Varie, 12 aprile 2006
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MESSINA DENARO Matteo Castelvetrano (Trapani) 26 aprile 1962. Mafioso. Candidato alla successione di Bernardo Provenzano
MESSINA DENARO Matteo Castelvetrano (Trapani) 26 aprile 1962. Mafioso. Candidato alla successione di Bernardo Provenzano. «[...] capo indiscusso della vecchia mafia trapanese. Giovane rampollo di una famiglia di rango, con saldi agganci politici, descritto come rampante e detentore di un buon ”potere militare”, cioè dispone dei migliori killer. [...]» (’La Stampa” 12/4/2006). «[...] è ricercato per associazione mafiosa, strage e omicidio. Secondo i magistrati sarebbe uno dei registi delle stragi del 1993 a Roma e a Firenze, ed ebbe da Riina l’incarico a preparare l’attentato al giornalista Maurizio Costanzo e di pedinare, sempre a Roma, il giudice Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli. Anche di lui circola solo una vecchia foto di vent’anni fa, che mostra un giovane con il volto affilato, gli occhiali a goccia, l’aria tenebrosa, lo sguardo magnetico. Sotto l’aspetto del gentleman, Messina Denaro nasconde una tempra d’acciaio. I pentiti lo indicano come boss spietato e risoluto, che ama i soldi, la bella vita e le belle donne. Elegante, porta al polso un Rolex d’oro, al collo foulard di seta e circola su auto sportive quando sente meno pesante la pressione delle forze dell’ordine e si concede rare scorribande notturne con i suoi fedelissimi. [...] è uno dei tanti ”figli d’arte” dello scacchiere mafioso. Suo padre, il vecchio don Ciccio, alleato dei corleonesi, è stato per anni il monarca della mafia trapanese. Quando morì, il cadavere fu trovato vestito di tutto punto in campagna, composto e disteso sulla nuda terra. I magistrati considerano Matteo Messina Denaro il numero due di Cosa Nostra, una sorta di alter ego di Provenzano nella provincia trapanese. Un ruolo che sta a indicare il prestigio conquistato sul campo dal rampollo di don Ciccio» (Enzo Mignosi, ”Corriere della Sera” 12/4/2006). «L’ultima fotografia che [...] ha lasciato in eredità risale a poco più di dieci anni fa. L’hanno trovata in una perquisizione a casa di un suo fedelissimo. quella che lo ritrae con i Ray-ban a goccia, modello Anni 70, con lenti fumé che lo fanno un po’ Vallanzasca. Ma lui è un rampollo, un figlio d’arte, anche se un po’ ribelle e rivoluzionario per certe antiche e consolidate regole di Cosa nostra.[...] Raccontava Balduccio Di Maggio, il pentito che ha fatto arrestare Totò Riina: ” un giovane rampante, anche se non è già capo, e suo padre gli ha dato un’ampia delega di rappresentanza del mandamento”. Attraverso le testimonianze dei pentiti viene fuori il ritratto di un boss: ”Già a capo si atteggiava - è la testimonianza del killer di padre Puglisi, Salvatore Grigoli - quando veniva a Palermo”. Che racconta anche un aneddotto: ”Lo soprannominammo Diabolik per via di quei due mitra che voleva sistemare nel frontale della sua ”164’”. E un altro pentito, Vincenzo Sinacori: ”Una volta voleva uccidere Bernardo Provenzano per uno sgarbo. Giovanni Brusca lo dissuase”. Matteo Messina Denaro era un fedelissimo di Totò Riina (che ha sempre potuto contare su Trapani anche per la latitanza) e non apprezzava le idee e la direzione della organizzazione di Bernardo Provenzano. A sentire chi lo conosce da anni e che lo ha visto anche prima che si rendesse latitante, la sua giovane età [...] le idee un po’ strane per i vecchi codici mafiosi, le frequentazioni allegre, le belle donne, i Rolex, le Mercedes e le Bmw, non devono fuorviare. Di donne ne ha avute e ne ha tante. Nel covo dove riparò a metà degli Anni 90, a Bagheria, in quella casa di fronte agli uffici della sua amante, Maria Mesi, gli investigatori hanno trovato anche il suo passatempo preferito: un Nintendo, un gioco elettronico. Per una donna, per l’austriaca Andrea Haslner, ha fatto spese pazze. Ha anche ucciso il direttore dell’hotel ”Paradise Beach” di Selinunte, Nicola Consales, che sparlava di lui e in paese raccontava che il boss portava nel suo albergo ”donnine di mezza età”. Ma appunto queste sono debolezze, che non devono essere equivocate. Lui è un capo che ”esercita un forte carisma nei confronti della sua base”. Il suo autista, Vito Signorello, professore di educazione fisica, in una intercettazione telefonica suggerisce a un interlocutore: ”Lu bene vene da lu Siccu. Lo dobbiamo adorare, è u Diu, è u bene di nuiatri”. Lu ”siccu”, il magro, è il soprannome con cui i suoi fedelissimi lo venerano come un dio. Dieci anni di Antimafia, di arresti, di covi perquisiti, di tesori ritrovati, hanno lasciato molti materiali interessanti. Anche i pizzini, le lettere con le quali comunicano tra di loro i mafiosi: ”In nome di dio... Che padre Pio ti conservi... Che la madonna di Lourdes...”. Un dio, anche se è un killer spietato. Che ha strangolato una donna incinta, Antonella Bonomo, compagna di Vincenzo Milazzo, capofamiglia di Alcamo, ucciso anche lui per ordine di Giovanni Brusca. Ed è sempre lui che davanti a un tribunale di Cosa nostra strangola con una corda quattro condannati a morte, e poi li butta nella calce viva. Famiglia di antica saggezza (mafiosa), quella dei Messina Denaro. Il padrino, don Francesco, era il capomandamento della famiglia di Castelvetrano. Campiere del feudo dei D’Alì, agrari ma anche proprietari della Banca Sicula (poi acquisita dalla Comit), i suoi figli, Matteo e Salvatore, frequentavano la famiglia dei feudatari, anche Antonio, che sarebbe poi diventato sottosegretario all’Interno. Salvatore, tra l’altro, prima di finire in carcere per mafia, era dipendente della banca dei D’Alì. E Matteo ha organizzato una vera estorsione nei confronti dei feudatari benefattori, organizzando una finta transazione di un appezzamento di terreno che pagò solo nominalmente (350 milioni). La carriera mafiosa di Matteo, per lo Stato, inizia ufficialmente nel 1989, quando viene denunciato per associazione mafiosa, il primo mandato di cattura arriva nel ”93, quando è costretto a volatilizzarsi: ”Parto per molto tempo - racconta a una delle sue donne - per colpa di una macchinazione contro di me”. Sono gli anni in cui Matteo Messina Denaro è fortemente impegnato nel progetto eversivo di Cosa nostra, nelle stragi del continente, di Firenze, Roma e Milano del 1993, per le quali sarà condannato all’ergastolo. E da allora la sua carriera criminale è sempre stata in ascesa. A Trapani, aspettano adesso il ”Conclave”» (Guido Ruotolo, ”La Stampa” 13/4/2006).