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 2006  aprile 25 Martedì calendario

«Vi serve un organo? Ordinatelo online!». La Stampa, martedì 25 aprile 2006 Shenyang. La pubblicità online sul sito del Centro internazionale di assistenza ai trapianti della città di Shenyang, nel Nord Est della Cina, ostenta senza complessi: «Donatori d’organi disponibili immediatamente! Contattateci prima di ammalarvi troppo gravemente! Un consiglio: sappiate che dicembre e gennaio sono la stagione buona, quella in cui il numero dei donatori è più elevato; ciò vi permetterà di attendere il minimo del tempo prima di farvi trapiantare l’organo»

«Vi serve un organo? Ordinatelo online!». La Stampa, martedì 25 aprile 2006 Shenyang. La pubblicità online sul sito del Centro internazionale di assistenza ai trapianti della città di Shenyang, nel Nord Est della Cina, ostenta senza complessi: «Donatori d’organi disponibili immediatamente! Contattateci prima di ammalarvi troppo gravemente! Un consiglio: sappiate che dicembre e gennaio sono la stagione buona, quella in cui il numero dei donatori è più elevato; ciò vi permetterà di attendere il minimo del tempo prima di farvi trapiantare l’organo». Il centro, un’organizzazione privata niente affatto illegale in base alle norme cinesi, è cionondimeno sede di un’attività commerciale fra le meno scrupolose che si possano immaginare, sul piano morale: qui si fa intermediazione fra i «donatori» cinesi di organi e i riceventi stranieri. Vi si vendono reni, fegati, cornee, pancreas come fossero beni di consumo... Il sito propone i suoi servizi non solo in cinese ma anche in russo, in giapponese, in coreano e in inglese. Una precisazione: gli organi provengono nell’80 per cento dei casi dai cadaveri di condannati a morte cinesi giustiziati. La pubblicità di questo centro va decodificata così: «Organi disponibili immediatamente» significa che l’utilizzo di parti del corpo di condannati a morte assicura altissime probabilità di trovare rapidamente un donatore compatibile. «Dicembre e gennaio sono la stagione buona» si riferisce al fatto che il numero delle esecuzioni è tradizionalmente più elevato nelle settimane che precedono il Capodenno cinese. Una tradizione immemorabile vuole infatti che in Cina non si eseguano condanne a morte dopo l’inizio della primavera, simbolo di rinnovamento. Se si volessero spingere le cose all’estremo, come ha di recente riferito un servizio di una rivista appartenente al gruppo Phoenix di Hong Kong, c’è da credere che uno straniero fortunato, utilizzando i servizi d’intermediazione di questo centro così poco sensibile alle più elementari regole internazionali di deontologia, riesca ad acquistare i suoi organi in Cina quasi sui due piedi. Sarebbe dunque possibile «ordinare» un rene, un fegato, addirittura prima dell’esecuzione del condannato? Il reportage di questo mensile sembra rispondere in maniera affermativa: un giornalista cinese che si è fatto passare per il familiare di un paziente in attesa di un rene in un ospedale di Zhengzhou (capoluogo della provincia di Henan) si è accordato in questi termini con un certo dottor Shi: «Venite presto se volete un trapianto rapido, i donatori non mancano questa settimana...». La procedura per l’espianto è sempre la stessa: un’ambulanza arriva sul posto e preleva l’organo per dirigersi immediatamente verso l’ospedale dove il paziente è già pronto per l’operazione. Questo lascia supporre che le analisi di compatibilità in termini di gruppo sanguigno siano state eseguite prima dell’esecuzione. Il Centro internazionale di assistenza ai trapianti di Shenyang si presenta bene. Situato al diciassettesimo piano di una torre ultramoderna di questo ex centro siderurgico di epoca maoista - ora in pieno boom economico - non è che una branca di un’impresa di consulenza creata da giapponesi. Qui, in un ufficio luminoso, ci riceve un uomo d’affari il cui lucroso business sembra aver superato le più rosee aspettative. Sotto il vincolo dell’anonimato ci confida: «Mio povero signore, ci sono così tanti giapponesi che vengono qui in Cina a farsi trapiantare gli organi che non riusciamo più a tenere il ritmo!». Sul sito del centro è esposto senza vergogna il tariffario: 62 mila dollari per un rene, un centinaio di migliaia per un fegato, un pancreas fra i 150 mila e i 170 mila, un cuore 160 mila, una cornea 30 mila. Viaggio escluso... Secondo il nostro interlocutore «un centinaio di giapponesi sono venuti a farsi trapiantare un rene negli ospedali di Shenyang e Shangai negli ultimi anni». Il quotidiani Asahi Shimbun di Tokyo ha ipotizzato di recente la cifra di 350 persone. Poi ci sono coreani, ucraini, israeliani. Più tardi, sempre a Shenyang, un intermediario nipponico, che a sua volta vuol restare animino, ci dice che «questo business arricchisce tutti, dall’ospedale ai funzionari pubblici locali. Tutti fanno soldi con i pazienti stranieri». Alla fine di febbraio un dispaccio dell’agenzia giapponese Jiji ha imbarazzato le autorità cinesi: sette pazienti nipponici di età compresa fra i 35 e i 50 che erano venuti a farsi trapiantare un rene in Cina sono morti negli ospedali di Shenyang, di Shangai e di Changsha (capoluogo della provincia dello Hunan) poco dopo le operazioni, fra il 2004 e il principio del 2006. Le autorità giapponesi hanno aperto un’inchiesta per appurare in quali condizioni avevano avuto luogo tali operazioni. In seguito si è avuta notizia di pazienti malaysiani morti in circostanze analoghe. Una ventina di migliaia di trapianti vengono effettuati ogni anno in Cina e in lista di attesa nel Paese ci sono due milioni di persone bisognose di organi nuovi; eppure la Cina è la principale destinazione in Asia di pazienti stranieri che vogliono un trapianto. Questo business sta diventando motivo di crescente imbarazzo per le autorità di Pechino. Per lungo tempo la questione dell’utilizzo dei cadaveri di condannati a morte è rimasta tabù in Cina; fino a quando in una conferenza internazionale organizzata di recente a Manila il viceministro cinese della Sanità, Huang Jiefu (che fra l’altro è di persona un chirurgo specializzato in trapianti di reni) ha annunciato che «il 95 per cento degli organi espiantati in Cina proviene da condannati giustiziati». L’affermazione non è stata peraltro recepita agli altri livelli governativi, visto che a marzo un portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha dichiarato che «tale pratica riguarda pochissimi casi» e ha aggiunto che «è una menzogna che si prelevino organi dai condannati a morte senza il loro consenso». Bruno Philip (Copyright Le Monde)