Bertinotti si vide sottrarre la guida dei movimenti, che aveva assunto nei giorni infuocati del G8 di Genova, da un’accolita che comprendeva il professor Pancho Pardi, traduttrici e sceneggiatrici amiche di Moretti, il correntone Ds, Paul Ginsborg – «Berlusconi is disgusting» ”, il clan di Benigni e quello di MicrOmega, gli editorialisti dell’Unità da Antonio Tabucchi a Fulvio Abbate – «dove sono Bin Laden e mullah Omar? Anche Fassino ha votato l’invasione dell’Afghanistan, anche Fassino deve rispondere!», con Fassino che allargava le braccia ossute come a dire: e che cosa ne so io? ”, tutti uniti nel contestare la leadership ufficiale della sinistra e nel riconoscersi nell’uomo del futuro: Cofferati. Che prima, da segretario della Cgil, portò al Circo Massimo tre milioni di manifestanti contro l’abolizione dell’articolo 18 (marzo 2002, all’indomani dell’assassinio di Biagi); e poi, nel gennaio del 2003, fu incoronato al Palasport di Firenze «nuovo capo della sinistra» da Moretti, davanti al sindaco dalemiano Domenici sbigottito e silente. A quel punto Bertinotti uscì dall’angolo grazie a una manovra a tenaglia; in cui il braccio sinistro era lui, e il destro Massimo D’Alema. «A noi ci hanno fregati l’Onu e il referendum» commenterà da lì a poco un autorevole esponente del correntone Ds. Per la spallata finale ai «moderati», la sinistra radicale contava su una spaccatura sul conflitto in Iraq. Ma quando il Consiglio di Sicurezza negò l’avallo alla guerra di Bush, anche la sinistra italiana si ricompattò: Fassino e Russo Spena, Rutelli e i centri sociali. A quel punto Bertinotti gettò tra i piedi di Cofferati il referendum per estendere alle piccole aziende quell’articolo 18 che la Cgil aveva difeso con intransigenza, in nome dell’uguaglianza dei diritti. «Tu sì, tu no; articolo 18, non ci sto» era stato lo slogan del Circo Massimo. Bertinotti proponeva di applicarlo a commesse e artigiani. Con nessuna speranza di vittoria finale, ma con la certezza di quel successo tattico che davvero gli interessava: mettere in imbarazzo Cofferati. Dopo un lungo tormento, il Cinese scelse l’astensione. «Cofferati sta uscendo e noi lo accompagneremo alla porta» aveva sorriso D’Alema; e raccontando l’episodio nelle conversazioni private («ha proprio fatto il gesto con la mano, così») Bertinotti si era detto combattuto tra l’ammirazione per l’intelligenza politica superiore e lo sconcerto per il superiore cinismo. Poco dopo, Cofferati annunciò la sua candidatura a sindaco di Bologna, per lo sgomento degli ex seguaci. Proprio a Bologna ha dissipato l’equivoco insorto sul suo nome, e da lui stesso alimentato quando aveva definito il riformismo «parola malata». Riformista, Cofferati era stato sempre. Allievo di Napolitano, leader dei chimici – categoria tradizionalmente non certo estremista ”, da segretario della Cgil aveva tenuto una linea opposta a quella di Bertinotti, che guidava la componente di sinistra. Cofferati uomo della concertazione («un destro», disse Fausto); Bertinotti delle rotture («uno che firma intese e poi appoggia gli autoconvocati», disse Sergio). «Vecchi rancori dei tempi del sindacato» dichiarò Pierluigi Bersani all’Unità per spiegare i rapporti tra i due; al che Bertinotti rispose perfido che «io mi scontravo semmai con Bruno Trentin». Alla prova del potere, anche gli stili personali si sono confermati molto diversi. Entrambi hanno passato la vita accanto alla fidanzata della giovinezza. Ma il nuovo sindaco di Bologna ha ora una nuova compagna, che protegge con un riserbo assoluto. Il presidente della Camera in pectore ha ancora al fianco la signora Lella (e lei esterna con una generosità che chi vuol bene a Bertinotti farebbe bene a non incoraggiare). Oltre a stile, gusti, dettagli – uno ama la lirica, l’altro la mondanità; uno si fa fotografare in mutande mentre gioca a pallone, l’altro abbina la cravatta ai calzini; uno apprezza Margherita Buy, l’altro Valeria Marini ”, li ha divisi la polemica su legalità, centri sociali, immigrati clandestini, occupazioni, sgombero dei baraccati, critiche ai giudici. «Cofferati poteva essere il nuovo capo della sinistra, ora fa le multe ai lavavetri» commentò la «iena» Riccardo Barenghi. Ma è un fatto che, dopo alcune difficoltà iniziali, il sindaco abbia conquistato Bologna, senza perdere la parola nel dibattito nazionale. Mentre a Montecitorio sin dal discorso di insediamento Bertinotti avrà il problema – che già indusse nel ’79 il suo modello Ingrao a rifiutare la rielezione – di rivolgersi all’intero emiciclo, senza tagliare i ponti con i movimenti. Di sicuro, stavolta non potrà contare su D’Alema. Aldo Cazzullo