27 aprile 2006
Tags : Renzo. Garlaschelli
Garlaschelli Renzo
• Nato a Vidigulfo (Pavia) il 29 marzo 1950. Ex calciatore. Campione d’Italia con la Lazio nel 1973/74. «[...] stagione 1973-74, scudetto della Lazio, quello di Chinaglia e Maestrelli, dei clan, delle risse, delle pistole e dei night. E di una squadra pazza, capace di litigare e vincere, vincere e litigare. Ed entrare nella storia. [...] Primi calci all’oratorio, il Sant’Angelo in serie D e poi il salto al Como. ”Ho accettato il tarsferimento per un solo motivo: volevo evitare la naja troppo dura. E ce l’ho fatta. Poi, già che c’ero, ho tentato di guadagnare qualche lira”. Stipendio a Como? ”Duecentomila al mese più spese e premi. Finché mi ha cercato la Lazio, e ha fatto il salto di qualità”. Era la stagione 1972-73: impatto con Roma e la nuova squadra? ”Visite mediche, l’allenatore Maestrelli si avvicina. ’Benvenuto tra noi. Buona fortuna e una sola raccomandazione: passa la palla a Chinaglia, perché è un vero rompicoglioni’”. Lo era? ”Eccerto, aveva ragione: in campo era insopportabile perché viveva per il gol, e quando non segnava diventava intrattabile, burbero. Finita la partita invece era uno spettacolo di simpatia”. E gli altri? Che tipi erano? ”Le racconto il primo giorno e capirà: andiamo all’allenamento io, Pulici, Re Cecconi, Frustalupi e Moriggi, tutti sulla Fiat 124 blu di Pulici. Arriviamo a Tor di Quinto e ci troviamo di fronte la Bentley di Wilson, la Jaguar di Chinaglia, poi Ferrari e Mercedes. Ci guardiamo: ’Ma dove siamo finiti?’”. Dove eravate finiti? ”In un posto di pazzi. Anche perché la stagione era iniziata male con l’eliminazione in Coppa Italia. La colpa, naturalmente, è stata data a noi nuovi, i ’nordisti’: e via con le polemiche, le offese, le risse. Per fortuna poi, alla prima di campionato, una buona prestazione con l’Inter e la scintilla: da quel momento è cambiato qualcosa, siamo diventati la Lazio vera, quella che si è qualificata per l’Uefa e poi ha vinto lo scudetto”. Squadra modello Olanda e calcio totale. ”Alt, alt. Noi siamo arrivati prima, è stata l’Olanda a copiarc”». Torniamo agli eccessi di quella squadra famosa per liti, politica, pistole, sesso. Capitolo risse. ”Lo spogliatoio era diviso e ci cambiavamo in due stanzoni. Da una parte il clan di Chinaglia: Wilson, Nanni, Oddi, Petrelli, Facco. Dall’altro quello di Martini e dei ’nordisti’: io, Pulici, Re Cecconi, Frustalupi, Moriggi, D’Amico. Durante la settimana erano botte, invidie e dispetti: se un gruppo beveva vino rosso, l’altro ordinava vino bianco; se uno chiedeva carne, l’altro prendeva pesce. La domenica, però, come per magia eravamo tutti uniti, guai a chi ci toccava. E vincevamo”. L’allenamento tipico? ”Poca corsa ma tante partitelle. Dal martedì al venerdì erano calci e calcioni e Maestrelli era sempre preoccupato. Per evitare che Chinaglia perdesse, si incazzasse e degenerasse tutto in rissa, faceva finire le sfide solo quando la squadra di Giorgione pareggiava. E a volte si smetteva quando era ormai buio...”. Vero che a volte avevate ospiti? ”Quasi tutti i giorni giocava con noi Pietrangeli, il tennista, e non era male. Spesso veniva il figlio di Leone, allora presidente della Repubblica. Era una pippa, ma noi ce ne fregavamo degli ospiti, ed erano tackle anche con loro”. Clan, spogliatoi divisi e politica. Parliamone. ”Siamo passati tutti per fascisti, ma solo perché la Lazio, storicamente, è di destra. Non capivamo niente di politica e non eravamo preparati. [...] Ero radicale, mi piaceva Pannella che ho conosciuto anche di persona: andava contro tutto ed era avanti nei tempi. [...] Io avevo il porto d’armi, come tutti. Ma non la pistola. Eravamo dei pazzi furiosi. Era il tempo del terrorismo e Roma era una città violenta. Ma la nostra, soprattutto, era una moda [...] l’Hotel Americana, al tredicesimo chilometro della via Aurelia. L’abbiamo distrutto a forza di spari: sul retro si faceva il tiro a segno mirando i lampioni e la mobilia vecchia. Ma a volte anche i compagni più giovani... [...] Un giorno palleggiamo vicino alla piscina e uno di noi manda il pallone intenzionalmente giù dalla vallata. ’Badiani vai a prenderlo tu che sei l’ultimo arrivato’. Roberto obbedisce e scende tra le erbacce, mentre sei o sette si mettono in fila, mirano e via: bum bum bum. Proiettili da tutte le parti che sfiorano il povero Badiani laggiù che piange dalla paura, inginocchiato con le mani che proteggono la testa [...] Petrelli va nella stanza di De Rosa, uno sempre serio e zitto. Entra e trova il compagno disteso a letto. Urla agli altri: ’Vediamo se ha le palle e se è da Lazio’. E bum, gli spara in mezzo alle gambe, lo sfiora e buca il materasso. Avesse sbagliato di pochi centimetri, addio De Rosa...[...] Ci divertivamo, ed era uno dei nostri segreti. Andavamo in ritiro il sabato pomeriggio: pranzo, cinema, cena e partite a carte fino a tarda notte [...] Naturalmente. La domenica giocavamo e poi tornavamo in albergo: aperitivo, cena, tv, carte e finalmente... [...] A mezzanotte iniziava la serata vera! [...] Era tutto organizzato e Maestrelli faceva finta di niente. Qualcuno faceva venire ’certi personaggi’ in stanza, altri andavano al night [...] Facevo coppia fissa con Chinaglia al Jackie O’. Tutta notte lì fino alla mattina dopo, quando tornavamo di nascosto in albergo, facevamo colazione e poi andavamo a casa [...] Chinaglia era meticoloso e dal mercoledì in poi si concentrava, si preparava e andava a cena da Maestrelli. Io no, mica potevo diventare matto per il calcio. Me ne fregavo e mi divertivo fino al sabato, e Maestrelli mi capiva. A volte arrivavo ancora vestito da nottata, altre volte dicevo: ’Mister, sono stato a mignotte’ [...] Era un modo di dire, nel senso che avevo fatto tardi... E lui: ’Ci sono i giornalisti, fai due giri di campo, fingi di farti male e vai a casa’ [...]» (Alessandro Dell’Orto, ”Libero” 27/2/2005).