Varie, 25 aprile 2006
AGNELLI Margherita
AGNELLI Margherita Losanna (Svizzera) 26 ottobre 1955. Pittrice. Figlia di Gianni e Marella Agnelli. Sposata in prime nozze con Alain Elkann, da cui ha avuto John (1976), Lapo (1978) e Ginevra (1980), e in seconde nozze col conte Serge de Pahlen, da cui ha avuto Maria (1983), Pierre (1986), Sophia (1986), Anna (1988), Tatiana (1990) • «[...] A parte quello che si fa in tutte le famiglie, andavamo spesso a vedere musei; meno spesso al cinema, ogni tanto a comperare ostriche, pesce. Mio padre amava il pesce, non lo sapeva cucinare ma sapeva come doveva essere cucinato. Poi passeggiavamo insieme, andavamo in barca a vela o in barchino a nuotare. Era divertente questa sua curiosità culinaria, che si accompagnava con l’indagine sulle forme, i colori, il gusto. Mio padre era una persona piena di sana e bella curiosità anche per i particolari. Ma confesso che la relazione più profonda che aveva stabilito con me e mio fratello era quella dello sguardo. Che era una sorta di punto di riferimento: seguivamo il suo meravigliarsi e stupirsi di fronte a ogni cosa [...] Per lui osservare era un continuo scambio di attenzione con il mondo circostante e noi captavamo questo tramite il suo sguardo. Questo atteggiamento era un suo modo di giocare e scambiare punti di vista. Per esempio, si andava in giro e si guardava come era buffa una persona, come vestiva, in un continuo gioco dell’attenzione, di vivacità di sguardi. Era innato in lui questo genio del divertente: era pieno di questa curiosità critica e spiritosa, stupefatta. Era proprio simpatico, non si poneva come autorità, quindi non dava lezioni, ma ci metteva di fronte alle responsabilità, nel senso che c’erano in lui un’autorità e un buon senso che ci rassicuravano. Più che dirci come fare di fronte a un problema, ci dava delle indicazioni, che però poi noi dovevamo capire e dibattere infine con lui. [...] Un aspetto che certamente gli riconosco è la saggezza. Ci sono persone pedagogiche, che insegnano. Lui era l’opposto. Oggi molti padri fanno fatica a essere padri, non so se lui abbia mai realmente intrapreso il ruolo di padre, ma c’è arrivato progressivamente, fino a essere come ho detto, senza defilarsi mai dalle responsabilità. Non si è mai seduto dicendo: «Adesso faccio il padre». Ma era un uomo di famiglia. E aveva un enorme senso degli affetti, anche se a modo suo. [...] Mio padre non era un uomo di molte parole, chiacchierava poco, scherzava molto; può sembrare strano, ma ho imparato il silenzio da lui; cioè che si può stare molto vicini e capirsi senza avere bisogno di parlare. Quando c’era bisogno di lui, c’era. L’arte rappresentava un’occasione per dialogare, un modo collaterale per comunicare; invece di dirci direttamente le cose, parlando di un quadro si infilavano dentro idee e pensieri, allusioni a problemi reali. [...] Da mia madre ho imparato molte cose. Tuttavia, siamo molto diverse: e qualche volta bisogna essere molto pazienti con le persone molto diverse. [...] Edoardo era un esteta, una persona molto sensibile: in tutto ciò che lo circondava, e in quello che dava agli altri, c’era sempre questo bisogno di condividere il bello, e questo era un linguaggio che avevamo in comune. [...] Io i figli li ho avuti quando ero molto giovane, il mondo per me era un posto meraviglioso e la vita una cosa straordinaria, quindi avere dei figli era un dono. [...] Se uno dei miei figli intraprende una strada che pensa giusta, e in realtà non lo è, ovviamente intervengo, ma quando divengono maggiorenni si può fare solo quello che si può. [...] Per me dipingere è un modo per dichiarare il mio amore verso la vita, di mandare un messaggio positivo e solare agli altri, anche se pensare che è uno dei miei scopi mi sembra un po’ presuntuoso. [...] Ho scoperto che i sensi di colpa sono straordinariamente inutili, perché non ci fanno andare avanti. Tuttavia, passo la mia vita attraverso i sensi di colpa, ma anche cercando di liberarmene o non averne. Il senso di colpa è utile fino a un certo punto, ha una lezione da darci, però se riusciamo a capire questa lezione bisogna andare oltre: continuare a trascinarselo addosso è sbagliatissimo. [...] Meditando davanti a una tela bianca può succedere di tutto. È struggente, straordinario, affliggente. È straordinario quando la tela corrisponde perfettamente all’immagine che uno porta dentro. E quindi dipingere è un piacere nel senso che, se uno ha la fortuna di esprimere ciò che ha in cuore, è struggente. Invece è affliggente quando uno non ha assolutamente niente da dire e non ha in animo nulla da raccontare. [...]» (Franco Scelsi, “Panorama” 14/10/2003) • «È una donna che chi la conosce descrive “semplice”, “simpatica”, “alla mano”; certo negli ultimi anni molte volte arrabbiata, per dissidi familiari e patrimoniali. Ma, per il resto, con una vita che sembra un concentrato un po’ fuori misura di comportamenti e passioni di tante ragazze nate benissimo. I molti figli, l’arte, le iniziative solidali, il fervore spirituale scoperto da adulte. Il tutto vissuto con l’entusiasmo di chi è cresciuta al riparo da brutture, tra ville e scuole private, e per questo può risultare ingenua, addirittura. Anche se poi la sua vita da Agnelli è stata complicata, e spesso dolorosa. Non quella che promettevano i pomeriggi da bambina con il fratello Edoardo, nel giardino con le sculture di Henry Moore “che per noi erano compagne di giochi”. Nata a Ginevra, cresciuta a Torino, studi in Inghilterra e in Svizzera, nelle interviste ha spesso parlato del rapporto con i genitori. La mamma Marella a cui ha dedicato il libro di poesie Ceneri (“A volte ti esprimi d’eterno vita mia/poi ruggisci e sputi morte/non vuoi deciderti/e nell’incertezza ti consumi tutta»). E di cui in seguito ha detto (nel 2004, a Camilla Baresani per Vanity Fair) “è una donna d’altri tempi, che non si è mai occupata degli affari di famiglia. Siamo molto diverse. Qualche volta bisogna essere molto pazienti con le persone diverse”. Il padre Gianni lo ha descritto “scherzoso, giocoso. E impegnato”. A volte era difficile attirare la sua attenzione. Molte volte ha raccontato di quando, diciottenne, si rasò i capelli a zero, arrivò in salotto e il padre senza alzare gli occhi le disse“se pensi di stupirmi, ti sbagli”. Poco dopo, non per stupire ma perché era incinta, si sposò col giornalista-scrittore Alain Elkann. Tre figli (John, Lapo e Ginevra) in pochi anni e un primo dramma, il sequestro della madre di Elkann, Carla Ovazza, poi rilasciata. Poi ci fu il divorzio da Elkann, e l’incontro con il russo francese Serge de Pahlen, e con la religione ortodossa. Seguirono altri cinque figli: Sofia, Pietro, Maria, Anna e Tatiana. Suo padre Gianni non era, pare, entusiasta di tutte queste gravidanze. Comunque, scrive Marco Ferrante nel suo Casa Agnelli (Mondadori), “la sua vocazione alla maternità è oggetto di discussione tra chi la conosce: ci si chiede se sia originata da un deficit di calore famigliare, oppure da una specie di vitalismo comunitario”. Gli amici sono per la seconda ipotesi: “Ci fu la fase in cui in una casa nella campagna francese tutti i bambini potevano andare in giro nudi”. Una fase probabilmente allegra. Niente a che vedere con l’estate ’92, quando scoppiò un incendio nella dacia fuori Mosca dove era in vacanza, lei rimase ustionata, due bambini di una sua amica morirono. Nel frattempo si era messa a dipingere. Quadri molto colorati ispirati alle icone russe, esposti in molte mostre (spiega in una presentazione il pittore Sandro Chia: “I quadri di Margherita Agnelli sono pieni di buon umore contenuto in un cielo speciale che è una pelle d’aria poggiata su una polpa corporea in attività continua, chiamata vita”. Alla vigilia della prima mostra raccontava che per esporre aveva pensato a uno pseudonimo, Margot des Agneaux. Ma era stata dissuasa dai figli che “si erano rotolati dal ridere”. “Non far ridere i polli”, era poi una frase fissa di Agnelli senior. Che con la figlia, a Parigi, andava per musei e mostre e ogni tanto prendeva un suo quadro. Ma lei non riusciva a fargli un ritratto, “posso dipingerlo mimetizzato, attraverso dei simboli, per esempio uno strano cappello”. Scelti i quadri, andavano insieme a comprare ostriche. Gianni Agnelli è morto nel 2003. Tre anni prima era morto il fratello Edoardo, a cui era legatissima, volato giù da un viadotto» (Maria Laura Rodotà, “Corriere della Sera” 1/6/2007) • «[...] io sono una donna di casa, ho solo allevato tanti figli [...] Quando è morto il padre di una mia amica, hanno fatto l’inventario dei beni e diviso. Da noi non è mai successo, a nessuno di noi è stato detto tutto chiaramente. Da noi decidono sempre tutto loro. Nel 2005 ho pensato che volevo preparare la mia successione, sapere che cosa ho e che cosa lascio ai miei otto figli e a mio marito, ma io non so quale sia il patrimonio di mio padre, come sia stato gestito, che forma abbia oggi, ho chiesto per tutti questi anni e nessuno mi ha mai risposto. Dover andare a chiedere i conti davanti a un giudice è sconvolgente, ma per è rimasta l’unica strada. Sapere cosa si possiede è un diritto elementare, tanto che non capisco perché si faccia tutto questo casino... [...] La molla è stato il coma di Lapo. Tre giorni prima l’ho chiamato per fargli gli auguri, era il suo compleanno, e lui mi ha detto "mamma, ti prego, fai la pace". Lapo, gli ho detto, ma cosa dici, io l´ho fatta... Quando ho accettato di cedere la mia quota in Dicembre, che controlla la Fiat, non ero contenta, ma mi sono tirata fuori, loro non mi volevano, l’ho lasciata nelle loro mani, pensavo fosse il male minore, pensavo fosse il bene della Fiat. Adesso penso che ho sbagliato [...] alla morte di mio padre è come se si fosse rotta la molla di un orologio: si sono sparpagliati i pezzi. Noi in casa prima ci parlavamo per ore, poi non ci siamo più parlati, li cerco al telefono e non mi rispondono. Noi eravamo un’unica grande famiglia, con Lapo facevamo la torta di mele, John teneva sempre in braccio Anna, fino ai loro 18 anni hanno vissuto con noi. Qualcuno ha fatto diventare miei nemici i miei tre primi figli. È questo quello che non perdono [...] Gabetti e Grande Stevens. Decidono tutto loro, con l’autorità che si sono dati da soli [...] Mi ricordo l’arrivo a Villa Frescot di cortei sfavillanti di macchine, di signori vestiti di scuro che arrivavano e ci facevano firmare qualsiasi cosa. È lo stesso tono militaresco da cavalleria sabauda, “non si preoccupi, firmi”, dicevano. E noi - io, donna Marella, l’Avvocato - firmavamo. Ma ripeto: allora c’era papà, erano cose sue, e con noi è sempre stato di una grande generosità. Ma da quando è mancato, evidentemente queste cose mi riguardano. Io sono una Agnelli e io devo sapere [...] Jaki (John, ndr) ha perfino detto che ho spogliato mia madre... vuol dire che c’è proprio una totale incomprensione. Non mi ha neppure avvisata del suo matrimonio. Lapo? Sono stata con lui in ospedale quando era in coma, senza farmi vedere da nessuno, poi l’ho accompagnato in Arizona. Aveva intorno tante guardie del corpo come non ne ho mai viste neppure intorno a mio padre, eppure erano anni peggiori. Si muovono con un esercito di gorilla, hanno i telefoni sotto controllo, non mi sembrano liberi. Se solo avessimo potuto sederci intorno a un tavolo noi soli e mia madre non saremmo a questo punto [...] Con le mie zie parlo regolarmente. Mi hanno detto che la lettera gliela hanno fatta firmare e che non si aspettavano che finisse sui giornali [...] La mia grande famiglia mi ricorda la grande famiglia di mio padre. Gli anni al Forte, tutti insieme, tantissimi, è per me uno dei ricordi più belli. Forse ho cercato di fare lo stesso [•..] La cosa difficile era essere sempre come in vetrina. Ma io stavo dietro, a quella vetrina. Per me Gianni Agnelli era semplicemente mio padre, un padre a cui ho voluto molto bene e basta. Oggi i figli ci spiegano che siamo state delle madri schifose, ma io lo trovo assurdo. Ognuno di noi, da genitore, ha fatto il meglio che poteva. Anche mio padre. E anch’io. Io ho speso trent’anni della mia vita per crescere i figli, li accompagnavo a scuola, non andavo alla Bahamas. Ma so che fare la madre è un’avventura che non si mai come va a finire [...] Questa è una storia che mi ha fatto impazzire di dolore. E vorrei solo una cosa, il lieto fine. Vorrei ritrovare i miei figli, mia madre e la gioia di vivere”» (Cinzia Sasso, “la Repubblica” 8/9/2007).