Federico Rampini, la Repubblica 25/4/2006, 25 aprile 2006
Treni indiani, un mito in vendita La Repubblica, martedì 25 aprile 2006 La British East India Company cominciò a costruirle all´inizio dell´Ottocento per trasportare i suoi ricchi raccolti di cotone verso i porti di Bombay, Calcutta e Madras
Treni indiani, un mito in vendita La Repubblica, martedì 25 aprile 2006 La British East India Company cominciò a costruirle all´inizio dell´Ottocento per trasportare i suoi ricchi raccolti di cotone verso i porti di Bombay, Calcutta e Madras. Più tardi il Raj britannico le sviluppò per spostare rapidamente le sue truppe da un angolo all´altro dell´India e schiacciare nel sangue le rivolte indipendentiste. Le ferrovie indiane sono tuttora la più grande rete mondiale con 65.000 chilometri di binari, 16 milioni di passeggeri al giorno (quasi sei miliardi all´anno). Sono anche il più grande datore di lavoro del mondo: 1,6 milioni di dipendenti diretti, più sette milioni di persone a cui danno indirettamente un reddito, e un indiano su dieci che in qualche modo dipende dalle ferrovie per la sua sopravvivenza quotidiana. Ora per questo antico gigante è suonata l´ora di un cambiamento che sembrava impossibile, la privatizzazione. Vacilla il tabù storico del socialismo indiano, scosso da una modernizzazione sempre più drastica e veloce. La vetusta ma capillare rete ferroviaria che collega il subcontinente è stata finora un simbolo potente dello statalismo ispirato da Nehru, il padre dell´indipendenza, e proseguito con sua figlia Indira Gandhi. L´azienda dei treni è soprannominata "la linfa vitale dell´India", un po´ per la sua funzione da Welfare State, un po´ per la capacità di unificare fisicamente un paese di grandi distanze, enormi differenze sociali, etniche, religiose e linguistiche. L´epopea del viaggio in treno fa parte delle emozioni che hanno sedotto generazioni di viaggiatori occidentali: le immense, caotiche, chiassose stazioni di Delhi e Mumbai sono un riassunto dell´India intera con il caos dei facchini che assediano i clienti, i profumi inebrianti dei cibi offerti sui marciapedi di partenza, le foggie pittoresche dei viaggiatori sempre sovraccarichi, un museo vivente di facce e di colori esotici, gli animali e la sporcizia e i mendicanti dovunque. Ma negli ultimi anni le ferrovie indiane facevano notizia soprattutto in senso tragico, per gli incidenti a catena, i bilanci spesso raccapriccianti di vittime, fino a provocare una fatalistica assuefazione di fronte ai numeri vertiginosi di morti e feriti. L´arretratezza era sottolineata dal fatto che per un secolo e mezzo l´orario dei treni è rimasto sostanzialmente identico a quello messo a punto nel 1866 dalla società inglese Bradshaw. Adesso si volta pagina. Nei giorni scorsi è scattata la prima fase della privatizzazione, con la messa in vendita del servizio cargo. Nell´India del boom economico, con tassi di crescita del Pil dell´8% all´anno, la gestione dei treni merci è un business che ha già attirato le offerte di acquisto di ben 14 investitori privati, sia nazionali che stranieri. Tra questi ultimi figura anche la ormai celebre società Dubai Ports, che spera di rifarsi dello smacco subito negli Stati Uniti dove i timori per la sicurezza antiterrorismo le hanno vietato l´acquisto dei porti navali americani. A scatenare il cambiamento politico nel governo di Manmohan Singh è stato qualche mese fa un severo rapporto della Banca centrale, secondo cui le ferrovie erano ormai sull´orlo della bancarotta con un debito di 610 miliardi di rupie (oltre 10 miliardi di euro). Nell´India di una volta un allarme simile avrebbe suscitato solo sbadigli: le ferrovie erano un feudo elettorale intoccabile, così potente da aver diritto a un ministro solo per loro, e la logica clientelare si imponeva su quella del mercato. Ma oggi a New Delhi tira un´aria nuova, si respira la voglia di imitare il miracolo cinese aggiungendo così un altro gigante asiatico alle superpotenze economiche emergenti. L´attuale ministro delle ferrovie, Lalu Yadav, ha lanciato una liberalizzazione audace che sta già risanando in tempi record il bilancio: ora l´azienda pubblica ha oltre due miliardi di euro di attivo in cassa. Lalu Yadav si è accorto infatti di essere seduto su una miniera d´oro. Insieme con la vendita del trasporto merci, l´altro grande affare che sta attirando gli investitori privati da tutto il mondo è la privatizzazione delle stazioni. I terreni e gli edifici delle stazioni vengono messi all´asta per farne di tutto: costruirci catene di alberghi moderni, shopping mall, ristoranti, sportelli bancari. Su questo business si sono avventati colossi internazionali come il gruppo francese Accor, che sogna di disseminare la rete ferroviaria indiana di moderni alberghi per turisti occidentali, e anche il gruppo locale Tata che attraverso la società Indian Hotels gestisce i leggendari Palace di lusso Taj. Sunil Mittal, il magnate dei telefonini indiani con la sua società Bharti, è interessato a costruire nuovi centri commerciali a ogni fermata di treno. Il ministro Lalu Yadav ha fretta di fare cassa con queste privatizzazioni per poter migliorare la scadente qualità del servizio passeggeri. Contrariamente alle aspettative, ha scatenato una guerra di ribassi delle tariffe. Un gesto sorprendente ma anche una sfida obbligata. Tra gli altri segni dello sviluppo economico accelerato tra Delhi e Bangalore, Mumbai e Calcutta dilagano le compagnie aeree low-cost, come la Kingfisher dell´omonima birra creata dal gemello indiano di Richard Branson, il fondatore della Virgin. Di fronte alla guerra dei biglietti aerei a prezzi stracciati che stanno popolarizzando i voli tra centinaia di milioni di indiani, le ferrovie non avevano altra scelta: tagliare o vendere i rami secchi per tornare ad essere competitive nel trasporto dei viaggiatori. Lalu Yadav ha osato promettere l´impensabile, annunciando che a breve termine offrirà vagoni con l´aria condizionata su tutte le tratte e in tutte le classi, per ciascuno dei 16 milioni di passeggeri quotidiani. Non sarà più l´India dei treni a vapore che ancora fanno sognare i turisti a Darjeeling, e il vento della modernizzazione porterà anche qui dei paesaggi un po´ più uniformi, più globalizzati. Prima o poi le grandi stazioni indiane smetteranno di evocare le storie di Rudyard Kipling per assomigliare ai duty-free aeroportuali del mondo emergente, tutti uguali da Dubai a Singapore, da Hong Kong a Shanghai a Kuala Lumpur. Per i viaggiatori occidentali sarà un altro paesaggio inghiottito nel passato e altre emozioni perdute. Ma per gli indiani lanciati alla rincorsa dell´Occidente e impegnati ad agganciare finalmente lo sviluppo economico, non c´è tempo di voltarsi indietro a indulgere nelle nostalgie. Federico Rampini