Viviano Domenici, Corriere della Sera, 25/04/2006, 25 aprile 2006
Sorpresa, Caravaggio ricalcava i disegni, Corriere della Sera, 25 aprile 2006 «Bello, sembra vero!»
Sorpresa, Caravaggio ricalcava i disegni, Corriere della Sera, 25 aprile 2006 «Bello, sembra vero!». Ancora oggi, davanti a certi dipinti, capita di ascoltare questo apprezzamento, anche se ormai tale metro di misura del bello è del tutto superato. Ma vi fu un’ epoca in cui la perfetta somiglianza dell’ opera al modello era l’ obbiettivo ricercato fino all’ ossessione dagli artisti di mezza Europa. In particolare, tra il XV e il XVI secolo, furono soprattutto i pittori fiamminghi oltre a Caravaggio e i caravaggeschi, a realizzare opere talmente realistiche da sfidare la fotografia. In questi ultimi anni, però, qualche studioso ha avanzato il dubbio che dietro a tanto realismo si nascondesse qualche «trucco». E il sospetto era fondato: Caravaggio, Van Dyck, Vermeer, Memling, Raffaello, Giorgione, Bronzino, Velàzques e Ingres - per citare solo alcuni tra i più celebri - utilizzavano sistemi ottici, fatti di specchi e lenti, mediante i quali proiettavano le immagini sulla tela e poi ne seguivano le linee con pennelli e colori. Che già nel Cinquecento i pittori usassero dispositivi ottici per facilitare il loro lavoro è noto da sempre, ma che artisti come quelli sopra elencati ne facessero un uso massiccio per raggiungere quei livelli di realismo che li hanno resi celebri, è tutt’ altra faccenda. Insomma, scoprire che Caravaggio «ricalcava» fa un brutto effetto anche se questo non toglie nulla alla grandezza del pittore: se è vero che tutti possono ricalcare un’ immagine proiettata, solo un grande artista può farne un’ opera d’ arte. La notizia della scoperta che il Caravaggio fosse un vero artista del ricalco risale al 1994 quando Roberta Lapucci, docente all’ Università di Firenze e grande specialista di restauro, pubblicò un articolo intitolato Caravaggio e i «quadretti nello specchio ritratti» a cui fecero seguito Caravaggio e i fenomeni ottici e Caravaggio e l’ ottica, pubblicato a Firenze nel 2005 dai Servizi Editoriali. L’ autrice presentò una sorprendente quantità di notizie storiche a sostegno della sua tesi fece notare come l’ impiego di sistemi ottici avesse lasciato tracce evidenti nelle opere di Caravaggio. Si tratta in gran parte di difetti dovuti alla difficoltà di mettere a fuoco l’ immagine proiettata che costringeva il pittore a continui spostamenti della lente per supplire alla mancanza di profondità di campo delle lenti dell’ epoca. Tali spostamenti permettevano la messa a fuoco dei particolari voluti, ma ogni volta modificavano il punto di vista con conseguenti errori nella prospettiva. Un altro difetto prodotto dall’ ottica allora disponibile era il rovesciamento destra-sinistra del personaggio rappresentato. Il Bacco conservato agli Uffizi - sostiene la Lapucci - non è un personaggio mancino e neppure un autoritratto che costrinse lo stesso artista a impugnare la coppa con la mano sinistra, avendo la destra impegnata dal pennello, ma è il risultato del ribaltamento dell’ immagine riflessa negli specchi di un giovane modello che posava davanti all’ artista e reggeva la coppa con la destra. La figura dello stesso pittore intento al cavalletto, specchiata nella bottiglia di vetro, comparsa a seguito della pulitura del quadro, rappresenta per la Lapucci, un’ ulteriore conferma della sua ipotesi. Dello stesso avviso David Hockney, il celebre artista americano autore de Il segreto svelato, pubblicato da Electa nel 2002. Quando Caravaggio dipinse il Bacco mancino, fa notare Hockney, non erano disponibili lenti in grado di proiettare un’ immagine senza ribaltarla; per questo nella pittura della fine del XVI secolo si nota un’ insolita proliferazione di mancini che si interruppe circa quarant’ anni dopo, quando furono realizzati specchi piani che invertivano nuovamente l’ immagine. Per rendersi conto che si tratta di un soggetto rovesciato, dice l’ artista americano, basta invertire destra-sinistra il quadro: nella nuova posizione Bacco appare molto più a suo agio. Anche nel Bacchino malato vi sono indizi dell’ uso di specchi e lenti, oltre a proiezioni successive. Il modello è in una posizione forzata, tutta spinta in avanti, in modo che volto, spalla e mano fossero sullo stesso piano e tutti risultassero a fuoco; il tavolo è visto dall’ alto, mentre il cesto di frutta è all’ altezza dell’ occhio e non risponde alla stessa prospettiva del resto del dipinto. Pesanti errori si notano nella Cena di Emmaus. Dovendo assemblare particolari proiettati in momenti diversi e con differenti messe a fuoco, Caravaggio finì per fare errori evidenti (vedi foto grande) sia nella proporzione delle mani dei due personaggi che nella dimensione della frutta, oltreché nella prospettiva degli oggetti sul tavolo. Diversi altri elementi ci dicono che Caravaggio ricorreva a immagini proiettate: riferendosi ad alcune sue opere una fonte antica parla di «quadretti nello specchio ritratti»; i suoi contemporanei lo accusavano di non saper dipingere senza modelli; non si conoscono disegni di sua mano; le radiografie delle sue opere non evidenziano traccia di schizzi preparatori. Tutto questo porta a concludere che Caravaggio disponeva i suoi modelli come attori su un set cinematografico, luci comprese (rivelatore in questo senso è la Vocazione di San Matteo), quindi dipingeva le immagini proiettate sulla tela, come diapositive. Anche dopo Caravaggio, molti altri artisti riuscirono a realizzare in modo «fotografico» scorci prospettici ed espressioni facciali che nessun modello avrebbe potuto mantenere tanto a lungo da permettere al pittore di trasferirli sulla tela osservandoli «dal vero». Con lenti e specchi era invece possibile proiettare l’ immagine e schizzare rapidamente sulla tela almeno i tratti essenziali di una risata o di un gesto repentino. Poi l’ artista completava l’ opera con la sua maestria. Rimane una domanda. Come mai si era quasi perduta la memoria dell’ impiego diffuso di ausili ottici da parte dei pittori rinascimentali? Già prima di Caravaggio, spiega la professoressa Lapucci, c’ era un deciso ostruzionismo dei cattedratici verso «quei piccoli dischi lucidi di vetro» e chi si mostrava troppo interessato alle lenti che permettevano di vedere non immagini reali ma «simulacri», rischiava l’ accusa di eresia. Il turbolento Caravaggio aveva già troppi guai per cercarne altri raccontando come realizzava i suoi mirabili «quadretti nello specchio ritratti». Domenici Viviano