Varie, 14 aprile 2006
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GALLINARI Prospero Reggio Emilia 1 gennaio 1951. Terrorista. «Ribelle fin da ragazzino, la tessera della Fgci, l’organizzazione giovanile comunista, l’aveva presa già a quattordici anni, nel ’64
GALLINARI Prospero Reggio Emilia 1 gennaio 1951. Terrorista. «Ribelle fin da ragazzino, la tessera della Fgci, l’organizzazione giovanile comunista, l’aveva presa già a quattordici anni, nel ’64. E, sebbene nato da famiglia contadina con ”il tempo e il gioco dei bambini scandito dalla natura e dalla terra...”, era cresciuto fra adulti fedeli al ricordo delle battaglie partigiane e al mito della ”rivoluzione tradita”. Una generazione delusa per le armi deposte ”troppo presto” e furente per la repressione diffusa che arrivò a far contare, nel luglio ´60, cinque morti operai a Reggio Emilia. Un album di famiglia, il suo, non raro tra i tanti militanti della sinistra estrema che, a cavallo degli anni Settanta, avrebbero imboccato quella ”tragedia della ragione e della rabbia” che aprì la via alla lotta armata e al terrorismo. Una realtà all’epoca negata da quanti liquidarono come semplici ”provocazioni” le prime avvisaglie di un fenomeno vistoso, che non ha avuto pari in Europa. Senza saper leggere e prevenire quella lunga stagione di rivolta e di sangue che ha cambiato la storia italiana. Infanzia e adolescenza di Prospero Gallinari: la povertà, l´orgoglio del padre comunista che, nonostante il freddo sofferto a scuola da suo figlio ragazzino, rifiuta ”il cappotto del prete”, un pastrano di una taglia in più offerto per ”carità” dal sacerdote. E ancora, l’abbandono degli studi e il lavoro a dodici anni, il sentirsi precocemente adulto, le ore trascorse a discutere di politica. Poco sonno e molte letture. Ma anche i primi balli e le prime feste di gruppo. E la vergogna per le mani callose e sporche di terra e di letame, ”un miscuglio di pelle grinzosa e macchiata, un colore che dice a tutti che sei un contadino” che ”per le ragazze è più o meno come se ti portassi addosso la peste”. Quelle dedicate alla sua formazione sono le pagine più genuine ed efficaci del memoriale di Prospero Gallinari, tra i fondatori delle Brigate rosse, protagonista del caso Moro, condannato a tre ergastoli e in libertà vigilata dal ’96 per motivi di salute. Un contadino nella metropoli (in uscita da Bompiani mercoledì 19, pagg. 337, euro 16,50) è il titolo del suo libro, un’autobiografia verace e una ricostruzione degli anni del furore mai dimenticati.
[...] Il memoriale di Gallinari è confezionato con un’ottica inedita: snocciola la sua vita quasi con distacco, dipana senza alibi il ”suo filo rosso” che non si è mai spezzato, riferisce di aver accettato definitivamente e in modo collettivo la disfatta della lotta armata solo nel 1988. E non tace sugli orrori commessi in carcere da chi considerava i dissociati solo ”traditori”. Ritratto impietoso dello ”spezzatino di una generazione. Tanti noi sempre più piccoli che, al meglio, si detestano cordialmente fra loro”. Non salta un anno di cronaca nel suo libro, ma le istantanee migliori sono quelle dell’Italia della ricostruzione, degli anni Cinquanta, delle prime lotte operaie dei Sessanta e della stagione del ”fuori l’Italia dalla Nato”. La sua adesione a un Pci che vive di tante anime e i dissensi con un partito ritenuto imbelle, fino alla rottura. Una società che ribolle di fermenti e una classe politica che non ne comprende il potenziale. Il 1968, la primavera di Praga, gli ”uno, cento, mille Vietnam”, il terzomondismo di Fanon, e la suggestione di Che Guevara. A Reggio Emilia, nel ’69, Gallinari fonda il circolo culturale ”L’appartamento”, una soffitta in via Emilio San Pietro, a duecento metri dalla sede centrale del Partito. ”Un appartamento libero nel quale possa incontrarsi chiunque intenda discutere, porsi domande e cercare risposte all’eruzione di eventi”. Il resto scorre veloce: il salto nel vuoto, l’idea della lotta armata e del partito d’avanguardia come unica via. Le prime Brigate rosse con Renato Curcio, Alberto Franceschini, Alfredo Bonavita. I ripensamenti, la nuova adesione, il primo arresto nel ’74 e l’evasione dal carcere di Treviso nel gennaio del ’77. E subito dopo Roma, la colonna che organizza il rapimento di Moro. L’omicidio.
Gallinari è in via Fani la mattina del 16 marzo del ’78, fa parte del commando che uccide i cinque uomini della scorta e che rapisce Moro. E, per 55 giorni, è il regista operativo nella casa dove è rinchiuso l´ostaggio. Fino alla fine, quando Moro viene ucciso nel garage. Inutile cercare rivelazioni nella ricostruzione dell’azione più clamorosa delle Brigate rosse. Inutile andare a caccia di tracce di quello che, comunemente, si chiama pentimento. Dei minuti che precedono la strage di via Fani, lui racconta a modo suo persino la paura ”un tipo di paura che mi ha sempre tormentato e che questa volta si fa ancora più intensa”. C’è in gioco non solo la pelle, ma l’esistenza stessa dell’organizzazione. ”Segue il sangue del dopo Moro, gli agguati mortali e, mentre si moltiplicano i pentiti e gli arresti, nel settembre del ’79 Gallinari viene arrestato insieme con Mara Nanni. Sono gli anni delle carceri speciali e delle rivolte e lui le registra tutte, mentre scorre la contabilità delle lotte interne delle evasioni mancate, della sfida. Carcere e ancora carcere fino agli anni Novanta e alla malattia, ai ricoveri, alle operazioni. E intanto c’è spazio anche per un amore e per qualche speranza. A tratti disturba la vena fiera del libro di Gallinari, che non contiene scuse neanche nei toni. Eppure è la sincerità il suo pregio migliore. Lui non rinuncia all’identità che gli appartiene, cerca solo di guardare più indietro per aggrapparsi all’innocenza che ciascuno ha dentro di sé. Dalla canzone di Francesco Guccini, l’Odysseus, si legge in apertura: ”C’era il mio cuore al sommo di ogni cosa, c’era l’anima mia che è contadina”» (Silvana Mazzocchi, ”la Repubblica” 14/4/2006).